Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-04-2012, n. 6548 Accertamento Base imponibile Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 110/50/09, depositata il 21.9.09 e notificata il 10.11.09, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Milano (OMISSIS), avverso la sentenza di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla Epson Italia s.p.a. nei confronti dell’avviso di accertamento, relativo ad IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno 2004. 2. La CTR – confermando le valutazioni del giudice di prime cure – riteneva, invero, che ricadesse sull’Ufficio l’onere di dimostrare l’inerenza dei costi di sponsorizzazione, recuperati a tassazione, all’attività della casa madre giapponese, Seiko Epson Corporation, titolare del marchio e produttrice delle apparecchiature informatiche oggetto di sponsorizzazione, piuttosto che a quella della contribuente italiana, mera distributrice del prodotto ed utilizzatrice del marchio, che aveva operato la contestata deduzione.

3. Avverso la sentenza n. 110/50/09 ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi, ai quali l’intimata ha replicato con controricorso e con memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. La vicenda oggetto del presente giudizio trae origine da un processo verbale di constatazione, redatto al termine di una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza di Milano presso la Epson Italia s.p.a., con il quale veniva contestata alla contribuente la contabilizzazione di costi di sponsorizzazione del marchio "Epson", attraverso il servizio meteo offerto dalle reti Mediaset, nonchè attraverso manifestazioni sportive e società terze.

1.1. I verbalizzanti, infatti, muovevano dal rilievo secondo cui la Epson Italia s.p.a. non era titolare del predetto marchio, in relazione al quale vantava, infatti, il solo diritto all’utilizzazione, nonchè quello di distribuzione del prodotto in Italia, al pari di altre società operanti in altri Paesi Europei e facenti parte del gruppo Epson Europa. Sicchè essi pervenivano alla conclusione – di poi fatta propria dall’amministrazione finanziaria – che i costi in questione, in quanto finalizzati alla promozione globale dell’impresa Epson e delle apparecchiature informatiche prodotte dalla casa madre giapponese, Seiko Epson Corporation, non fossero costi inerenti all’attività di impresa della contribuente, e pertanto dalla stessa non deducìbili ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5. 1.2.In forza del suindicato processo verbale di constatazione, l’Ufficio emetteva, quindi, avviso di accertamento, con il quale – condividendo in pieno le risultanze della verifica operata dalla Guardia di Finanza – escludeva la deducibilità dei costi concernenti l’attività di sponsorizzazione effettuata dalla contribuente, poichè non inerenti all’attività di impresa, pervenendo, in tal modo, alla quantificazione di una maggiore pretesa fiscale, a titolo di IVA, IRPEG ed IRAP. Nei confronti di tale atto impositivo, proponeva ricorso in sede giurisdizionale la Epson Italia s.p.a., ottenendo due pronunce a sè favorevoli nel primo e nel secondo grado del giudizio.

2. Avverso la decisione di appello, emessa dalla CTR della Lombardia, ha proposto, quindi, ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, articolando tre motivi che si passa ad esporre.

2.1. Con il primo motivo di ricorso, l’amministrazione ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 2.2. Con il secondo motivo, la medesima denuncia, poi, la contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. 2.3. Con la terza censura, infine, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 2.4. Con i tre motivi suesposti, l’Agenzia delle Entrate si duole, anzitutto, del fatto che il giudice di appello abbia erroneamente posto a suo carico l’onere della prova "dell’origine e/o genesi del maggior reddito accertato", laddove – trattandosi di elementi reddituali negativi (costi di sponsorizzazione) – l’onere della prova in ordine alla loro deducibilità sarebbe dovuto gravare sulla società contribuente.

L’amministrazione finanziaria censura, inoltre, l’erronea ricostruzione in fatto ed in diritto della vicenda, da parte del giudice di seconde cure, il quale avrebbe – a suo avviso – del tutto erroneamente individuato nella società utilizzatrice del marchio (ma non titolare dello stesso) e distributrice del prodotto, il solo soggetto concretamente avvantaggiato, sul piano commerciale, dalla pubblicità conseguente alla sponsorizzazione del marchio "Epson".

