Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-04-2012, n. 6539 Esenzioni ed agevolazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Sat s.p.a., poi incorporata da Hera s.p.a., istituita a mente della L. n. 142 del 1990, art. 22, con partecipazione pubblica totalitaria per la gestione di servizi pubblici locali, beneficiò delle esenzioni dalle imposte sui redditi per il triennio stabilito dal D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14 e della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70 (c.d. moratoria fiscale).

Sopravvenuta la decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE, e, poi, in attuazione di essa, la L. n. 62 del 2005 (art. 27, poi modificato dal D.L. n. 10 del 2007, art. 1, come convertito dalla L. n. 46 del 2007), l’agenzia delle entrate notificò la prescritta comunicazione-ingiunzione per il recupero degli importi non versati – qualificati come aiuti di Stato – con i relativi interessi.

Contro codesto atto, la società propose ricorso alla commissione tributaria provinciale di Modena, chiedendo altresì che fosse disposta la sospensione dell’esecuzione.

La commissione tributaria provinciale respinse l’istanza cautelare e, con successiva sentenza, il ricorso della contribuente, ritenendo che l’atto impositivo fosse congruamente e correttamente motivato con riferimento alla indicata decisione della commissione europea (il cui contenuto essenziale era stato nell’atto riprodotto) e che nessuno spazio di discrezionalità il citato D.L. n. 10 dei 2007, aveva determinato, in capo all’amministrazione finanziaria, in ordine alla intrapresa azione di recupero dell’aiuto dichiarato illegittimo.

Reputò infondate l’eccezione di decadenza, ancora sollevata dalla contribuente, e la doglianza relativa al calcolo degli interessi, essendosi l’amministrazione attenuta alle disposizioni comunitarie.

La commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, a sua volta, ha respinto il gravame della incorporante Hera s.p.a., la quale, contro la sentenza di secondo grado, propone ora ricorso per cassazione sorretto da nove motivi.

L’agenzia delle entrate resiste con controricorso. La ricorrente ha depositato una memoria.

Motivi della decisione

1. – Le censure della ricorrente sono articolate, in ordine successivo, nella maniera che segue.

(1) "Nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 47-bis, commi 5 e 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4", non essendo avvenuta la definizione del giudizio di secondo grado con lettura del dispositivo in udienza.

(2) "Vizio di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4", ovvero "in via gradata, vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5", non essendo stato oggetto di pronuncia – ovvero alternativamente, non essendo stato oggetto di motivazione – il profilo di illegittimità sostanziato dal difetto di motivazione della comunicazione-ingiunzione di recupero; profilo dall’impugnante consegnato ad apposito motivo di appello sul rilievo che la decisione europea non aveva disposto l’automatico recupero degli aiuti di Stato nei confronti di tutte le società beneficiarle dell’esenzione d’imposta, ma aveva demandato all’interprete il compito di individuare l’applicabilità della decisione ai singoli casi individuali; sicchè sul punto il provvedimento ingiuntivo aveva omesso di motivare.

(3) "Violazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", non essendo stata dichiarata l’illegittimità della comunicazione-ingiunzione nonostante l’omessa allegazione – e/o l’omessa notifica – della decisione della commissione europea posta a base dell’azione di recupero.

(4) "Violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 27 e del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 (convertito con L. 6 aprile 2007, n. 46), in relazione all’art. 87, paragrafo 1, del Trattato CE e alla decisione della commissione europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", essendo stato confermato il recupero degli aiuti fruiti senza considerare che la società aveva operato in settori al tempo sottratti alla concorrenza, in un regime di monopolio legale, così da rimanere al centro di un caso specifico compatibile con il mercato comune e, pertanto, non rientrante nell’ambito di applicazione della richiamata decisione di recupero.

(5) "Violazione e falsa applicazione del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 (convertito con L. 6 aprile 2007, n. 46), con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", non essendovi stata, nel caso di specie, alcuna "effettiva fruizione" dell’aiuto in oggetto, posto che i maggiori aiuti conseguiti in base alla norma agevolativa erano stati interamente immessi nel circuito pubblico sotto forma di dividendi distribuiti ai soci-enti pubblici, sì da non aver comportato alcuna alterazione della concorrenza.

