Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 25-10-2011) 28-10-2011, n. 39235

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Avverso la sentenza con cui in data 25.11.2008 la Corte d’appello di Messina confermava la condanna inflitta dal Tribunale di Patti a C.C. e G.A. per più delitti di concussione (fatti del maggio giugno del 1996), consumati quali concorrenti esterni rispetto ai funzionari INPS B. e F., C. in particolare funzionario della camera del lavoro di s. Agata Militello, in danno di tali P.B. e S. (il solo C.), nonchè di D. e Br.

(entrambi), con i risarcimenti conseguenti a S., P. B., D., oltre alla Camera del lavoro ed all’INPS, hanno proposto ricorso entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari.

2.1 C. con primo motivo deduce violazione dell’art. 111 Cost. e art. 192 c.p.p., travisamento delle prove, omessa valutazione delle prove a discarico, mancanza di motivazione. Secondo questo ricorrente, la Corte distrettuale avrebbe considerato elementi probatori inesistenti agli atti e non avrebbe risposto alle deduzioni d’appello che il motivo riproduce pressochè integralmente.

Con secondo motivo lamenta violazione dell’art. 317 c.p., perchè erroneamente la Corte messinese avrebbe attribuito a C. la qualifica di funzionario Inps in luogo di quella, corretta, di segretario politico della Camera del lavoro di s. Agata di Militello.

Il terzo motivo denuncia erronea qualificazione giuridica della concussione, violazione dell’art. 192 c.p.p. e illogicità manifesta.

I fatti avrebbero dovuto essere qualificati come corruzione, perchè S. e P. difettavano del requisito del persistente stato di disoccupazione, necessario per ottenere l’indennità di disoccupazione speciale (e non di quella ordinaria, che sarebbe stata argomentata dalla Corte d’appello): su questo non vi sarebbe stata motivazione.

Con quarto motivo è denunciata l’inammissibilità della costituzione di parte civile della CGIL Camera del lavoro territoriale di Messina F. Lo Sardo, perchè da un lato non sarebbero stati osservati gli artt. 91 e 92 c.p.p., dall’altro difetterebbe comunque il requisito dell’iscrizione a questo sindacato.

Il quinto motivo lamenta l’assoluta mancanza di motivazione in ordine al riconoscimento della provvisionale, difettando la prova del danno, e in ordine alla richiesta di revoca e sospensione dell’esecuzione corrispondente.

"Mancanza di motivazione in relazione all’erronea applicazione dell’art. 133 c.p." è infine denunciata nel sesto motivo.

2.2 G. (il cui ricorso è tempestivo perchè il termine per l’impugnazione scadeva in giorno festivo) con primo motivo deduce violazione degli artt. 517, 518 e 522 c.p.p., perchè l’episodio in danno del Br. (capo C) sarebbe stato contestato al G. quale reato nuovo, ex art. 518 c.p.p. e non come reato concorrente, ex art. 517 c.p.p., ciò essendo stato ritenuto solo dal primo Giudice nella propria ordinanza dibattimentale. La Corte d’appello non avrebbe inteso il senso dell’eccezione che avrebbe contestato la possibilità stessa per il Tribunale di integrare con il proprio ed autonomo richiamo alla connessione un dato non evidenziato dal pubblico ministero.

Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 526 c.p.p. in relazione alle dichiarazioni della persona offesa Br., essendo state acquisite al processo prima della contestazione nuova rivolta al G., senza alcun esame successivo.

Con terzo motivo è denunciata violazione degli artt. 110 e 317 c.p., in ordine ad entrambi i capi B e C, perchè la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata con le censure d’appello in ordine all’effettiva e consapevole partecipazione del G., estraneo al sistema di malaffare e occasionalmente presente agli incontri, senza comportamenti propri dotati di efficacia causale. In realtà nel corso dell’esposizione delle deduzioni a sostegno di questo motivo si censura poi anche il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., contestandosi l’apprezzamento dei Giudici del merito sull’apporto fondamentale di G..

