Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-04-2012, n. 6543

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Seacs s.p.a., poi incorporata da Sat s.p.a., a sua volta incorporata da Hera s.p.a., istituita a mente della L. n. 142 del 1990, art. 22, con partecipazione pubblica totalitaria per la gestione di servizi pubblici locali, beneficiò delle esenzioni dalle imposte sui redditi per il triennio stabilito dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14 e della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70 (c.d. moratoria fiscale).

Sopravvenuta la decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE, e, poi, in attuazione di essa, la L. n. 62 del 2005 (art. 27, poi modificato dal D.L. n. 10 del 2007, art. 1, come convertito dalla L. n. 46 del 2007), l’agenzia delle entrate notificò la prescritta comunicazione-ingiunzione per il recupero degli importi non versati – qualificati come aiuti di Stato – con i relativi interessi.

Contro codesto atto, la (prima) incorporante Sat s.p.a. propose ricorso alla commissione tributaria provinciale di Modena, chiedendo altresì che fosse disposta la sospensione dell’esecuzione.

La commissione tributaria provinciale respinse l’istanza cautelare e, con successiva sentenza, il ricorso della contribuente, ritenendo che l’atto impositivo fosse congruamente e correttamente motivato con riferimento alla indicata decisione della commissione europea (il cui contenuto essenziale era stato ben noto e conoscibile) e che nessuno spazio di discrezionalità il citato D.L. n. 10 del 2007 aveva determinato, in capo all’amministrazione finanziaria, in ordine alla intrapresa azione di recupero dell’aiuto dichiarato illegittimo.

Reputò infondate l’eccezione di decadenza, ancora sollevata dalla contribuente, e quella di prescrizione estintiva decennale; e respinse, infine, la doglianza relativa al calcolo degli interessi, essendosi l’amministrazione attenuta alle disposizioni comunitarie.

La commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, a sua volta, ha respinto il gravame della ulteriore incorporante Hera s.p.a., la quale, contro la sentenza di secondo grado, propone ora ricorso per cassazione sorretto da effettivi nove motivi.

L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.

La ricorrente ha depositato una memoria.

Motivi della decisione

1. – Le censure della ricorrente sono articolate, in ordine successivo, nella maniera che segue.

(1) "Nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 47-bis, commi 5 e 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4", non essendo avvenuta la definizione del giudizio di secondo grado con lettura del dispositivo in udienza.

(2) "Violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1", sotto i due distinti profili: (a) del non ritenuto difetto di motivazione della comunicazione-ingiunzione, per non aver indicato presupposti di fatto e le ragioni di diritto dell’applicazione alla società Hera della evocata decisione della Commissione europea; (b) dell’avvenuta reiezione della doglianza circa l’obbligo dell’agenzia delle entrate di allegare alla comunicazione-ingiunzione l’atto (la decisione di recupero) richiamato.

(3) "Violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 27 e del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 (convertito con L. 6 aprile 2007, n. 46), in relazione all’art. 87, paragrafo 1, del Trattato CE e alla decisione della commissione europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", essendo stato confermato il recuperò degli aiuti fruiti senza considerare che la società aveva operato in settori al tempo sottratti alla concorrenza, in un regime di monopolio legale, così da rimanere al centro di un caso specifico compatibile con il mercato comune e, pertanto, non rientrante nell’ambito di applicazione della richiamata decisione di recupero.

(4) "Violazione e falsa applicazione del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 (convertito con L. 6 aprile 2007, n. 46), con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", non essendovi stata, nel caso di specie, alcuna "effettiva fruizione" dell’aiuto in oggetto, posto che i maggiori utili conseguiti in base alla norma agevolativa non avevano comportato una alterazione della concorrenza.

(5.1.) "Vizio di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4" con riguardo al fatto decisivo della violazione del diritto del contribuente al previo contraddittorio rispetto all’atto volto al recupero degli aiuti fruiti.

(5.2.) "Vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma, 1, n. 5", non essendo stato comunque oggetto di motivazione il profilo suddetto del diritto al contraddittorio.

(6) "Vizio di insufficiente motivazione circa un secondo fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma, 1, n. 5", in relazione al profilo della eccepita scadenza, ostativa all’azione di recupero, del termine quinquennale previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.