(6) "Vizio di omessa motivazione circa un secondo fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5", non essendo stato oggetto di adeguata motivazione il profilo di illegittimità che il diritto del contribuente al contraddittorio deve sempre essere garantito; e, ove non lo sia, ciò comporta l’illegittimità dell’atto emanato in mancanza di suo preventivo esperimento.

(7) "Vizio di omessa motivazione circa un terzo fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma, 1, n. 5", non essendo stato oggetto di motivazione il profilo dell’avvenuta decadenza dell’ufficio dal potere di emettere la comunicazione-ingiunzione.

(8) "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", avendo la commissione erroneamente ritenuto infondata l’eccezione sollevata dalla società in merito alla avvenuta prescrizione dei crediti (per imposta e per interessi) oggetto della comunicazione-ingiunzione, essendo decorsi più di dieci anni dal momento di fruizione degli aiuti.

(9) "Violazione e falsa applicazione del regolamento della commissione europea 21 aprile 2004, n. 794/2004, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", in ordine al profilo della spropositata quantificazione degli interessi da applicarsi alle somme richieste a mezzo dell’azione di recupero degli aiuti di Stato, non essendo applicabile alla fattispecie la norma del citato regolamento su cui si era fondato il conteggio degli interessi detti, in ragione della anteriorità della notifica della decisione di recupero.

2. – Nessuna delle esposte censure si rivela condivisibile, donde il ricorso va, nei termini che seguono, rigettato.

3. – Il primo motivo si infrange contro il principio, già da questa Corte affermato, e che qui si ribadisce, che l’art. 47-bis, introdotto nel capo 2, intitolato ai procedimenti cautelare e conciliativo (rispettivamente, artt. 47 e 48), del D.Lgs. n. 546 del 1992 (contenente le disposizioni sul processo tributario), dal D.L. 8 aprile 2008, n. 59, art. 2, comma 1, come convertito dalla L. 6 giugno 2008, n. 101, riguarda testualmente le sole ipotesi in cui "sia stata chiesta in via cautelare la sospensione dell’esecuzione di un atto volto al recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 14 del regolamento (CE) n. 659/1999, del Consiglio, del 22 marzo 1999, di seguito denominata decisione di recupero";

sospensione subordinata, oltre che (lett. b) alla sussistenza di un "pericolo imminente e irreparabile" (riecheggiante il requisito, unico, del "danno grave e irreparabile" di cui al precedente art. 47), al concorso (lett. a) di "gravi motivi di illegittimità della decisione di recupero, ovvero evidente errore nel calcolo della somma da recuperare e nei limiti di tale errore" (comma 1).

Ne deriva che "le controversie relative agli atti di cui al comma 1", richiamate nei successivi commi 4, 5 e 6 (riguardanti la prima fase di merito) e nei comma 7 (inerente il giudizio di appello), non sono genericamente – quelle in cui si discute del recupero di un aiuto di Stato, ma unicamente quelle, di tal genere, nel corso delle quali sia stata dal contribuente conseguita la sospensione dell’atto impugnato, reso, appunto, in esecuzione di una decisione di recupero (cfr. Cass. n. 26285/2010).

Nella specie tanto non risulta avvenuto, essendo dalla stessa ricorrente rappresentato che l’istanza cautelare fu respinta dalla commissione tributaria provinciale di Modena. Sicchè è palese che la prima censura manca del presupposto, sì da risultare, per questo, manifestamente infondata.

4. – Il secondo motivo, richiamando una (per vero isolata) decisione di questa Corte (sent. n. 2428/2010), in verità relativa a fattispecie non omologa (siccome modellata su un rifiuto di rimborso d’imposta, anteriore al normativa di diritto interno infra citata, che in effetti rileva), a sua volta, muove da un postulato di premessa giuridicamente errato. Donde la manchevolezza del mezzo sotto entrambi i profili sollevati, dell’omissione di pronuncia e del vizio di motivazione. Il postulato di premessa è che la citata decisione n. 2003/193/CE abbia demandato alla Repubblica italiana di individuare l’applicabilità del recupero in relazione ai singoli casi individuali, a prescindere dall’appartenenza delle imprese al novero delle s.p.a. costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, destinatarie della esenzione triennale dall’imposta sul reddito, e dalla rilevanza della categoria de minimis.