3. Il ricorso di C. va rigettato.

Il primo motivo è infondato, nei termini che seguono. Quanto al capo A, l’originario motivo d’appello in realtà difettava della necessaria specificità, perchè l’appellante non si era confrontato con il rilievo determinante che il Tribunale aveva dato alle dichiarazioni del confesso e patteggiante coimputato B., evidenziando in particolare come questi, pur non avendo mai incontrato C., tuttavia era stato in grado di riferire specificamente non solo della complicità del segretario della Camera del lavoro (necessaria perchè il collegamento tra il sindacato sul territorio e l’Inps provinciale potesse consentire utilmente la richiesta di tangenti in relazione alle pratiche di indennità di disoccupazione) ma anche delle ragioni della reazione di C. nei confronti di P. e S., con ciò determinando la conferma "esterna" della versione delle persone offese. Tale omesso puntuale confronto fa sì che la pur generica conferma dell’adeguatezza delle dichiarazioni delle persone offese – così come quella del D. per il capo B, strettamente connesso nella motivazione del Tribunale, per l’essere stato il D. richiamato come esempio di soggetto che già si era adeguato alle sollecitazioni concussorie – si sottragga a censure di legittimità, posto che il motivo di ricorso non sana l’originaria genericità (nei termini di omesso completo confronto con le argomentazioni del Tribunale) della censura.

Il secondo motivo è manifestamente infondato: la qualifica corretta del C. è indicata dalla Corte d’appello nell’introduzione della propria sentenza – oltre che indiscussa alla luce della sentenza di primo grado, oggetto di specifica motivazione a pag. 10 – sicchè i punti indicati dal ricorrente si manifestano come meri refusi, privi di rilievo sulla decisione, del resto neppure specificamente dedotto.

Il terzo motivo è diverso da quelli consentiti per due ragioni. Esso è sostanzialmente nuovo. L’appello di C., infatti, in relazione al capo A (quello relativo alle persone offese P. e S.) poneva solo il tema dell’attendibilità di P. (pag. 3 atto di appello), dell’attendibilità di S. (pag. 4), dell’inesistenza di riscontri (pag. 4) e, quindi, concludeva per la qualificazione in termini di tentata corruzione ma solo in quanto la mancanza di credibilità degli accusatori doveva far ritenere che loro avessero spontaneamente offerto denaro, sdegnosamente rifiutato dall’imputato. Il motivo di ricorso presuppone invece la diversa e del tutto autonoma questione di fatto relativa alla sussistenza del diritto dei due all’indennità che chiedevano: questione di stretto merito, perchè tale da imporre, in via del tutto preliminare, l’esatta ricostruzione della situazione di fatto, e che andava tempestivamente e specificamente proposta alla Corte distrettuale. Il che non è avvenuto, certamente non attraverso il criptico richiamo della locuzione "pur non avendo i requisiti di legge", alla riga 13 di pag. 4, trattandosi di mero inciso del tutto generico ed estraneo alle uniche deduzioni specifiche del motivo d’appello, prima indicate. Ciò è assorbente, tuttavia essendo opportuno ricordare che questa Corte ha ripetutamente insegnato che in tema di concussione la circostanza che l’atto oggetto di mercimonio da parte del pubblico ufficiale sia illegittimo e contrario ai doveri d’ufficio non comporta di per sè il mutamento del titolo del reato in quello di corruzione (per tutte Sez. 6, sent.

9528 del 9.1-3.3.09).

Il quarto motivo è manifestamente infondato, perchè il sindacato si è costituito parte civile in proprio, in relazione al contenuto della propria attività a tutela della correttezza dei rapporti di patronato.

Il quinto motivo è formulato in termini generici.

Il sesto motivo è diverso da quelli consentiti, essendoci motivazione specifica dei Giudici del merito sul punto, sicchè le deduzioni in ricorso si risolvono nella sollecitazione ad un diverso apprezzamento dei fatti, precluso in questa sede.