(7) "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", avendo la commissione erroneamente ritenuto infondata l’eccezione sollevata dalla società in merito alla avvenuta prescrizione dei crediti (per imposta e per interessi) oggetto della comunicazione-ingiunzione, essendo decorsi più di dieci anni dal momento di fruizione degli aiuti.

(8) "Violazione e falsa applicazione del regolamento della commissione europea 21 aprile 2004, n. 794/2004, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", in ordine al profilo degli interessi da applicarsi alle somme richieste a mezzo dell’azione di recupero degli aiuti di Stato, non essendo applicabile alla fattispecie la norma del citato regolamento su cui si era fondato il conteggio degli interessi detti, in ragione della anteriorità della notifica della decisione di recupero.

2. – Nessuna delle esposte censure si rivela condivisibile, donde il ricorso va, nei termini che seguono, rigettato.

3. – Il primo motivo si infrange contro il principio, già da questa Corte affermato, e che qui si ribadisce, che l’art. 47-bis, introdotto nel capo 2, intitolato ai procedimenti cautelare e conciliativo (rispettivamente, artt. 47 e 48), del D.Lgs. n. 546 del 1992 (contenente le disposizioni sul processo tributario), dal D.L. 8 aprile 2008, n. 59, art. 2, comma 1, come convertito dalla L. 6 giugno 2008, n. 101; riguarda testualmente le sole ipotesi in cui "sia stata chiesta in via cautelare la sospensione dell’esecuzione di un atto volto al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 14 del regolamento (CE) n. 659/1999, del Consiglio, del 22 marzo 1999, di seguito denominata decisione di recupero";

sospensione subordinata, oltre che (lett. b) alla sussistenza di un "pericolo imminente e irreparabile" (riecheggiante il requisito, unico, del "danno grave e irreparabile" di cui al precedente art. 47), al concorso (lett. a) di "gravi motivi di illegittimità della decisione di recupero, ovvero evidente errore nel calcolo della somma da recuperare e nei limiti di tale errore" (comma 1).

Ne deriva che "le controversie relative agli atti di cui al comma 1", richiamate nei successivi commi 4, 5 e 6 (riguardanti la prima fase di merito) e nel comma 7 (inerente il giudizio di appello), non sono genericamente – quelle in cui si discute del recupero di un aiuto di Stato, ma unicamente quelle, di tal genere, nel corso delle quali sia stata dal contribuente conseguita la sospensione dell’atto impugnato, reso, appunto, in esecuzione di una decisione di recupero (cfr. Cass. n. 26285/2010).

Nella specie tanto non risulta avvenuto, essendo dalla stessa ricorrente rappresentato che l’istanza cautelare fu respinta dalla commissione tributaria provinciale di Modena. Sicchè è palese che la prima censura manca del presupposto, sì da risultare, per questo, manifestamente infondata.

4. – I motivi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto (secondo la soprascritta numerazione: 2, 3, 4, 5.1 e 5.2), sono suscettibili di unitaria trattazione in quanto tra loro connessi.

Codesti motivi, richiamando una (per vero isolata) decisione di questa Corte (sent. n. 2428/2010), in verità relativa a fattispecie non omologa (siccome modellata su un rifiuto di rimborso d’imposta, alla anteriore al normativa di diritto interno infra citata, che in effetti rileva), muovono da un postulato di premessa giuridicamente errato.

Donde la loro manchevolezza (e in parte anche la genericità) sotto tutti i profili sollevati.

5. – Il postulato di premessa è che la citata decisione n. 2003/193/CE abbia demandato alla Repubblica italiana di individuare l’applicabilità del recupero in relazione ai singoli casi individuali, a prescindere dall’appartenenza delle imprese al novero delle s.p.a. costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, destinatarie della esenzione triennale dall’imposta sul reddito, e dalla rilevanza della categoria de minimis.

In contrario si osserva che, qualificati i benefici di cui alla c.d. moratoria fiscale (introdotta dal ripetuto D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, come convertito dalla L. n. 427 del 1993, e precisata dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70) come aiuti di Stato dalla citata decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, e confermata, questa decisione, a seguito di impugnazione dello Stato italiano – che aveva frattanto emanato, con la L. n. 62 del 2005, art. 27, una disciplina di carattere interlocutorio -, dalla sentenza della Corte di Giustizia del 1 giugno 2006, in causa C- 207/05, ne è seguito il D.L. n. 10 del 2007, come convertito dalla L. n. 46 del 2007.