In contrario si osserva che, qualificati i benefici di cui alla c.d. moratoria fiscale (introdotta dal ripetuto D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, come convertito dalla L. n. 427 del 1993, e precisata dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70) come aiuti di Stato dalla citata decisione della Commissione europea n. 2003/193/CE, e confermata, questa decisione, a seguito di impugnazione dello Stato italiano – che aveva frattanto emanato, con la L. n. 62 del 2005, art. 27, una disciplina di carattere interlocutorio, dalla sentenza della Corte di Giustizia del 1 giugno 2006, in causa C-207/05, ne è seguito il D.L. n. 10 del 2007, come convertito dalla L. n. 46 del 2007.

La relativa procedura (art. 1) è stata invero attuata dall’agenzia delle entrate, nella presente vicenda, a mezzo di comunicazione- ingiunzione notificata nell’aprile 2007.

Il precipitato giuridico di simile sequenza è nel segno della obbligatorietà del recupero dell’aiuto di Stato, con eccezione della sola appartenenza dell’aiuto individualmente concesso alla categoria de minimis (commi 4 e 9 dell’art. 1 citato), obbligatorietà che non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione, in quanto l’esame della compatibilità di una misura nazionale di aiuti di Stato rientra nella competenza esclusiva della Commissione delle Comunità Europee al punto che nemmeno il giudicato di diritto interno può impedire il recupero detto (v. Corte di Giustizia, 18 luglio 2007, in causa C-119/05, Lucchini; Corte di Giustizia, 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub).

Di codesti principi l’impugnata sentenza ha fatto corretta applicazione laddove – in risposta al motivo di gravame richiamato dalla ricorrente – ha concluso (v. pag. 10) che la previsione di cui al D.L. n. 10 del 2007, a proposito degli aiuti de minimis, senza contestuale fissazione di indirizzi per successive verifiche fiscali, "non sta a significare che (..) dal legislatore fosse stata data delega ad un organo funzionale, come l’amministrazione finanziaria, di stabilire, azienda per azienda, dopo averne esaminato la situazione, se l’attività da essa svolta fosse o meno compatibile con il mercato comunitario (..)".

In siffatta corretta affermazione trovasi la risposta alla censura di Hera, facente leva, in sede di appello, su un presunto vizio di motivazione della comunicazione-ingiunzione quanto alla rilevanza del profilo appena esposto.

Consegue che non sussistono i vizi denunziati, essendovi stata la pronuncia sul motivo di gravame ed essendo stata, detta pronuncia, altresì congruamente motivata.

5. – Le considerazioni svolte in ordine all’obbligatorietà del recupero dell’aiuto di Stato rendono ragione, con le precisazioni che seguono, dell’infondatezza dei motivi terzo, quarto, quinto e sesto.

6. – Giova premettere che in base all’art. 14, par. 1, del Regolamento (CE) n. 659/1999, in relazione al quale la decisione di recupero risulta emanata, "nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali, la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario". Lo stesso art. 14, al successivo par. 3, stabilisce che "il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione". E in proposito, la Corte di giustizia CE ha affermato che "lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare gli aiuti illegittimi è tenuto, ai sensi dell’art. 249 CE, ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione di tale decisione" (v. sentenze 12 dicembre 2002, causa C-209/00, Commissione/Germania, Racc. pag. 1-11695, punto 31, e 26 giugno 2003, causa C-404/00, Commissione/Spagna, Racc. pag. 1-6695, punto 21); e deve giungere – soprattutto – "all’effettivo recupero delle somme dovute" (v., in tal senso, sentenze 12 maggio 2005, causa C-415/03, Commissione/Grecia, Racc. pag. 1-3875, punto 44, nonchè Commissione/Italia, cit., punti 36 e 37).