4. Anche il ricorso del G. va rigettato.

Il primo motivo è infondato, perchè la connessione tra reati non è oggetto di una autonoma, e tantomeno discrezionale, determinazione della parte pubblica, ma è un dato oggettivo che immediatamente si impone nella qualificazione che il giudice del dibattimento è tenuto a dare della contestazione suppletiva: ciò proprio in ragione della diversità di disciplina che consegue ai differenti tipi di contestazione dibattimentale, diversità che deve essere gestita dal giudice e non dalla parte. Nel caso di specie, lo stesso ricorrente sostanzialmente non contesta la sussistenza della relazione ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. b tra i due reati ascritti all’imputato.

Il secondo motivo è infondato. La deduzione del ricorso non lamenta violazioni in ordine ad assegnazione di termini a difesa, reiezione di istanze istruttorie, violazioni specifiche del contraddittorio sollecitato. La sola questione posta nel motivo è quella dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni della persona offesa, perchè rese prima della contestazione dibattimentale e non dopo, il che, anche attraverso il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 1327 del 1996, renderebbe, con assoluto e insuperabile automatismo, la prova "non legittimamente acquisita al dibattimento", in violazione dell’art. 526 c.p.p..

L’assunto – insieme alla remota giurisprudenza richiamata – non può essere condiviso: disciplinando le conseguenze endodibattimentali delle contestazioni, il codice di rito specifica espressamente all’art. 519 c.p.p., significativamente rubricato "Diritti delle parti", quali sono i soli diritti che conseguono al mero fatto della contestazione suppletiva, poi al successivo art. 520 disciplinando il caso dell’imputato assente o contumace, in particolare, all’imputato destinatario della contestazione suppletiva per reato connesso è attribuito (solo) il diritto a chiedere un termine per la difesa. I Tale previsione indica inequivocamente che, innanzitutto, non vi i è alcuno iato tra i segmenti del dibattimento, che si è svolto fino a quel momento nella pienezza del contraddittorio, nè alcuna necessità "strutturale" di rinnovare atti assunti nella fase precedente. Anzi, proprio la previsione dei termini a difesa presuppone la conservazione di efficacia di quanto fino a quel i momento acquisito al processo, appunto nel contraddittorio, e la contestuale riespansione di tutti i diritti di difesa in relazione alla nuova contestazione, che si basa proprio su quanto emerso nel dibattimento partecipato (Sez. 3, sent. 12930 del 26.2-27.3.2008). Ma nessuna norma impone l’apertura necessaria di una, sorta di "subdibattimento" in ragione del contenuto della i contestazione suppletiva, essendo invece la possibile attività ulteriore rimessa, e connessa, alle esigenze di difesa, la cui specifica individuazione ed attivazione è lasciata alla piena discrezionalità dell’imputato e del suo difensore tecnico e, nella fattispecie nulla risulta (comunque ciò non è stato dedotto in modo specifico) aver richiesto o sollecitato tempestivamente.

Deve quindi affermarsi il principio di diritto che, nel caso di contestazione suppletiva di reato connesso, le prove acquisite in precedenza nel dibattimento sono legittimamente utilizzabili anche per la decisione relativa a tale sopravvenuta contestazione.

Il terzo motivo è generico e al tempo stesso diverso da quelli consentiti. Il ricorrente da un lato non indica specificamente quali sarebbero state le deduzioni d’appello ignorate dalla Corte di Messina, dall’altro sollecita una rivalutazione del materiale probatorio in ordine ai punti della partecipazione e della consapevolezza dell’imputato, oggetto di duplice conforme apprezzamento dei Giudici del merito, del tutto preclusa in questa sede di legittimità. Altrettanto di stretto merito sono le censure relative all’attenuante di cui all’art. 114 c.p..

5. Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di difesa sostenute dalle parti civili per questo giudizio di cassazione, liquidate rispettivamente come da dispositivo (per le tre parti civili difese dal medesimo difensore operando l’aumento del 20%), tenuto conto della tariffa forense e dell’attività espletata.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna altresì i ricorrenti in solido a rimborsare alle parti civili le spese del grado, che si liquidano in complessivi Euro 2500 in favore della Camera del Lavoro Territoriale e in Euro 3500 in favore di S., D. e P.B., oltre iva e cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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