La relativa procedura (art. 1) è stata invero attuata dall’agenzia delle entrate, nella presente vicenda, a mezzo di comunicazione- ingiunzione notificata nell’aprile 2007. 6. – Il precipitato giuridico di simile sequenza è nel segno della obbligatorietà del recupero dell’aiuto di Stato, con eccezione della sola appartenenza dell’aiuto individualmente concesso alla categoria de minimis (commi 4 e 9 dell’art. 1 citato), obbligatorietà che non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione, in quanto l’esame della compatibilità di una misura nazionale di aiuti di Stato rientra nella competenza esclusiva della Commissione delle Comunità Europee al punto che nemmeno il giudicato di diritto interno può impedire il recupero detto (v. Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini; Corte di Giustizia, 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub).

E di codesti principi, per quanto infra, l’impugnata sentenza ha fatto corretta applicazione.

Invero, in base all’art. 14, par. 1, del Regolamento (CE) n. 659/1999, in relazione al quale la decisione di recupero risulta emanata, "nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali, la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario". Lo stesso art. 14, al successivo par. 3, stabilisce che "il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione della decisione della Commissione". E in proposito, la Corte di giustizia CE ha affermato che "lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare gli aiuti illegittimi è tenuto, ai sensi dell’art. 249 CE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione" (v., sentenze 12 dicembre 2002, causa C-209/00, Commissione/Germania, Racc. pag. 1-11695, punto 31, e 26 giugno 2003, causa C-404/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. 1-6695, punto 21); e deve giungere – soprattutto – "all’effettivo recupero delle somme dovute" (v., in tal senso, sentenze 12 maggio 2005, causa C-415/03, Commissione/Grecia, Racc. pag. 1-3875, punto 44, nonchè Commissione/Italia, cit., punti 36 e 37) . Che anzi appositamente è stato evidenziato che, ai sensi dell’art. 14, n. 3, del Regolamento CE n. 659/1999, "l’applicazione delle procedure nazionali è soggetta alla condizione che queste ultime consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della commissione, condizione che riflette i requisiti imposti dal principio di effettività sancito precedentemente dalla giurisprudenza (v. sentenze 2 febbraio 1989, causa 94/87, Commissione/Germania, Racc. pag. 175, punto 12; 20 marzo 1997, causa C-24/95, Alcan Deutschland, Racc. pag. 1-1591, punto 24, e 12 dicembre 2002, Commissione/Germania, cit., punti 32-34)" (Corte di giustizia CE, sentenza del 5 ottobre 2006, in causa C-232/05, Commissione/Francia, punti 42 e 49).

Pertanto, la chiave interpretativa della normativa di diritto interno, che qui rileva (in particolare del D.L. n. 10 del 2007) ruota attorno al fine precipuo di garantire l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero.

Nella stessa ottica, d’altronde, si è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – a partire da sez. un. n. 26948/2006 – il principio secondo il quale la conformazione del diritto interno al diritto comunitario deve trovare attuazione anche con riguardo alle regole – processuali o procedimentali – che di tale diritto comunitario possono impedire una piena applicazione.

Consegue che l’atto con il quale, ai sensi del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, l’amministrazione finanziaria procede al recupero degli aiuti (la comunicazione-ingiunzione) è un atto tipizzato in funzione eminentemente liquidatoria, essendo esclusivamente destinato all’uso in argomento ("L’agenzia delle entrate provvede al recupero (..) notificando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita comunicazione, in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo, contenente l’ingiunzione di pagamento delle somme dovute, con l’intimazione che, in caso di mancato versamento entro trenta giorni dalla data di notifica, si procede, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ad iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme non versate, nonchè degli ulteriori interessi dovuti").

Ovverosia è un atto strumentale al mero recupero delle somme de quibus, assimilabile, nella sostanza, quanto a contenuto precettivo, all’ingiunzione di cui al R.D. n. 639 del 1910.

Discende che non è punto richiesta, ai fini della sua legittimità, la contestuale allegazione (nè tanto meno la notifica al beneficiario dell’aiuto) della decisione comunitaria in relazione alla quale l’ingiunzione è adottata, sufficiente essendo che il mentovato presupposto, della necessità di recuperare l’aiuto di Stato nella misura della sua fruizione, sia nell’ingiunzione chiaramente evocato.