Che anzi appositamente è stato evidenziato che, ai sensi dell’art. 14, n. 3, del Regolamento CE n. 659/1999, "l’applicazione delle procedure nazionali è soggetta alla condizione che queste ultime consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della commissione, condizione che riflette i requisiti imposti dal principio di effettività sancito precedentemente dalla giurisprudenza (v. sentenze 2 febbraio 1989, causa 94/87, Commissione/Germania, Racc. pag. 175, punto 12; 20 marzo 1997, causa C-24/95, Alcan Deutschland, Racc. pag. 1-1591, punto 24, e 12 dicembre 2002, Commissione/Germania, cit., punti 32-34)" (Corte di giustizia CE, sentenza del 5 ottobre 2006, in causa C-232/05, Commissione/Francia, punti 42 e 49).

Pertanto, la chiave interpretativa della normativa di diritto interno, che qui rileva, (in particolare del D.L. n. 10 del 2007) ruota attorno al fine precipuo di garantire l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione di recupero.

Nella stessa ottica, d’altronde, si è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – a partire da sez. un. n. 26948/2006 – il principio secondo il quale la conformazione del diritto interno al diritto comunitario deve trovare attuazione anche con riguardo alle regole – processuali o procedimentali – che di tale diritto comunitario possono impedire una piena applicazione.

7. – Consegue che l’atto con il quale, ai sensi del D.L. n. 10 del 2007, l’amministrazione finanziaria procede al recupero degli aiuti (la comunicazione-ingiunzione) è un atto tipizzato in funzione eminentemente liquidatoria, essendo esclusivamente destinato all’uso in argomento ("L’agenzia delle entrate provvede al recupero (..) notificando, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita comunicazione, in relazione a ciascuna annualità interessata dal regime agevolativo, contenente l’ingiunzione di pagamento delle somme dovute, con l’intimazione che, in caso di mancato versamento entro trenta giorni dalla data di notifica, si procede, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ad iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle somme non versate, nonchè degli ulteriori interessi dovuti").

Ovverosia è un atto strumentale al mero recupero delle somme de quibus, assimilabile, nella sostanza, quanto a contenuto precettivo, all’ingiunzione di cui al R.D. n. 639 del 1910.

Discende che non è punto richiesta, ai fini della sua legittimità, la contestuale allegazione (nè tanto meno la notifica al beneficiario dell’aiuto) della decisione comunitaria in relazione alla quale l’ingiunzione è adottata, sufficiente essendo che il mentovato presupposto, della necessità di recuperare l’aiuto di Stato nella misura della sua fruizione, sia nell’ingiunzione chiaramente evocato.

Così come non è richiesta, in vista della ingiunzione detta, la preventiva attivazione di un contraddittorio con la società interessata.

In sostanza, in base alla normativa appena citata, l’amministrazione finanziaria ha l’obbligo di procedere mediante ingiunzione al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni, ritenute incompatibili con il diritto comunitario dalla decisione della Commissione europea n. 2003/193/Ce, usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, per la gestione dei servizi pubblici locali. E il recupero è escluso solo nell’ipotesi che si tratti di aiuti rientranti nell’ambito di applicabilità della regola de minimis.

Sicchè l’onere dell’amministrazione resta limitato dalla necessità di indicare (e poi di provare) che detta società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990, e che la stessa abbia effettivamente usufruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario (v. per spunti anche Cass. n. 23414/2010), tali elementi esaurendo, in buona sostanza, la motivazione necessaria dell’ingiunzione.

Da qui l’infondatezza del terzo e del sesto motivo, dal momento che non è controversa la qualità subiettiva della società intimata siccome rientrante nel novero delle anzidette s.p.a., e considerato che la sentenza ha accertato che "gli estremi del provvedimento erano indicati nell’ingiunzione" e che già la commissione provinciale aveva affermato che "il contenuto essenziale dell’atto richiamato era stato riprodotto nell’ingiunzione di pagamento". 8. – Il quarto e il quinto motivo a loro volta vanno disattesi in radice, trattandosi della riedizione di tesi già sostenute nelle osservazioni delle imprese municipalizzate (Aem s.p.a., Amga s.p.a. e Acea s.p.a.) interessate al procedimento che ha portato all’adozione della decisione comunitaria di cui prioritariamente si discute (v. il considerando 22 della stessa); e ritenute, dalla richiamata decisione della commissione europea, infondate.

