T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 30-11-2011, n. 2997

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente ha impugnato la revoca del contratto di soggiorno, disposta a seguito degli accertamenti effettuati, da cui è emersa una condanna, a carico del ricorrente, per il reato di cui all’ art. 14, comma 5ter, del D. Lgs. n. 286 del 1998.

Viene sostenuto nel ricorso che il reato per il quale la domanda è stata respinta, non dovrebbe essere considerato ostativo ad una conclusione favorevole della procedura di emersione, visto che non sarebbe riconducibile né alla previsione dell’art. 380 c.p.p. – che riguarda i reati con una pena edittale superiore a quella prevista per il reato commesso dal ricorrente sopra richiamato, pur prevedendo l’arresto obbligatorio in flagranza – né alla previsione di cui all’art. 381 c.p.p. – che riguarda i reati con una pena edittale assimilabile a quella del reato di immigrazione clandestina, con la differenza rispetto a quest’ultimo della previsione dell’arresto facoltativo in flagranza.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 775/2011 la domanda cautelare veniva accolta.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Come già affermato da questo Tribunale (ex multis sentenza n. 771/2011 sez. IV), anche la condanna per il delitto di cui all’art 14 comma 5 ter DPR 286/1998 non è ostativo alla emersione dei lavoratori stranieri di cui all’art 1 ter della L. 102/09, visto che il suddetto reato appare incompatibile con la disciplina comunitaria delle procedure di rimpatrio (di cui alla Direttiva 2008/115/CE) Per tali ragioni è illegittimo il provvedimento con cui si nega l’emersione in caso di condanna per il reato di cui all’art 14 comma 5 ter DPR 286/1998 (in tal senso si è espressa anche l’Adunanza Plenaria con due sentenze nn. 7 e 8 del 10.5.2011).

In tal senso decisiva appare anche la decisione della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 28..4.2011, che dopo aver richiamato il principio di proporzionalità ed efficacia nell’uso delle misure coercitive, ha affermato che "gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo conformemente all’art. 8, n. 4, di detta direttiva, una pena detentiva, come quella prevista all’art. 14, comma 5 ter, del decreto legislativo n. 286/1998, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio di uno Stato membro e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare nel territorio nazionale. Essi devono, invece, continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti".

Per tali ragioni è illegittimo il provvedimento con cui si nega l’emersione in caso di condanna per il reato di cui all’art 14 comma 5 ter DPR 286/1998.

In conclusione il ricorso deve essere accolto, e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto impugnato.

In considerazione della complessità della questione, sulla quale è intervenuta anche l’Adunanza Plenaria, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti, fermo restando il diritto in capo agli esponenti al rimborso del contributo unificato, secondo le norme di legge (DPR 115/2002, art. 13).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate, salvo il rimborso del contributo unificato ai sensi dell’art. 13 del DPR 115/2002.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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