Così come non è richiesta, in vista della ingiunzione detta, "la preventiva attivazione di un contraddittorio con la società interessata.

7. – In sostanza, in base alla normativa come sopra ricostruita, l’amministrazione finanziaria ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni, ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/Ce, usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali. E il recupero è escluso solo nell’ipotesi che si tratti di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis.

Sicchè l’onere dell’amministrazione resta limitato dalla necessità di indicare (e poi di provare) che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, e che la stessa abbia effettivamente usufruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (v. per spunti anche Cass. n. 23414/2010), tali elementi esaurendo, in buona sostanza, la motivazione necessaria dell’ingiunzione.

Da qui l’infondatezza di tutti i sopra detti motivi, dal momento che non è controversa la qualità subiettiva della società intimata siccome rientrante nel novero delle anzidette s.p.a., e considerato che la sentenza ha accertatò (1) che la società non aveva invocato la regola de minimis; e (2) che l’ingiunzione conteneva menzione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche del recupero dell’imposta non versata in ragione del regime agevolativo di cui aveva beneficiato l’incorporata Seacs s.p.a..

Nè può considerarsi insufficiente la motivazione dell’impugnata sentenza in ordine alle condizioni dell’azione, in quanto la commissione regionale, stante la obbligatorietà del recupero dell’aiuto di Stato a seguito della decisione della Commissione europea del 5 giugno 2002, n. 2003/193/CE, doveva giustappunto limitare il proprio esame, alla stregua del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, alla sola appartenenza dell’aiuto individualmente concesso alla categoria de minimis, poichè, diversamente operando, avrebbe invaso il campo di competenza proprio della Commissione delle Comunità Europee.

8. – Il settimo mezzo (n. 6, in base alla numerazione della ricorrente) , seppure sotto il profilo del vizio di insufficiente motivazione su fatto asseritamente decisivo, pone la questione della preclusione all’azione di recupero, scaturente dall’eccepito spirare dei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.

Il mezzo è infondato dal momento che l’azione di recupero di somme definitivamente qualificate come aiuti di Stato costituisce vicenda giuridica diversa dal potere di accertamento in generale disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973.

L’azione de qua trae infatti diretto fondamento dalla decisione di recupero, essendo infine disciplinata dalla normativa speciale dettata dal D.L. n. 10 del 2007.

L’azione quindi non è condizionata – diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente – dai termini di decadenza fissati in seno a un differente corpus normativo.

9. – Altrettanto infondato è l’ottavo motivo (n. 7 del ricorso), nel quale si imputa al giudice d’appello di aver errato nel ritenere infondata l’eccezione di prescrizione (del credito d’imposta e di quello per interessi) sollevata dalla società in ragione del decorso, al momento della notifica della comunicazione – ingiunzione, di più di dieci anni dal momento della fruizione degli aiuti.

L’infondatezza è palese se si considera che l’art. 15 del Reg. CE n. 659/1999 ha disposto che sono i poteri della Commissione europea, finalizzati al recupero di aiuti di Stato, soggetti a un periodo limite di dieci anni decorrenti dagli giorno in cui l’aiuto è stato concesso al beneficiario.

Codesto termine – stante il principio di generale prevalenza del diritto comunitario – produce effetti anche di diritto interno, escludendo ab ovo la residua applicabilità di disposizioni potenzialmente incompatibili (cfr. Cass. n. 23418/2010, secondo la quale, in siffatta materia, la normativa nazionale sulla prescrizione andrebbe comunque disapplicata per contrasto con il principio di effettività proprio del diritto comunitario, qualora impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione europea divenuta definitiva).

Può in ogni caso aggiungersi che l’obbligazione restitutoria – cui va correlata l’azione di recupero – sortisce, come detto, dalla declaratoria di illegittimità della misura agevolativa, in quanto dichiarata aiuto di Stato illegittimo, e non dalla normativa nazionale. Lo stesso D.L. n. 10 del 2007, art. 1, è volto a disciplinare le sole modalità attuative della più volte richiamata decisione 2003/193/CE, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia 1.6.2006, in causa C-207/05.

