Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-10-2011) 28-10-2011, n. 39180

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 25/10/2010, la Corte di appello di Cagliari, confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari, in data 24 gennaio 2006, che aveva condannato G.A. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 500,00 di multa per due episodi di truffa e di ricettazione di assegni di illecita provenienza.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce mancanza, contradditorietà e manifesta illogicità della motivazione. Al riguardo si duole che la responsabilità dell’imputato sia stata accertata sulla base di un quadro probatorio frammentario ed insufficiente in relazione all’accertamento dell’identità dell’agente. Eccepisce, inoltre, che non sussisterebbero gli estremi della truffa, nei due episodi contestati, non essendo sufficiente la semplice consegna di una assegno insolvibile ad integrare gli estremi della condotta punibile.

Infine si duole del trattamento sanzionatorio, eccependo che i giudici del merito avrebbero dovuto applicare all’imputato una pena più mite, in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p..

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente inondati.

Per quanto riguarda la contestazione in punto di sussistenza degli estremi della truffa, le censure sono manifestamente infondate. Non v’è dubbio, infatti, che il reato di truffa possa essere integrato dal rilascio di un assegno, in pagamento della merce acquistata, che si riveli successivamente inesigibile (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 41461 del 2309/2003 Ud. (dep. 30/10/2003) Rv. 227683; Sez. 2, Sentenza n. 6936 del 23/11/1997 Ud. (dep. 10/06/1998) Rv. 21109).

L’accertamento se le modalità di acquisto della merce e di rilascio del titolo inesigibile integrino gli artifici e raggiri richiesti dalla norma per perfezionare il reato di truffa è una questione di fatto, che non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità, ove la conclusione raggiunta dai giudici di merito sia sorretta, come nel caso in esame, da motivazione congrua e logicamente coerente.

Ugualmente inammissibili per manifesta infondatezza sono le censure in punto di dosimetria della pena. La Corte d’appello ha preso in esame il relativo motivo di impugnazione e lo ha rigettato, osservando che il giudice di primo grado aveva applicato all’imputato la pena minima di legge per il delitto di ricettazione con la riduzione massima per le attenuanti ed un aumento minimo per la continuazione.

Tale motivazione, precisa e congrua, non presenta alcun vizio di illogicità. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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