Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-04-2012, n. 6549 Responsabilità disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La contribuente in epigrafe indicata impugnava in sede giurisdizionale il diniego, opposto dall’Ufficio,in relazione all’istanza di rimborso delle somme versate per IRPEF in dipendenza dell’indennità di esproprio ricevuta nell’anno 2002.

La CTP di Palermo accoglieva il ricorso e tale decisione veniva confermata in appello dalla CTR. Quest’ultima, in particolare, riteneva che le aree espropriate, in relazione alle quali era stata corrisposta l’indennità, non ricadessero nelle zone omogenee A, B, C e D, previste dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, essendo bensì incluse tra quelle ricadenti in aree destinate a verde agricolo, ragion per cui non sussistevano i presupposti per il particolare prelievo fiscale.

L’Agenzia Entrate, giusto ricorso notificato il 27/29 gennaio 2010, ha chiesto la cassazione della decisione di appello, sulla base di tre mezzi.

L’intimata resiste, e, con controricorso notificato il 05-10 marzo 2010, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione, e con contestuale ricorso incidentale condizionato, affidato a due mezzi, ha chiesto l’annullamento della sentenza della CTR.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., per avere ritenuto ed affermato che l’onere di provare la sussistenza dei presupposti impositivi gravasse sull’Agenzia Entrate.

Con il secondo mezzo la decisione di appello viene censurata per violazione e falsa applicazione della L. n. 413 del 1991, art. 9, comma 5, per avere ritenuto ed affermato che il presupposto impositivo fosse rappresentato dall’inclusione delle aree espropriate nelle zone omogenee A, B, C e D del PRG e, quindi, che tale presupposto risultasse insussistente per le aree a diversa destinazione, quale quella di che trattasi, destinata a verde agricolo.

Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., ed insufficiente ed illogica motivazione su fatti controversi e decisivi, per avere ritenuto ed affermato che la prova della destinazione urbanistica dell’area espropriata, dovesse, necessariamente, essere fornita mediante la produzione di certificazione rilasciata dal Comune.

Le questioni poste dai trascritti mezzi vanno risolte in coerenza a principi desumibili da condiviso orientamento giurisprudenziale.

Costituisce, in vero, principio consolidato e condiviso, quello secondo cui "In tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non solo formale – come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo – ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e di provare i fatti ai quali la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con le quali l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti – l’applicazione del principio di non contestazione" (Cass. n.29613/2011, n.22567/2004).

E’ stato, altresì, affermato che "In tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, allo scopo di escludere l’imponibilità ai fini IRPEF delle plusvalenze da redditi diversi previsto dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81, comma 1, lett. b), non rileva che l’area espropriata per realizzarvi un’opera pubblica si trovasse all’interno della zona destinata a verde pubblico attrezzato (VAT), poichè tale previsione generale non è di per sè sufficiente ad escludere la sua inerenza alle zone omogenee considerate dall’art. 11, comma 5, dovendosi avere riguardo alla destinazione effettiva dell’area" (Cass. n. 16231/2004, n. 15845/2004).

La decisione impugnata risulta avere fatto malgoverno dei trascritti principi, per avere argomentato nel senso che l’onere probatorio dell’infondatezza della pretesa fiscale, pur vertendosi in tema di domanda di rimborso, gravasse sull’Agenzia Entrate, – che non lo aveva assolto,- ed altresì per avere valorizzato nell’iter decisionale la circostanza che le aree di che trattasi, nel PRG avevano destinazione a verde agricolo, senza considerare il dato emblematico della concreta destinazione, cioè che le stesse erano state espropriate per la realizzazione di un parcheggio, cioè di "un’opera pubblica di infrastruttura urbana riferentesi ad interventi nelle aree interessate dai campionati mondiali", nonchè per avere argomentato nel senso che l’onere probatorio dell’infondatezza della domanda di rimborso gravasse sull’Agenzia Entrate, che non lo aveva assolto.

La fondatezza del ricorso principale, impone l’esame dei due motivi dell’impugnazione incidentale condizionata.

Il primo mezzo, censura la decisione di appello per omessa e/o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, deducendosi che l’Agenzia, nel corso del giudizio, a sostegno dell’opposto diniego di rimborso, aveva addotto motivi diversi, rispetto a quelli esternati per supportare il provvedimento di diniego del rimborso.

Si sostiene che mentre l’Ufficio aveva motivato l’originario diniego, argomentando che l’opera pubblica "realizzata (parcheggio) rientrasse tra gli interventi di edilizia residenziale pubblica o economica e popolare", nel corso del giudizio di appello, l’Agenzia aveva diversamente motivato le ragioni del diniego basandola "sulla presunta collocazione dell’area interessata in una delle zone omogenee di tipo A, B, C o D di cui al D.M. 5 aprile 1968.

Con il secondo mezzo, la ricorrente incidentale, prospetta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e art. 345 c.p.c., evidenziando la violazione delle indicate norme, per avere la CTR dato ingresso, nel giudizio di appello, a domande ed eccezioni nuove e non consentite.

I due mezzi, che data la connessione possono trattarsi congiuntamente, sono infondati.

In vero, nel processo tributario, la preclusione della possibilità di sollevare eccezioni nuove in appello, posta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, non comporta l’improponibilità dell’illustrazione con nuovi argomenti di eccezioni già formulate, laddove non venga violato il divieto di ampliamento in appello del thema decidendum, al rispetto del quale è funzionale il limite imposto dalla legge, nè della nuova prospettazione di cosiddette eccezioni improprie, o mere difese, in quanto dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice, dell’inesistenza di fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, della cui prova e1 onerata l’altra parte (Cass. 15646/2004).

E’ stato, pure, precisato (Cass. n.18519/2005) che il divieto di nuove eccezioni in appello, introdotto per il giudizio contenzioso ordinario con la L. 26 novembre 1990, n. 353, tramite la riforma dell’art. 345 cod. proc. civ., e successivamente esteso al giudizio tributario dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprie, v. rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non può esprimersi se ne manchi l’allegazione ad opera delle stesse, con la richiesta di pronunciarsi al riguardo. Detto divieto non può mai riguardare, pertanto, i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, di esame e di valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell’impugnazione, deve a sua volta pronunciarsi sulla domanda accolta dal primo giudice, riesaminando perciò i fatti, le allegazioni probatorie e le argomentazioni giuridiche che rilevino per la decisione.

La deduzione relativa alla diversa zonizzazione dell’area, in ipotesi, sostanziava una mera argomentazione difensiva relativa ad una circostanza che integrava elemento costitutivo della domanda di rimborso, facendo gravare sulla contribuente l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per il relativo ottenimento, essendo già parte del thema decidendum.

Peraltro, le censure risultano, altresì, prive di concreto rilievo ai fini decisionali, stante il richiamato principio secondo cui agli effetti della previsione normativa in esame, devesi avere riguardo alla destinazione effettiva dell’area", che nel caso, pacificamente, è stata destinata a parcheggio.

Conclusivamente, va accolto il ricorso principale e rigettato l’incidentale.

Cassata l’impugnata decisione, in relazione alle censure accolte, la causa va rinviata ad altra sezione della CTR della Sicilia, la quale procederà al riesame e, adeguandosi ai richiamati principi, deciderà nel merito ed anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, offrendo congrua motivazione.

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale, cassa la decisione impugnata in relazione alle doglianze accolte e rinvia ad altra sezione della CTR della Sicilia; rigetta l’impugnazione incidentale.

Così deciso in Roma, il 29 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2012

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