In particolare i profili esposti nei motivi anzidetti – (1) che la società aveva operato in settori al tempo sottratti alla concorrenza, in un regime di monopolio legale; (2) che la stessa era una società a partecipazione pubblica totalitaria; (3) che i maggiori aiuti conseguiti in base alla norma agevolativa erano stati interamente immessi nel circuito pubblico sotto forma di dividendi distribuiti ai soci – non incidono affatto sulla configurazione come aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 87, par. 1, del Trattato, del regime di esenzione di cui si discute, giacchè in tal senso già la decisione comunitaria si è espressa ai considerando ivi rinvenibili sotto i punti 5.1, 5.2. e, soprattutto, 5.3. E difatti la Commissione ha evidenziato che "l’esenzione triennale dall’imposta sul reddito elimina una voce di costo importante nel bilancio di talune imprese che altrimenti sarebbe stata presente"; e che, allo stesso tempo, "l’utile netto del beneficiario risulta pertanto accresciuto rispetto a quello di qualsiasi altra impresa in situazione analoga", sì da poter essere impiegato "per distribuire dividendi più elevati (..)" oppure "utilizzato per realizzare investimenti senza dover reperire nel mercato le risorse finanziarie necessarie"; così da incidere, in definitiva, in ogni caso "sulla concorrenza del mercato nel quale l’investimento è realizzato", consentendo alle imprese interessate di operare "in base a condizioni che altrimenti non sarebbero possibili".

Non rileva, quindi, che l’impresa beneficiarla svolga, o meno, la propria attività al di fuori del singolo Stato membro, ovvero che operi di fatto in regime di monopolio, perchè "il mercato delle concessioni dei cosiddetti "servizi pubblici locali" è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria (..) e soggetto alle regole del Trattato" (v. considerando n. 68), e perchè le misure in esame, da un lato, "incidono sugli scambi tra Stati membri poichè esse danneggiano imprese straniere partecipanti a gare per concessioni locali in Italia, dato che le imprese pubbliche beneficiarle del regime in oggetto possono concorrere a prezzi più competitivi rispetto ai loro concorrenti nazionali o comunitari che non ne beneficiano"; e dall’altro rendono "meno attraente per le imprese di altri Stati membri investire nel settore (..) (ad esempio con acquisto di partecipazione di maggioranza), poichè le aziende eventualmente acquisite non potrebbero beneficiare (o potrebbero perdere) l’aiuto, in conseguenza della natura dei nuovi azionisti" (v. i considerando nn. 69 e ss.).

D’altronde, come puntualizzato nella stessa decisione di recupero, una certa concorrenza, almeno in taluni dei settori di operatività delle s.p.a. ex lege n. 142/1990, comunque esisteva anche al momento dell’entrata in vigore 1 delle misure agevolative (per es. nei settori dei rifiuti, del gas e dell’acqua); ed è principio acquisito, in base ai citati considerando della decisione detta, che, "quand’anche la concorrenza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata", gli Stati membri non possono comunque adottare misure comportanti aiuti "suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza".

Deriva che la qualificazione dell’esenzione triennale di cui si discute, quale aiuto di Stato alle s.p.a. ex lege n. 142 del 1990, costituisce un fatto acclarato dalla decisione suddetta. E di tale decisione surrettiziamente si domanda in questa sede il riesame, con inammissibile invasione di campo della sfera deliberativa riservata all’organismo comunitario.

Nè per escludere il presupposto della "effettiva fruizione" dell’aiuto de quo appare conferente l’insistita equazione (sostenuta dalla società Hera) tra i maggiori aiuti e la distribuzione di dividendi ai soci-enti pubblici, per la essenziale ragione che beneficìaria degli aiuti resta in ogni caso la persona giuridica destinataria della esenzione. E tale profilo non è inciso dalla successiva destinazione in concreto stabilita dagli organi gestori – quanto all’impiego delle maggiori risorse a ciò conseguenti.