Consegue che neppure è rilevante la circostanza che, nella specie, gli aiuti in oggetto siano stati fruiti nell’anno fiscale 1994, trovando il profilo dei limiti temporali soluzione nella disciplina comunitaria prevalente, nella quale è previsto (art. 15 cit. del Reg. CE) che i poteri della commissione europea, per quanto riguarda il recupero degli aiuti, sono essi stessi soggetti a un termine decennale suscettibile di interruzione da qualsivoglia azione intrapresa dalla Commissione, o da uno Stato membro che agisca su richiesta della Commissione, all’infruttuoso spirare del quale l’aiuto è considerato come un aiuto esistente (sottratto al recupero).

Tanto si impone sui termini prescrizionali interni, i quali non decorrono se non dalla notifica della decisione di recupero.

10. – Una simile conclusione, d’altronde, seppur determinando un assoggettamento in qualche misura retroattivo a imposizione fiscale di redditi considerati esenti, non è in contrasto col principio (ancorchè ritenuto di matrice costituzionale) di affidamento sulla legislazione nazionale.

Sono state infatti ritenute manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 27 e D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, conv., con modificazioni, in L. 6 aprile 2007, n. 46, censurati, in riferimento agli artt. 53 e 97 Cost., in quanto assoggettano retroattivamente all’imposta sui redditi alcuni contribuenti beneficiari di esenzioni fiscali costituenti aiuti di Stato incompatibili con l’ordinamento comunitario, così consentendo all’amministrazione finanziaria di emettere atti impositivi relativi all’Irpeg degli anni dal 1995 al 1998, cioè dopo oltre dieci anni dalla formazione del reddito imponibile (C. cost. n. 36/2009, ord.).

Se n’è offerta significativa ragione in ciò:

(1) che, avendo lo Stato italiano l’obbligo di procedere al recupero delle somme corrispondenti agli aiuti illegali concessi, "le norme censurate – le quali perseguono, appunto, l’obiettivo di porre rimedio all’illecito comunitario commesso dal legislatore italiano mediante l’illegittima attribuzione ad alcuni contribuenti di esenzioni fiscali integranti aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune trovano giustificazione sia nell’art. 117 Cost., comma 1, sia nell’art. 3 Cost., data l’esigenza di ricondurre ad uguaglianza la posizione dei contribuenti, senza che in contrario possa essere opposto il principio dell’affidamento, in quanto l’inapplicabilità delle esenzioni fiscali doveva essere rilevata dagli stessi beneficiari delle agevolazioni";

(2) e che devesi escludere la violazione sia dell’art. 53 Cost., perchè il prelievo fiscale denunciato "non viola il principio di capacità contributiva, in quanto costituisce un recupero dell’ammontare dell’esenzione fiscale indebitamente concessa" (e non è effetto di un’ulteriore imposta a efficacia retroattiva), sia dell’art. 97 Cost., "perchè il recupero delle some corrispondenti ai benefici fiscali indebitamente concessi comporta la sottoposizione ad imposta di redditi che all’epoca della loro formazione erano già imponibili". 11. – Resta da esaminare l’ultimo mezzo (il nono, seppure nel ricorso rubricato col numero 8), in relazione al quale va osservato che l’impugnata sentenza ha ritenuto l’operato dell’ufficio corretto in quanto effettuato nel rispetto della normativa comunitaria e di quella nazionale (Regolamenti CE n. 794/2004 e n. 659/1999, e D.L. n. 10 del 2007).

Ora la ricorrente sostiene l’inconferenza di simile argomentazione, giacchè – a suo dire – essendo stata la decisione di recupero notificata allo Stato italiano il 7 giugno 2002, vale a dire in data anteriore a quella (di notifica) del citato Regolamento CE n. 794/2004, la norma di diritto comunitario evocata per il calcolo degli interessi sarebbe inapplicabile al caso di specie.

Ma il motivo è del tutto infondato, in quanto l’applicabilità del criterio di determinazione degli interessi (di cui al capo 5^ del Reg. CE suddetto) deriva direttamente dalla legge nazionale, e segnatamente, per quanto qui rileva ratione temporis, dalla previsione di cui al D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3. Cosicchè nessun pregio possiede la censura nella parte in cui, invece, riferisce la contestazione all’anteriorità delle decisione di recupero rispetto al Regolamento CE, stante che questo risulta essere semplicemente il parametro, preso dal legislatore nazionale, per il calcolo degli interessi.

12. – In conclusione, quindi, il ricorso è rigettato. Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 12.000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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