Sarebbe, di contro, del tutto evidente – a parere dell’amministrazione finanziaria – che la promozione del marchio da parte della Epson Italia avrebbe avuto, come prima e prioritaria conseguenza, quella di giovare – in termini di aumento della redditività – alla casa madre giapponese, Seiko Epson Corporation, titolare del marchio e produttrice delle apparecchiature sponsorizzate.

3. I tre motivi – che per la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente – si palesano, ad avviso della Corte, palesemente infondati e vanno, pertanto, disattesi.

3.1. Il nucleo essenziale dell’intera vicenda in esame si incentra, invero, sulla questione della deducibilità, o meno, da parte della società Epson Italia s.p.a. dei costi di sponsorizzazione del marchio "Epson", deducibilità che dipende, in buona sostanza, dalla loro inerenza, o meno, all’attività di impresa esercitata dalla contribuente, a tenore del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5.

Orbene, va osservato, al riguardo, che quella di inerenza è una nozione pre-giuridica, di origine economica, legata all’idea del reddito come entità necessariamente calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione. Sotto tale profilo, pertanto, inerente è tutto ciò che – sul piano dei costi e delle spese – appartiene alla sfera dell’impresa, in quanto sostenuto nell’intento di fornire a quest’ultima un’utilità, anche in modo indiretto. A contrario, non è invece inerente all’impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell’imprenditore, ovvero del socio o del terzo.

3.2. Se dal piano economico si passa, poi, a quello fiscale, da quanto suesposto discende che l’inerenza di un onere o di un costo all’impresa, in quanto si concreta in una componente negativa del reddito, si traduce – attraverso il meccanismo delle deduzioni – in un risparmio di imposta, giacchè esso viene ad abbattere il reddito imponibile netto, in misura corrispondente all’entità della spesa o del costo deducibili.

Alla luce di tali rilievi, pertanto, può spiegarsi agevolmente perchè – in applicazione del principio desumibile dalla norma di cui all’art. 2697 c.c. – l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno vita ad oneri e/o a costi deducibili, nonchè in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 109, comma 5, ceda in via di principio, secondo il costante insegnamento di questa Corte, a carico del contribuente che intenda avvalersene (cfr. Cass. 11205/07, 1709/07, 3305/09, 26851/09, 18930/11).

Per converso, sempre in tema di imposte sui redditi, è del pari incontrovertibile che incomba sull’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare, qualora la pretesa tributaria dedotta in giudizio derivi dall’attribuzione al contribuente di maggiori entrate, gli elementi o le circostanze, a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile (Cass. 11205/07).

3.2.1. E tuttavia, siffatto riparto dell’onere della prova si attaglia, com’è del tutto evidente, a soli casi di dubbio collegamento della componente reddituale negativa con l’impresa, nei quali l’onere della prova – secondo quando detto – non può che fare carico al contribuente. Viceversa, laddove si tratti delle spese strettamente ne-cessarie alla produzione del reddito, o comunque fisiologicamente riconducibili alla sfera imprenditoriale (ad esempio, i costi per l’acquisto di materie prime, o di macchinar o strumenti indispensabili a produrre certi beni, o di manufatti necessari per la loro custodia) che, in quanto tali, possano ritenersi intrinsecamente inerenti all’attività di impresa, sarà l’amministrazione a dover provare l’inesistenza, nel caso specifico, del predetto nesso di inerenza.

In siffatta ipotesi, invero, a fronte della palese riconducibilità della spesa o del costo all’impresa, dovrà l’amministrazione – che intenda disconoscerne l’inerenza all’attività di impresa, al fine di inferirne la sussistenza di un maggior reddito tassabile in capo al contribuente – fornire la relativa dimostrazione in giudizio.

3.2.2. Nel medesimo ordine di concetti, questa Corte ha avuto modo più volte di operare un distinguo, ai fini del riparto dell’onere della prova, tra beni "normalmente necessari e strumentali" e beni "non necessari e strumentali", ponendosi a carico del contribuente l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza (cfr. Cass. 9265/95, 13478/01).

Ed invero, il requisito dell’inerenza, indispensabile ai fini della deducibilità dell’onere o del costo, si determina in relazione alla "funzione dei beni e dei servizi acquistati" dal contribuente (Cass. Cass. 10257/08), ossia della "ragione" della spesa riconosciuta e contabilizzata dall’imprenditore (Cass. 6650/06), in relazione alle quali è calibrato l’onere della prova, da porsi, cioè, a carico del contribuente, solo laddove la strumentalità della spesa all’attività di impresa non risulti di chiara evidenza in considerazione della sua stessa natura.

3.2.3. Allo stesso modo, in materia di IVA, in base alla disciplina desumibile dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, e art. 19, comma 1, le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerarsi in ogni caso – ovverosia senza eccezioni – effettuate nell’esercizio dell’impresa; sicchè alcun onere di dimostrazione è configurabile, al riguardo, a carico del contribuente a fini fiscali.

Per converso, per gli acquisti di beni da parte delle stesse società, il requisito dell’inerenza, ai fini della detraibilità dell’imposta, non può presumersi sulla base della sola qualità di imprenditore dell’acquirente, essendo onere di quest’ultimo comprovare che tali operazioni sono state, per la natura e la funzione dei beni acquisiti, effettivamente compiute nell’esercizio dell’impresa (cfr. Cass. 5599/03, 3706/10, 23626/11).

4. Ebbene, alla stregua di tutte le osservazioni che precedono, ritiene la Corte che il requisito dell’inerenza dei costi per le sponsorizzazioni, affrontati nel caso concreto dalla Epson Italia s.p.a., debba ritenersi certamente sussistente in relazione all’attività imprenditoriale, di utilizzazione del marchio "Epson" e di distribuzione dei relativi prodotti, svolta dalla società contribuente. Nè, in difetto di elementi di prova di segno contrario addotti dall’Agenzia delle Entrate, potrebbe in alcun modo ritenersi – per le ragioni che si passa ad esporre – che tali costi siano imputabili, in qualche misura, alla casa madre giapponese, Seiko Epson Corporation. 4.1. A tal riguardo va, per vero, osservato che il c.d. contratto di sponsorizzazione – fattispecie non specificamente disciplinata dalla legge – ricomprende tutte quelle ipotesi nelle quali un soggetto – detto "sponsorizzato" o, con terminologia anglosassone, "sponsee" – si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marchiato, o anche a tenere determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale.

Da tali caratteristiche del rapporto, si evince, pertanto, che la sponsorizzazione – che, sotto il profilo concernente lo sponsorizzato, si concreta nella commercializzazione del nome e dell’immagine personale del soggetto – si traduce, al contempo, per lo sponsor, in una forma di pubblicità indiretta, consistente nella promozione del marchio o del prodotto che si intende lanciare sul mercato. E, sotto tale profilo, – non a caso si suoi dire, nel linguaggio corrente, che "la pubblicità è l’anima del commercio" – l’inerenza, ai fini fiscali, dei costi della sponsorizzazione all’attività di impresa, qualora lo sponsor sia lo stesso titolare del marchio o il produttore del bene da promuovere, non pare seriamente dubitabile.

In siffatta ipotesi, è, invero, di chiara evidenza che la pubblicizzazione del marchio o del prodotto si traducono innegabilmente in un potenziale vantaggio economico diretto per l’impresa sponsorizzante, potendone derivare, in conseguenza, un incremento della propria attività commerciale. E, in tale prospettiva, va tenuto conto altresì, ai fini tributari, del fatto che la deducibilità di un costo dal reddito di impresa non postula che esso sia stato necessariamente sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, essendo sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, ossia che tale costo sia stato sostenuto al fine di svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass. 16826/07).

4.2. Maggiori perplessità al riguardo possono, tuttavia, porsi nel caso – ricorrente nella specie – in cui lo sponsor non sia il titolare del marchio o il produttore del bene, ai quali l’attività pubblicitaria fa riferimento, ben potendo porsi – con riferimento a siffatta ipotesi – il dubbio circa la possibilità che l’attività di sponsorizzazione venga, in definitiva, a giovare al diverso soggetto produttore, o titolare del marchio che si intende promuovere con la sponsorizzazione. Sicchè – sul piano civilistico – lo sponsor verrebbe, in buona sostanza, a porsi come un contraente per conto altrui, con le conseguenti ricadute – sul piano fiscale – in ordine alla indeducibìlità dei relativi costi.

Ebbene, va osservato, in proposito, che dal complesso delle caratteristiche concernenti il contratto di sponsorizzazione non può desumersi che tale contratto debba indefettibilmente essere concluso da uno sponsor che sia egli stesso il produttore industriale di una determinata merce, ovvero il titolare dei diritto di marchio da veicolare. Ed invero, ben può – sul piano civilistico – riconoscersi la sussistenza di un rapporto patrimonialmente rilevante (art. 1174 c.c.), ancorchè non riconducibile ad un contratto tipico, anche in presenza di un contratto nel quale lo sponsor sia altro soggetto, cha tragga comunque un’utilità dallo sfruttamento dell’immagine altrui, sebbene diverso risulti l’organizzatore della relativa produzione.

Ne discende che, nel caso in cui lo sponsor sia il distributore esclusivo, per l’Italia, di un determinato prodotto, dalla sua relazione d’affari con il produttore, e dal fatto che anche quest’ultimo tragga vantaggio dalla maggiore diffusione del suo marchio presso i consumatori, non può trarsi – in via automatica – la conclusione per cui egli sia un contraente per conto altrui, e non nel proprio interesse, dovendo – per contro – tale eventualità essere accertata in fatto, nelle singole fattispecie concrete (cfr.

Cass. 9880/97, 12801/06).

4.3. Correlativamente, questa Corte ha di recente osservato – sul piano più strettamente tributario, ma in adesione alla suesposta esigenza di una valutazione fattuale dell’interesse economico sotteso al contratto di sponsorizzazione – che la disposizione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74, comma 2 (ora art. 109, comma 5), consente la deducibilità delle spese relative ad un contratto di sponsorizzazione, perfino qualora esso stato stipulato a favore di un terzo, laddove il contribuente alleghi e dimostri le potenziali utilità per la propria attività commerciale, o i futuri vantaggi conseguibili attraverso la pubblicità svolta dall’impresa in favore del terzo (Cass. 24065/11).

4.4. Orbene, nel caso concreto, il giudice di appello ha accertato che, con contratto dell’1.4.91, la casa madre Seiko Epson Corporation ha conferito all’odierna resistente l’incarico di "distributore esclusivo" in Italia, per l’attività di importazione, vendita e distribuzione dei prodotti contrassegnati con il marchio Epson. E del resto, la qualità di utilizzatore del marchio in parola e di distributore dei prodotti Epson, in capo alla società contribuente, appare del tutto incontroversa tra le parti.

Ne discende – in forza dei principi suesposti – che a fronte della connaturale inerenza che l’attività di pubblicizzazione, sia pure indiretta, dei prodotti Epson da parte della Epson Italia presenta rispetto all’attività commerciale svolta dalla medesima, in quanto distributore in via esclusiva sul territorio nazionale, e – di conseguenza – alla legittimità della deduzione dei relativi costi, sia ai fini delle imposte sui redditi, che dell’IVA, sarebbe stato onere dell’amministrazione, attenendo la prova ai fatti costitutivi della maggiore pretesa azionata, comprovare che tali costi venivano ad incidere, in tutto o in parte, sull’attività della casa madre Seiko Epson Corporation. In difetto di tale prova, pertanto, il ricorso dalla medesima proposto, avverso la decisione di seconde cure, non può che essere rigettato con conseguente condanna dell’amministrazione ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; condanna l’amministrazione ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’amministrazione intimata nel presente giudizio, che liquida in Euro 12.000,00, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 21 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2012

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