Dalle esposte considerazioni discende l’infondatezza delle ripetute censure, in quanto la commissione regionale, stante la obbligatorietà del recupero dell’aiuto di Stato a seguito della decisione della Commissione europea del 5 giugno 2002, n. 2003/193/CE, doveva giustappunto limitare il proprio esame, alla stregua del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, alla sola appartenenza dell’aiuto individualmente concesso alla categoria de minimis, poichè, diversamente operando, avrebbe invaso il campo di competenza proprio della Commissione delle Comunità Europee.

9. – Il settimo mezzo, seppure sotto il profilo del vizio di omessa motivazione su fatto asseritamente decisivo, pone la questione della preclusione all’azione di recupero, scaturente dall’eccepito spirare dei termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.

Il mezzo è infondato dal momento che l’azione di recupero di somme definitivamente qualificate come aiuti, di Stato costituisce vicenda giuridica, diversa dal potere di accertamento in generale disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973.

L’azione de qua trae infatti diretto fondamento dalla decisione di recupero, essendo infine disciplinata dalla normativa speciale dettata dal D.L. n. 10 del 2007. L’azione quindi non è condizionata – diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente – dai termini di decadenza fissati in seno a un differente corpus normativo.

10. – Altrettanto infondato è l’ottavo motivo, nel quale si imputa al giudice d’appello di aver errato nel ritenere infondata l’eccezione di prescrizione (del credito d’imposta e di quello per interessi) sollevata dalla società in ragione del decorso, al momento della notifica della comunicazione-ingiunzione, di più di dieci anni dal momento della fruizione degli aiuti. L’infondatezza è palese se si considera che l’art. 15 del Reg. CE n. 659/1999 ha disposto che sono i poteri della Commissione europea, finalizzati al recupero di aiuti di Stato, soggetti a un periodo limite di dieci anni decorrenti del giorno in cui l’aiuto è stato concesso al beneficiario.

Codesto termine – stante il principio di generale prevalenza del diritto comunitario – produce effetti anche di diritto interno, escludendo ab ovo la residua applicabilità di disposizioni potenzialmente incompatibili (cfr. Cass. n. 23418/2010, secondo la quale," in siffatta materia, la normativa nazionale sulla prescrizione andrebbe comunque disapplicata per contrasto con il principio di effettività proprio del diritto comunitario, qualora impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione europea divenuta definitiva).

Può in ogni caso aggiungersi che l’obbligazione restitutoria – cui va correlata l’azione di recupero – sortisce, come detto, dalla declaratoria di illegittimità della misura agevolativa, in quanto dichiarata, aiuto di Stato illegittimo, e non dalla normativa nazionale. Lo stesso D.L. n. 10 del 2007, art. 1, è volto a disciplinare le sole modalità attuative della più volte richiamata decisione 2003/193/CE, in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia 1.6.2006, in causa C-207/05.

Consegue che neppure è rilevante la circostanza che, nella specie, gli aiuti in oggetto siano stati fruiti nell’anno fiscale 1996, trovando il profilo dei limiti temporali soluzione nella disciplina comunitaria prevalente, nella quale è previsto (art. 15 cit. del Reg. CE) che i poteri della commissione europea, per quanto riguarda il recupero degli aiuti, sono essi stessi soggetti a un termine decennale suscettibile di interruzione da qualsivoglia azione intrapresa dalla Commissione, o da uno Stato membro che agisca su richiesta della Commissione, all’infruttuoso spirare del quale l’aiuto è considerato come un aiuto esistente (sottratto al recupero).

Tanto si impone sui termini prescrizionali interni, i quali non decorrono se non dalla notifica della decisione di recupero.

11. – Una simile conclusione, d’altronde, seppur determinando un assoggettamento in qualche misura retroattivo a imposizione fiscale di redditi considerati esenti, non è in contrasto col principio (ancorchè ritenuto di matrice costituzionale) di affidamento sulla legislazione nazionale.

Sono state infatti ritenute manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della L. 18 aprile 2005, n. 62, art. 27 e D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, conv., con modificazioni, in L. 6 aprile 2007 n. 46, censurati, in riferimento agli artt. 53 e 97 Cost., in quanto assoggettano retroattivamente all’imposta sui redditi alcuni contribuenti beneficiari di esenzioni fiscali costituenti aiuti di Stato incompatibili con l’ordinamento comunitario, cosi consentendo all’amministrazione finanziaria di emettere atti impositivi relativi all’Irpeg degli anni dal 1995 al 1998, cioè dopo oltre dieci anni dalla formazione del reddito imponibile (C. cost. n. 36/2009, ord.).

Se n’è offerta significativa ragione in ciò: (1) che, avendo lo Stato italiano l’obbligo di procedere al recupero delle somme corrispondenti agli aiuti illegali concessi, "le norme censurate – le quali perseguono, appunto, l’obiettivo di porre rimedio all’illecito comunitario commesso dal legislatore italiano mediante l’illegittima attribuzione ad alcuni contribuenti di esenzioni fiscali integranti aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune – trovano giustificazione sia nell’art. 117 Cost., comma 1, sia nell’art. 3 Cost., data l’esigenza di ricondurre ad uguaglianza la posizione dei contribuenti, senza che in contrario possa essere opposto il principio dell’affidamento, in quanto l’inapplicabilità delle esenzioni fiscali doveva essere rilevata dagli stessi beneficiari delle agevolazioni";

(2) e che devesi escludere la violazione sia dell’art. 53 Cost., perchè il prelievo fiscale denunciato "non viola il principio di capacità contributiva, in quanto costituisce un recupero dell’ammontare dell’esenzione fiscale indebitamente concessa" (e non è effetto di un’ulteriore imposta a efficacia retroattiva), sia dell’art. 97 Cost., "perchè il recupero delle somme corrispondenti ai benefici fiscali indebitamente concessi comporta la sottoposizione ad imposta di redditi che all’epoca della loro formazione erano già imponibili". 12. – Resta da esaminare l’ultimo mezzo (il nono), in relazione al quale va osservato che l’impugnata sentenza ha ritenuto mancante di specificità la doglianza relativa alla errata quantificazione degli interessi sulle somme oggetto di recupero, giacchè non erano stati precisati gli errori attinenti alle aliquote indicate partitamente in relazione a ciascun periodo.

Ha quindi affermato che "la natura non tributaria del recupero impedisce di applicare ad esso le norme sugli interessi tributari", così come confermato "dal recente D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 24, comma 4, convertito in L. 28 gennaio 2009, n. 2 (..)" (il quale rinvia alle disposizioni del capo 5^ del Reg. CE n. 794/2004).

Ora la ricorrente sostiene l’inconferenza di simile argomentazione, giacchè – a suo dire – essendo stata la decisione di recupero notificata allo Stato italiano il 7 giugno 2002, vale a dire in data anteriore a quella (di notifica) del citato Regolamento CE, la norma di diritto comunitario evocata per il calcolo degli interessi sarebbe inapplicabile al caso di specie.

Sennonchè, pur dovendosi correggere l’impugnata sentenza quanto alla ritenuta qualificazione dei credito (stante che, diversamente da quanto sostenuto, il credito principale è certamente un credito di natura tributaria, trattandosi del recupero di somme corrispondenti a benefici fiscali anteriormente concessi; e la indicata natura del credito principale possiede forza attrattiva quanto alla correlata qualificazione del credito da interessi), la censura si rivela infondata, dal momento che l’applicabilità del criterio di determinazione degli interessi (di cui al capo 5^ del Reg. CE suddetto) deriva direttamente dalla legge nazionale, e segnatamente, per quanto qui rileva ratione temporis, dalla previsione di cui al D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 3.

Nè la censura soddisfa il fine di necessaria autosufficienza"- così da "rivelarsi sotto questo "profilo inammissibile – quanto al contenuto della comunicazione-ingiunzione in rapporto alla primaria ratio che ha indotto il giudice di merito alla reiezione del corrispondente motivo di appello. Ratio incentrata sul difetto di specificità del motivo medesimo non essendo stati evidenziati gli errori nel computo degli interessi, direttamente correlabili ai saggi ("le aliquote", secondo il lessico impiegato dalla commissione regionale) in concreto applicati.

13. – In conclusione, quindi, il ricorso è rigettato. Le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 12.000,00, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 24 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *