Cons. Stato Sez. IV, Sent., 01-12-2011, n. 6347 Piano di lottizzazione convenzionato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1.1. Il Collegio reputa necessaria una diffusa illustrazione della vicenda da cui è scaturita la decisione qui impugnata per revocazione, in quanto essenziale per la comprensione delle censure revocatorie dedotte dalla parte ricorrente e per la definizione del relativo giudizio.

Il Sig. C. C. è proprietario, unitamente ai Signori D. B., L. B. e R. M., di alcuni terreni estesi per mq. 27.341,00 mq ubicati nel Comune di Diamante (Cosenza), località San Francesco e distinti in catasto al foglio di mappa n. 5, particelle numeri 14, 314 e 422.

Per tali terreni, ricadenti secondo il vigente Piano regolatore generale comunale in zona Tea- Turistico Alberghiera, il C. ha presentato, con istanza dd. 17 marzo 2000 acquisita al protocollo del Comune di Diamante in pari data al n. 2390, una domanda di autorizzazione per la formazione di un piano di lottizzazione ad iniziativa privata, denominato "Pina Pin".

Dalla presentazione di tale hanno sono scaturite complesse vicende già rese oggetto di vari ricorsi in sede di giurisdizione amministrativa, posto che la domanda anzidetta ha dapprima subito numerosi rinvii nella sua trattazione da parte del Consiglio Comunale, e quindi è stata oggetto di più provvedimenti negativi poi annullati in sede giurisdizionale.

Ai fini che qui interessano, giova evidenziare che la lottizzazione proposta è stata respinta una prima volta con deliberazione del Consiglio Comunale n. 37 dd. 1 settembre 2003.

Tale diniego, impugnato con ricorso proposto sub R.G. 1472 del 2003 innanzi al T.A.R. per la Calabria, sede di Catanzaro, è stato sospeso in sede cautelare con ordinanza n. 557 dd. 20 novembre 2003 resa dalla Sezione I del T.A.R. medesimo con invito all’organo consiliare a riesaminare il provvedimento.

Il C., non avendo il Consiglio aderito all’invito del giudice, ha quindi presentato un ulteriore ricorso per l’esecuzione dell’ordinanza anzidetta, accolto dal medesimo T.A.R. con ordinanza n. 245 dd. 22 aprile 2004, recante la nomina di un Commissario ad acta, il quale, in difetto dell’adempimento da parte del Consiglio Comunale, avrebbe quindi provveduto al riguardo.

Nel frattempo, il medesimo T.A.R. aveva disposto, mediante sentenza n. 1283 dd. 20 maggio 2004 resa su ricorso parimenti ivi proposto sub R.G. 507 del 2004 dallo stesso C., l’annullamento della deliberazione del Consiglio Comunale di Diamante n. 11 dd. 10 febbraio 2004, recante l’adozione di una prima variante allo strumento urbanistico che limitava l’edificazione sui terreni del ricorrente.

L’annullamento di tale deliberazione è avvenuto in quanto essa era stata adottata con l’intervento di meno di un terzo dei membri dell’organo consiliare.

Successivamente il Commissario ad acta nominato in forza della predetta ordinanza n. 245 del 2004 ha interpellato il T.A.R. chiedendo se nel riesame del diniego opposto al Sig. C. si dovesse tenere conto anche della medio tempore adottata deliberazione di Consiglio Comunale n. 39 dd. 20 luglio 2004, mediante la quale era stato introdotto un vincolo di inedificabilità assoluta su di una vasta area del territorio comunale interessata dalla presenza di un complesso di Ruderi denominato Cirella, resa concomitantemente oggetto di una proposta di vincolo paesistico da parte del Ministero dei Beni Culturali e comprendente, tra l’altro, la proprietà del C.

Con ordinanza n. 45 dd. 15 luglio 2005 il T.A.R. ha fornito al Commissario ad acta i chiarimenti da lui chiesti, affermando che il riesame del diniego doveva essere effettuato con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente alla data del riesame medesimo e che, comunque la testè riferita deliberazione consiliare n. 39 dd. 20 luglio 2004 risultava revocata per effetto della susseguente deliberazione consiliare n. 9 dd. 18 aprile 2005.

Va qui anche evidenziato che lo stesso Consiglio Comunale, pur disponendo tale revoca, ha contestualmente introdotto un più circoscritto vincolo di inedificabilità assoluta nell’area immediatamente circostante i Ruderi di Cirella e rappresentata in azzurro nella planimetria allegata alla deliberazione medesima.

In relazione a tale circostanza il C. ha impugnato innanzi al T.A.R. sub R.G. 833 del 2005 pure la testè citata deliberazione consiliare n. 9 del 2005.

Con deliberazione n. 27 dd. 4 agosto 2005 il Commissario ad acta, interpretando i chiarimenti forniti dal T.A.R., ha approvato il predetto piano di lottizzazione presentato in data 17 marzo 2000. Peraltro, l’Amministrazione Comunale non ha dato esecuzione a tale provvedimento, dimodochè in data 11 dicembre 2006 il C. ha notificato all’Amministrazione medesima un formale atto di diffida ad eseguire la deliberazione commissariale mediante la conseguente stipula della conseguente di lottizzazione e il rilascio dei titoli edilizi

In esito a tale diffida, con nota Prot. 13387 dd. 29 dicembre 2006 l’Amministrazione Comunale di Diamante ha comunicato al C. di non poter provvedere a quanto da lui chiesto poiché la deliberazione commissariale n. 27 del 2005 era stata revocata per effetto della deliberazione del Consiglio Comunale n. 42 dd. 24 agosto 2005.

1.1.2. In dipendenza di tutto ciò, con ricorso proposto sub R.G. 231 del 2007 innanzi al T.A.R. di Catanzaro il C. ha pertanto chiesto l’annullamento sia della nota Prot. 13387 del 2006, sia della deliberazione consiliare n. 42 del 2005, deducendo al riguardo l’avvenuta violazione degli artt. 21quinquies, 7 e 8, nonché 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241 e – ancora – eccesso di potere per difetto di istruttoria ovvero per difetto di motivazione.

In questo primo giudizio non si è costituito il Comune di Diamante.

Con sentenza n. 385 dd. 30 aprile 2007, resa à sensi dell’allora art. 21, decimo comma, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 come aggiunto dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000 n. 205, la Sezione I dell’adito T.A.R., dopo aver precisato che l’impugnata deliberazione consiliare n. 42 del 2005 andava riguardata non già quale provvedimento recante una revoca ma quale provvedimento di annullamento della deliberazione commissariale adottato a pretesa autotutela dell’Amministrazione Comunale, ha accolto il ricorso sotto l’assorbente profilo della violazione dell’art. 21quinquies della L. 241 del 1990, nel testo a quel momento vigente.

Il giudice di primo grado ha in tal senso rilevato che nel caso di specie il Commissario ad acta aveva agito a seguito di apposito provvedimento giurisdizionale e che, per tale ragione, l’Amministrazione non poteva annullare d’ufficio i provvedimenti da questi adottati in esecuzione di decisioni giurisdizionali, rispetto alle quali l’Amministrazione medesima era rimasta inerte: e ciò in quanto gli atti del Commissario ad acta sono al caso impugnabili soltanto davanti all’autorità giurisdizionale che lo ha nominato, ossia il giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 2005 n. 1952).

Il T.A.R. ha compensato integralmente tra le parti le spese del giudizio.

1.2.1. Con susseguente sentenza n. 84 dd. 23 gennaio 2008 la stessa Sezione I del T.A.R. di Catanzaro, previa riunione, ha accolto "limitatamente a quanto di interesse del ricorrente" i predetti ricorsi rispettivamente proposti sub R.G. 833 del 2005 avverso la deliberazione consiliare n. 9 dd. 18 aprile 2005 recante il vincolo di in edificabilità assoluta nell’area dei Ruderi di Cirella e sub R.G. n. 1472 del 2003 avverso la deliberazione n. 37 dd. 1 settembre 2003 del Consiglio Comunale di Diamante avente ad oggetto il diniego di approvazione del piano di lottizzazione presentato dal C., la deliberazione consiliare n. 12 dd. 14 maggio 2003 avente ad oggetto "Proposta dell’assessore Sollazzo" e la deliberazione consiliare n. 20 dd.13 giugno 2003 avente ad oggetto "Approvazione verbale seduta precedente".

Con la stessa sentenza il giudice di primo grado ha dichiarato in parte inammissibile e per il resto rigettato una domanda di risarcimento concomitantemente azionata dal medesimo C. sub R.G. 1472 del 2003.

Con il ricorso proposto sub R.G. 1472 del 2003 avverso il diniego di autorizzazione alla lottizzazione e gli atti ad esso presupposti il C. ha dedotto eccesso di potere per sviamento, ingiustizia manifesta, insussistenza di vincolo paesaggistico, violazione, falsa ed erronea interpretazione ed applicazione normativa vigente in materia di tutela paesaggistica, violazione, falsa ed erronea interpretazione ed applicazione normativa vigente in materia di tutela paesaggistica, violazione dell’art.49 del T.U. approvato con D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267, perplessità e contraddittorietà dell’azione amministrativa e falsa motivazione.

Secondo il C., il Consiglio Comunale era incorso nel vizio di eccesso di potere per sviamento in quanto aveva respinto il piano di lottizzazione per tutelare future varianti in senso restrittivo al piano regolatore non ancora adottate.

Il C. ha pure contestato sia la necessità – viceversa affermata dall’Amministrazione Comunale nel medesimo provvedimento di diniego – del rilascio di un nuovo nullaosta paesaggistico in ragione di una nuova proposta di vincolo trasmessa dalla Soprintendenza per i beni archeologici di Reggio Calabria in data 30 novembre 2000, sia l’assunto dell’Amministrazione Comunale secondo il quale il piano di lottizzazione da lui proposto sarebbe difforme rispetto alla destinazione impressa alle relative aree dal vigente Piano regolatore.

Nel ricorso proposto sub R.G. 833 del 2005 avverso la deliberazione consiliare n. 9 dd. 18 aprile 2005 recante il vincolo di in edificabilità assoluta nell’area dei Ruderi di Cirella il C. ha quindi dedotto l’avvenuta violazione degli artt. 3 e 7 della L. 241 del 1990, l’avvenuta violazione degli artt. 2, 3 e 11 comma 3 della L.R. 16 aprile 2002 n.19, violazione del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 327 ed eccesso di potere per sviamento.

Secondo il C., il provvedimento impugnato, proprio in quanto incisivo sulla sua sfera giuridica, avrebbe dovuto essere preceduto dall’avviso dell’avvio del procedimento deputato alla sua emanazione, con conseguente rispetto delle garanzie per la propria partecipazione al procedimento, oltre a tutto ulteriormente rafforzate dalla L.R. 19 del 2002: il che, per l’appunto, non sarebbe avvenuto.

Sempre secondo il C., risultavano pure nella specie violati anche gli artt. 9 e 11 del T.U. approvato con D.P.R. 327 del 2001, i quali parimenti presuppongono la partecipazione del proprietario del bene al procedimento per l’apposizione del vincolo espropriativo; senza sottacere, da ultimo, che l’Amministrazione Comunale avrebbe adottato il provvedimento impugnato non già per tutelare l’interesse pubblico, ma al solo fine di impedire la realizzazione dell’opera alla cui realizzazione egli ha interesse.

1.2.2. Il giudice di primo grado ha innanzitutto diffusamente riepilogato i fatti di causa, evidenziando l’invero abnorme lunghezza e complessità del procedimento.

Secondo lo stesso T.A.R., il provvedimento commissariale di approvazione della lottizzazione presentata del C. rimaneva comunque vincolato al positivo esito del ricorso proposto sub R.G. 1472 del 2003, posto che al riguardo doveva intendersi valido il principio per cui, nel caso in cui il giudice amministrativo sospenda in sede cautelare gli effetti di un provvedimento e l’Amministrazione si adegui con un atto consequenziale al contenuto dell’ordinanza cautelare, non è configurabile l’improcedibilità del ricorso o la cessazione della materia del contendere (rispettivamente se il successivo atto sia sfavorevole o favorevole all’originario ricorrente): e ciò in quanto l’adozione non spontanea dell’atto consequenziale, con il quale l’Amministrazione dà esecuzione all’ordinanza di sospensione degli effetti di un provvedimento, non comporta la revoca del precedente provvedimento sospeso e ha una rilevanza provvisoria in attesa che la sentenza definitiva del merito di causa affermi se il provvedimento sospeso è stato – o meno – legittimamente adottato (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 5 agosto 2005 n. 4165).

In relazione a ciò, quindi, il giudice di primo grado ha evidenziato che il thema decidendum del ricorso ivi proposto sub R.G. 1472 del 2003 si identificava essenzialmente con la statuizione circa l’illegittimità – o meno – del diniego dell’autorizzazione alla lottizzazione contenuto nella deliberazione consiliare n. 37 dd. 2003, nonché degli atti ad esso presupposti.

Tale impugnativa è stata accolta dal T.A.R. richiamando innanzitutto l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’assenso dell’Amministrazione (comunale o regionale) al piano di lottizzazione non è atto dovuto, ma è pur sempre espressione del potere discrezionale della stessa circa l’opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale; e ciò per evidenti motivi di opportunità, infatti, l’attuazione dello strumento urbanistico può essere articolata per tempi e modalità in relazione alle mutevoli esigenze che, di fatto, si possono manifestare nel periodo di vigenza dello strumento generale (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2004 n. 957 e 2 marzo 2001 n. 1181).

In particolare il giudice di primo grado ha affermato che, nella fattispecie, le valutazioni rimesse all’Amministrazione Comunale in sede di esame dell’istanza di lottizzazione a scopo edilizio presentata dal privato dovrebbero essenzialmente la corrispondenza o meno del progetto presentato alle previsioni contenute nello strumento urbanistico vigente.

Lo stesso giudice ha pure osservato che se è vero che l’approvazione del piano di lottizzazione, ancorchè conforme al piano regolatore vigente, non è atto dovuto, allo stesso tempo l’eventuale provvedimento di diniego dell’approvazione non può fare riferimento ad esigenze che esulino dalle evidenze urbanistiche ed edilizie, dovendo – per l’appunto – considerare nel proprio impianto motivazionale soltanto il contrasto del relativo progetto con le prescrizioni di legge, di regolamento o degli strumenti urbanistici vigenti, ovvero l’intervenuta modifica della disciplina delle aree interessate dal proposto piano di lottizzazione per effetto di un nuovo strumento urbanistico (ovvero di sue varianti) adottato ma non ancora approvato (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2004 n. 957), fermo comunque restando che in sede di rilascio del provvedimento abilitativo l’Amministrazione Comunale non ha il potere di introdurre limiti alle facoltà edificatorie dei privati che risultino ulteriori rispetto a quelli di fonte legale o di piano.

Il giudice di primo grado ha anche affermato che, nella specie, la fase istruttoria del procedimento di approvazione del piano, proprio in quanto lunga e articolata, avrebbe ragionevolmente concorso ad ingenerare in capo al C. un affidamento circa l’esito positivo dello stesso a fronte dell’attività complessivamente posta in essere dall’Amministrazione Comunale, non dovendosi sottacere in tal senso la circostanza per cui la pratica era stata regolarmente istruita dal responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune, il quale sin dal 27 dicembre 2002 aveva licenziato la proposta di deliberazione consiliare deputata ad approvare il piano di cui trattasi.

Nondimeno – ha rilevato lo stesso T.A.R. – al termine di una articolata fase istruttoria, l’Amministrazione Comunale ha negato l’approvazione del piano di lottizzazione sulla base "di molteplici ragioni, tra cui le principali di natura urbanistica".

In particolare il diniego opposto dal Comune si è fondato sui seguenti elementi.

1) L’insorgenza di una nuova proposta di vincolo da parte della Soprintendenza archeologica della Calabria.

2) Considerazioni attinenti al merito tecnico, con le quali è stata censurata la complessiva disposizione della lottizzazione, auspicando un maggiore accorpamento degli spazi.

3) La lottizzazione si configurerebbe, nel suo insieme, come "un ammasso di seconde case" e non sarebbe, quindi, conforme alla destinazioneturistico alberghiera dell’area.

4) Lo stesso Consiglio Comunale con le proprie deliberazioni n. 12 dd. 14 maggio 2003 e n. 20 dd. 13 giugno 2003, avrebbe imposto all’Ufficio Tecnico Comunale di astenersi dall’istruire pratiche da sottoporre al Consiglio Comunale relativamente alla zona intorno ai Ruderi di Cirella, approvando contestualmente delle misure di salvaguardia immediatamente esecutive.

Il giudice di primo grado ha accolto in proposito tutte le censure formulate dal C., evidenziando, rispettivamente, quanto segue:

1) L’assunto relativo alla sopravvenuta, nuova proposta di vincolo paesaggistico a motivazione archeologica da parte della Soprintendenza archeologica della Calabria non potrebbe fondare il diniego impugnato, posto che, ove pur fosse stato necessario il rilascio di una nuova autorizzazione paesaggistica, ciò comunque non avrebbe giustificato la reiezione del piano di lottizzazione, tra l’altro già istruito e per il quale era stato già emesso in precedenza altro nulla osta paesaggistico in considerazione del vincolo vigente; e, semmai, qualora si fosse ritenuta la necessità dell’ulteriore autorizzazione, il procedimento deputato all’approvazione del piano di lottizzazione doveva essere sospeso in attesa della pronuncia dell’Amministrazione competente ad esprimersi sulla conformità paesaggistica del piano medesimo.

2 – 3) Le dianzi descritte motivazioni sub 2 e sub 3 risulterebbero complessivamente "affidate a formule generiche ed apodittiche".

In particolare la motivazione dianzi descritta sub 2, relativa alla necessità di accorpare le aree della lottizzazione, anche al di là della "assoluta genericità", si collocherebbe ad avviso del giudice di primo grado in chiara contraddizione con il resto della motivazione del provvedimento, e ciò in quanto quest’ultima risulterebbe volta a non approvare la lottizzazione, e non già ad imporre dei cambiamenti nel merito della stessa, risultando in tal senso inequivoco che nel dispositivo della deliberazione si afferma che il piano di lottizzazione è semplicemente non approvato, senza alcun accenno alle modifiche suggerite dianzi dallo stesso Consiglio Comunale.

Ancor di più generica – anche a prescindere dalla mancanza, da parte del Consiglio Comunale, di qualsivoglia disamina delle caratteristiche della lottizzazione proposta – risulterebbe ad avviso del T.A.R. la motivazione sub 3, laddove si definisce il piano di lottizzazione "un ammasso di seconde case", con la conseguente affermazione di un giudizio di non conformità del piano medesimo rispetto alla strumentazione urbanistica vigente; secondo lo stesso giudice, all’interno delle N.T.A. del vigente P.R.G. relative alla destinazione a "centro turistico alberghiero -Tca" non si riscontrerebbe, a parte le prescrizioni relative agli standard urbanistici, alcuna particolare prescrizione relativa alle caratteristiche della strutture realizzabili, limitandosi le disposizioni medesime ad indicare che devono essere realizzate "strutture turistico alberghiere", senza ulteriori dettagli di sorta; né andrebbe sottaciuto che il piano di lottizzazione prevede comunque una struttura adibita a reception e la residenzialità stagionale, dimodochè non potrebbe comunque essere affermata la sussistenza di un contrasto con le previsione del piano regolatore vigente.

4) Per quanto attiene al motivo descritto sub 4, relativo all’approvazione di misure di salvaguardia da parte del Consiglio Comunale, il T.A.R. ha innanzitutto rilevato che nella deliberazione consiliare n. 12 del 2003 si legge, tra l’altro, che "è intenzione di questa amministrazione in tempi rapidi di adottare una variante al P.R.G. imposta, tra l’altro, dalle nuove norme urbanistiche regionali ed evidenzia che il P.R.G. in itinere è stato adottato dalla volontà di un commissario ad acta e non degli amministratori".

Secondo il giudice di primo grado il Consiglio Comunale esprimerebbe essenzialmente, con ciò, delle mere linee programmatiche, senza quindi formulare disposizioni concretamente volte ad "ampliare il vincolo ambientalearcheologico, preservando la collina attorno ai Ruderi di Cirella dalla cementificazione".

Peraltro, nella medesima deliberazione si legge – altresì – che "l’Ufficio Tecnico Comunale si deve astenere a istruire (sic!) pratiche da sottoporre al Consiglio Comunale relativamente alla zona collinare (area) intorno ai Ruderi di Cirella, evidenziata dall’Assessore Sollazzo che già da oggi diventa "misura di salvaguardia", nel mentre con la susseguente deliberazione n. 20 del 13 giugno 2003 risulta puntualmente descritta l’estensione dell’area tutelata, con allegazione la relativa planimetria, peraltro con la contestuale affermazione che nella specie non si tratterebbe di nuovi vincoli "ma solo di norme di salvaguardia intorno ai Ruderi di Cirella".

Il C. ha evidenziato che il contenuto di tali disposizioni violava le allora vigenti L. 3 gennaio 1968 n. 1187 e L. 3 novembre 1952 n. 1902, affermando che il presupposto per l’adozione delle misure di salvaguardia si identificherebbe con il provvedimento di adozione della variante al piano regolatore, peraltro per certo non adottata mediante le deliberazioni sopradescritte.

L’Amministrazione Comunale – a sua volta – nel costituirsi in giudizio ha affermato che nella specie sarebbe configurabile una variante di tipo c.d. "normativo" o "di salvaguardia", per effetto della quale l’organo consiliare si sarebbe limitato a recepire dei vincoli autonomi per la tutela di valori ambientali e paesistici considerati in una prospettiva specificamente urbanistica.

La possibilità di adottare consimili provvedimenti è stata condivisa in linea di principio dal T.A.R., ma con la notazione che ciò non eliminava la questione principale, ossia che mediante le predette deliberazioni nn. 12 e 20 del 2003 non sarebbe stata in realtà adottata alcuna variante, ancorchè "normativa" o "di salvaguardia", essendo state soltanto con esse programmate le linee di una futura ed eventuale variante al piano regolatore e dovendosi comunque reputare illegittimità l’espressione di un diniego di rilascio dell’autorizzazione a lottizzazione motivato essenzialmente con la possibile introduzione di future modifiche al piano regolatore vigente, posto che gli strumenti urbanistici in itinere sono sorretti da misure di salvaguardia, con impossibilità di modifica medio tempore della situazione in atto solo per quanto attiene al rilascio dei titoli edilizi.

Il T.A.R. ha in tal senso evidenziato che in assenza di adozione di variante alla strumentazione urbanistica vigente il Consiglio Comunale ha nondimeno disposto che l’Ufficio Tecnico si astenesse dall’istruire pratiche da sottoporre al Consiglio medesimo relativamente alla zona collinare attorno ai Ruderi di Cirella., rimarcando che – anche a prescindere dal problema se tale misura si possa applicare al piano di lottizzazione presentato dal C., in quanto già istruito e già all’esame del Consiglio Comunale medesimo – la misura di salvaguardia, adottata prima dell’adozione della variante al piano regolatore, di per sé non assume valore.

Il giudice di primo grado ha pure rimarcato che il diniego opposto dall’amministrazione al piano di lottizzazione risulterebbe ex se illegittimo anche in caso di presenza di una misura di salvaguardia: infatti, in caso di adozione di variante ostativa al rilascio di una concessione edilizia, l’Amministrazione Comunale non potrebbe "tout court" negare il rilascio del titolo edilizio, ma dovrebbe applicare le misure di salvaguardia, ossia sospendere temporaneamente le determinazioni sulla domanda di concessione (cfr. al riguardo Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2005 n. 7030), e a suo avviso tale principio non potrebbe che valere anche per un piano di lottizzazione ad iniziativa privata.

In relazione a tutto ciò, pertanto, il giudice di primo grado ha ravvisato la sussistenza del vizio di eccesso di potere per sviamento e di difetto di motivazione, posto che l’impugnato diniego, anche a prescindere dalla sua contraddittorietà interna, in realtà non entrerebbe in alcun modo nel merito del piano, se non in materia generica, sostanziandosi di fatto quale "strumento" per preservare le intenzioni dell’Amministrazione Comunale di imporre un vincolo sull’area: intenzioni peraltro che, all’epoca del diniego stesso non erano state tradotte nella formale adozione di una variante urbanistica.

In considerazione di tutto quanto sopra, pertanto, il ricorso proposto sub R.G. 1472 del 2003 è stato accolto, con conseguente annullamento degli atti con esso impugnati, per quanto di interesse dello stesso C…

1.2.3. Per quanto attiene al ricorso proposto dal C. sub R.G. 833 del 2005 avverso a deliberazione consiliare n. 9 dd. 18 aprile 2005 recante il vincolo di in edificabilità assoluta nell’area dei Ruderi di Cirella, il T.A.R. ha innanzitutto respinto l’opposizione della difesa del Comune alla fissazione della pubblica udienza per la trattazione del ricorso, motivata con la circostanza che la causa stessa era già stata cancellata dal ruolo delle pubbliche udienze su istanza dello stesso C. formulata in data 27 aprile 2007.

Il giudice di primo grado ha motivato la reiezione dell’opposizione affermando che nel processo amministrativo, il provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo, sebbene non previsto dal rito amministrativo, conosce tuttavia una larga applicazione nella prassi curiale per apprezzabili finalità di economia processuale, essendo assimilabile, quanto a finalità ed effetti, alla sospensione del processo disciplinata dall’art. 296 c.p.c. e che per la cancellazione della causa dal ruolo devono concorrere determinate condizioni e sussistere un interesse apprezzabile la cui verifica è demandata al giudice, fermo restando che essa non può comunque essere utilizzata per raggiungere lo scopo tipico della rinuncia al ricorso.

Per quanto attiene al merito della controversia, il giudice di primo grado ha rimarcato che con l’impugnata delibera consiliare n. 9 del 2005 è stata disposta non solo la revoca della precedente deliberazione consiliare n. 39 del 2004 istituiva un vincolo di inedificabilità assoluta su un’area interessata dalla presenza del complesso dei Ruderi di Cirella, ma è stato contestualmente adottata una diversa variante al P.R.G in attesa dell’approvazione del nuovo strumento urbanistico, recante un vincolo di inedificabilità assoluta per una zona più ristretta circostante i ruderi medesimi.

Tale zona è stata "evidenziata in colore azzurro nell’allegata planimetria" e in essa è incluso pure il terreno del C..

Con la medesima deliberazione il Consiglio Comunale ha – altresì – dichiarato espressamente di confermare il valore dell’atto del Ministero dei Beni e delle Attività culturali – Soprintendenza Archeologica della Calabria Prot. 26932 dd. 30 novembre 2000, recante per tale area una proposta di vincolo anche paesaggistico relativa alla dichiarazione di area di interesse archeologico ai sensi dell’allora vigente art. 146 del D.L.vo 29 ottobre 1999 n. 490.

Ciò posto, ad avviso del T.A.R., "la vicenda relativa alla proposta di lottizzazione presentata" dal C. non sarebbe "stata gestita in maniera adeguata dalle amministrazioni interessate", avuto riguardo all’ " attenzione che richiederebbe la rilevanza della proposta" stessa, "che comunque prevede la costruzione di ventimila metri quadri in una zona considerata in maniera unanime… come di grande pregio paesaggistico ed archeologico, e comunque attualmente sottoposto a vincolo paesaggistico. I vincoli sono tra l’altro in fase di ampliamento, vista la proposta di vincolo archeologico della Soprintendenza Archeologica della Calabria del 30.11.2000 e l’ulteriore procedimento di vincolo, in corso, ad opera del Soprintendente Regionale per i Beni e le Attività culturali della Calabria per la dichiarazione, ai sensi dell’art. 10, comma 3, del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42, della sussistenza dell’interesse culturale sull’area interessata dalla presenza dei Ruderi".

Secondo il T.A.R. sussisterebbe indubitabilmente nel "sistema" un potere del Comune di procedere alla tutela del proprio territorio utilizzando gli strumenti del piano regolatore generale e delle relative varianti, posto che la disciplina urbanistica del territorio del Comune si attua, principalmente, per mezzo del piano regolatore generale comunale, il quale à sensi dell’art. 7 della L. 17 agosto 1942 n. 1150 deve considerare la totalità del territorio comunale e deve indicare "i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico".

In tal senso, quindi, in sede di adozione del piano regolatore generale il Consiglio Comunale è per certo competente a valutare e a disciplinare gli interessi storici, ambientale e paesistici, esercitando al riguardo una competenza che trova la sua giustificazione nella funzione precipua del piano quale strumento di compiuto governo del territorio.

Tale competenza – afferma sempre il T.A.R. – risulta, allo stesso tempo, del tutto autonoma rispetto a quelle attribuite in materia allo Stato e alla Regione e, perciò, in linea di principio non viene esclusa dalla legge statale e regionale, ma si aggiunge ad essa, posto che la tutela delle bellezze ambientali e paesistiche raffigura un obiettivo connaturale e primario per la pianificazione urbanistica, perseguibile anche mediante la previsione di aree soggette ad inedificabilità (Cass. civ, SS.UU., 19 novembre 1996, n. 10098).

Sempre ad avviso del T.A.R., tale potestà va peraltro esercitata all’interno dei consolidati principi in materia di strumenti urbanistici generali, e in tal senso andrebbe pertanto ribadito che la variante di un piano regolatore generale recante una nuova destinazione ad aree già urbanisticamente classificate, necessita, per consolidata giurisprudenza (cfr., ad es. Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2005 n. 3524) se le preesistenti destinazioni siano assistite da almeno una delle sottoelencate condizioni, ossia:

a) l’esistenza di un piano di lottizzazione già approvato;

b) l’esistenza di un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia o di silenzio rifiuto su una domanda di concessione;

3) la reiterazione di un vincolo scaduto.

Ad avviso del giudice di primo grado il caso di specie non rientrerebbe invero in tali ipotesi, ma presenterebbe evidenti analogie con quello oggetto della decisione resa da Cons. Stato, Sez. IV, 25 febbraio 2003 n. 2386, laddove il dato incontestabile della previa conoscenza da parte dell’Amministrazione Comunale del piano di lottizzazione avviato all’approvazione è stato considerato quale presupposto per la necessità di una specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che, pur in presenza del piano medesimo, avrebbero giustificato il mutamento della destinazione urbanistica delle aree nello stesso ricomprese.

Sempre secondo il T.A.R., la necessità di una motivazione specifica della previsione urbanistica sarebbe ulteriormente confermata dalla circostanza che la variante impugnata dal C. riguarda un numero limitato di terreni, posto che oltre che per i casi in cui vi sia una particolare situazione soggettivo del proprietario dei terreni, la motivazione è dovuta anche nel caso di varianti specifiche ad oggetto circoscritto (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2006 n. 8040 e da ultimo Cds 28.12.2006 n. 8040); né, sempre ad avviso dello stesso T.A.R., la motivazione specifica per la legittima apposizione del vincolo di in edificabilità potrebbe nella specie reputarsi individuata nella relativa proposta, il cui contenuto è invero limitato all’enunciazione dell’utilità dell’apposizione di quest’ultimo sull’intera area costiera della punta di Cirella e sugli immediati dintorni, senza peraltro recare riferimento alla particolare situazione della proprietà del C..

L’insieme delle sopradescritte considerazioni ha pertanto indotto il giudice di primo grado ad annullare la variante impugnata.

1.2.4. Per quanto da ultimo attiene alla domanda risarcitoria concomitantemente proposta dal C. sub R.G. 1472 del 2003, il T.A.R. ha innanzitutto escluso che potesse essere in tal senso considerata la mancata realizzazione delle opere contemplate dal piano di lottizzazione, posto che la relativa vicenda non risultava ancora conclusa.

Al più, secondo lo stesso T.A.R. poteva ammettersi un risarcimento per responsabilità da illecito ritardo, assumendo in tal senso come riferimento il periodo intercorso tra il 27 dicembre 2002, data in cui la proposta di deliberazione del responsabile dell’Ufficio Tecnico del comune di Diamante, favorevole al C., è stata per la prima volta presentata per l’approvazione in Consiglio Comunale, e l’adozione della deliberazione commissariale n. 27 dd. 4 agosto 2005 recante l’approvazione del piano di lottizzazione: ma ferma restando l’inammissibilità della domanda risarcitoria per mancata realizzazione della lottizzazione (e, quindi, anche del danno per la "mancata stipula della convenzione" allegato dal C. medesimo), tale responsabilità poteva estendersi soltanto agli ulteriori danni derivanti dalla spese di manutenzione del terreno, dalla stipula di una polizza fideiussoria nonché dal finanziamento richiesto per la pratica edilizia.

Il giudice di primo grado ha peraltro ritenuto che tali voci di danno non siano state nella specie comprovate, e ha pertanto respinto la domanda che le riguardava.

1.2.5. Il giudice di primo grado ha comunque condannato l’Amministrazione Comunale al pagamento delle spese di giudizio sia per il ricorso proposto sub R.G. 1472 del 2003, sia per il ricorso proposto sub R.G. 833 del 2005, liquidandole nella complessiva misura di Euro 4.500,00.

2.1. Il Comune di Diamante ha dapprima qui proposto sub R.G. 5868 del 2007 appello avverso la sentenza del T.A.R. n. 385 del 2007, recante l’annullamento sia della deliberazione consiliare n. 27 del 2005 con la quale il piano di lottizzazione di cui trattasi era stato approvato, sia l’annullamento della conseguente nota comunale Prot. 13387 del 2006.

Con ordinanza n. 4352 dd. 28 agosto 2007 questa Sezione ha accolto, à sensi dell’allora vigente art. 33 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, la domanda di sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata, rilevando che la sentenza medesima, "col disporre l’annullamento della deliberazione consiliare n. 42 del 2005, di revoca della deliberazione commissariale n. 27 del 2005, comporta (va) la reviviscenza di quest’ultima (adottata per l’esecuzione delle Ordinanze n. 557 del 2003 e n. 245 del 2004 rese dal T.A.R. in sede cautelare nell’ambito del ricorso R.G. n. 1472 del 2003 proposto per l’annullamento della deliberazione consiliare n. 37 del 2003 di diniego di approvazione della controversa lottizzazione), la definitività dei cui effetti risulta condizionata all’esito favorevole del citato ricorso n. 1472 del 2003", a quel tempo infatti ancora pendente in primo grado; inoltre, sempre secondo la Sezione, "controversa risulta (va) pure l’applicabilità alla fattispecie sostanziale degli effetti della delibera consiliare n. 9 del 2005, impugnata con altro ricorso (R.G. 833 del 2005)", parimenti a quel tempo pendente in primo grado, e che "pertanto, sulla base di un bilanciamento degli opposti interessi in ordine al danno dedotto e tenuto conto della opportunità di pervenire al giudizio di mérito una volta che risultino definiti i sopraindicati giudizi strettamente connessi a quello in esame, si rende (va) opportuno sospendere l’esecuzione della sentenza impugnata".

2.2. Il Comune di Diamante ha quindi qui impugnato sub R.G. 2806 del 2008 la sentenza del T.A.R. n. 84 del 2008, a sua volta recante, in accoglimento del ricorso in primo grado R.G. 1472 del 2003 l’annullamento della deliberazione consiliare n. 37 del 2003 di diniego di approvazione del piano di lottizzazione e delle presupposte deliberazioni consiliari n. 12 del 2003 e n. 20 del 2003, nonché recante, in accoglimento del ricorso in primo grado R.G. 833 del 2005, l’annullamento della deliberazione consiliare n. 9 del 2005 istitutiva del vincolo di in edificabilità riguardante – tra l’altro – pure l’area interessata dalla lottizzazione medesima.

Con ordinanza n. 2124 dd. 22 aprile 2008, resa sempre à sensi dell’allora vigente art. 33 della L. 1034 del 1971, la Sezione ha respinto la domanda di sospensione cautelare della sentenza impugnata, "considerato l’inattualità, allo stato, della gravità e irreparabilità dei danni paventati".

2.3. I due ricorsi in appello sono stati entrambi chiamati per la prima volta in decisione alla pubblica udienza del 24 novembre 2009.

Con decisione interlocutoria n. 8631 dd. 22 dicembre 2009 la Sezione ha innanzitutto riunito i due procedimenti, "sussistendo evidenti ragioni di connessione d’ordine oggettivo, soggettivo e processuale", e ha quindi rilevato che "deve… convenirsi con il primo Giudice nel considerare che il provvedimento commissariale di approvazione della lottizzazione presentata dall’originario ricorrente (oggetto del provvedimento comunale di revoca annullato con la sentenza n. 385 del 2007 impugnata con l’atto di appello n. 5868 del 2007, con conseguente reviviscenza degli effetti del provvedimento commissariale medesimo), in quanto adottato in stretta esecuzione delle Ordinanze n. 537 del 2003 e n. 245 del 2004 rese dal T.A.R. in sede cautelare nell’ambito del ricorso R.G. n. 1472 del 2003 di impugnazione dell’originario diniego di approvazione della controversa lottizzazione, ha una rilevanza meramente provvisoria, non potendo ogni ulteriore effetto favorevole al privato insorto per impugnare il diniego stesso che conseguire dalla pronuncia definitiva di mérito di accoglimento del ricorso introduttivo, la quale, rimuovendo dalla realtà giuridica detto originario diniego, valga così a configurare l’intervenuta esecuzione in senso favorevole al privato stesso dell’ordinanza cautelare come atto avente connotati ed effetti anticipatori dell’attività, cui l’Amministrazione dovrebbe ritenersi obbligata in via successiva in virtù dell’effetto conformativo della pronuncia definitiva medesima".

In dipendenza di ciò, la Sezione ha quindi ritenuto "la pregiudizialità logicogiuridica della trattazione dell’appello R.G. n. 2806 del 2008, con il quale viene infatti aggredita la sentenza (n. 84 del 2008), che ha appunto accolto il citato ricorso di primo grado n. 1472 del 2003" e, "con riguardo al secondo (R.G. n. 833 del 2005) dei ricorsi di primo grado definiti ed accolti con la sentenza T.A.R. n. 84 del 2008 impugnata con l’atto di appello R.G. n. 2806 del 2008", ha reputato "necessario acquisire, ai fini della delibazione del primo motivo di appello, copia autentica del verbale d’udienza del T.A.R. a quo in data 27 aprile 2007, nella parte concernente il ricorso R.G. n. 833 del 2005, che all’udienza stessa risulta, per concorde prospettazione delle parti, esser stato trattato senza peraltro esser trattenuto in decisione".

In data 27 gennaio 2010 il Direttore della Segreteria della Sezione Prima del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, sede di Catanzaro,incaricato dell’incombente istruttorio testè descritto, ha provveduto al deposito del verbale di cui trattasi.

Alla pubblica udienza del 16 marzo 2010 la causa è stata quindi nuovamente trattenuta per la decisione.

2.4. Con decisione n. 2545 dd. 4 maggio 2010 la Sezione:

a) ha accolto il ricorso in appello proposto sub R.G. 5868/2007 e, in riforma della sentenza del T.A.R. n. 385 del 2007, ha conseguentemente respinto il ricorso proposto in primo grado dal C. sub R.G. 231 del 2007;

b) ha accolto in parte, "nei sensi e nei limiti di cui in motivazione", il ricorso in appello proposto sub R.G. n. 2806 del 2008 e, in parziale riforma della sentenza T.A.R. n. 84 del 2008, ha respinto il ricorso proposto in primo grado dal C. sub R.G. 833 del 2005;

c) ha confermato la statuizione di accoglimento del ricorso proposto in primo grado dal C. sub R.G. 1472 del 2003, contenuta sempre nella medesima sentenza del T.A.R. n. 84 del 2008.

La Sezione ha integralmente compensato tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

In conseguenza di ciò, quindi, l’assetto discendente dalle dianzi riferite statuizioni è il seguente:

a) in dipendenza della reiezione del ricorso proposto in primo grado dal C. sub R.G. 231 del 2007, seguitano a dispiegare effetto la deliberazione consiliare n. 42 del 2005 di revoca (recte: annullamento) della deliberazione commissariale n. 27 del 2005 e la conseguente nota Prot. 13387 del 2006;

b) in dipendenza della reiezione ricorso proposto in primo grado dal C. sub R.G. 833 del 2005 seguita a dispiegare effetto la deliberazione consiliare n. 9 del 2005, recante l’imposizione di un vincolo di inedificabilità assoluta riguardante anche l’area interessata dal piano di lottizzazione presentato dal C.

c) in dipendenza della conferma della statuizione di accoglimento del ricorso proposto in primo grado dal C. sub R.G. 1472 del 2003, rimangono annullate la deliberazione consiliare n. 37 del 2003 recante il diniego di approvazione del piano di lottizzazione presentato all’Amministrazione Comunale dal medesimo C. in data 17 marzo 2000, nonché le presupposte deliberazioni consiliari n. 12 del 2003 e n. 20 del 2003.

3.1. A questo punto, il C. ha dunque proposto à sensi dell’art. 106 e ss. cod. proc. amm. ricorso per revocazione avverso la sopradescritta decisione n. 2545 del 2010, resa da questa stessa Sezione.

3.2.1. I motivi di ricorso possono riassumersi ed essere contestualmente decisi così come appresso indicato.

3.2.2. Con un primo motivo, inerente al ricorso in appello proposto sub R.G. 5868 del 2007 e segnatamente relativo alla sorte della deliberazione consiliare n. 42 del 2005 di annullamento della deliberazione commissariale n. 27 del 2005, il C. rimarca che nella decisione n. 2545 del 2010 resa da questa stessa Sezione si afferma, a pag. 23 e ss., relativamente alla predetta deliberazione consiliare n. 42 del 2005, che "detto provvedimento di revoca (motivato con riferimento alla illegittimità della deliberazione del Commissario ad acta n. 27 in data 4 agosto 2005 per non aver essa tenuto conto del vincolo di inedificabilità assoluta introdotto sulla zona circostante i Ruderi di Cirella con delibera consiliare n. 9 del 2005 e pertanto correttamente qualificato dal T.A.R. come "annullamento per motivi di legittimità, anche se il provvedimento utilizza il termine revoca") è stato dal Giudice di primo grado annullato per aver lo stesso ritenuto fondato "l’assorbente profilo della violazione dell’art. 21 quinquies della legge 7.8.90, n. 241 e dei principi in materia di autotutela", individuata in particolare nell’impossibilità per l’Amministrazione, ricavata dall’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa che ritiene che "gli atti del Commissario ad acta siano impugnabili solo davanti all’autorità giurisdizionale che lo ha nominato", di "agire autonomamente in autotutela" laddove "ritenga che le delibere adottate dal commissario ad acta, nominato dal giudice amministrativo, siano affette da illegittimità" (pagg. 5 – 6 sent.). Fondata si rivela la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c. formulata con l’atto di appello. Nella fattispecie, invero, l’originario ricorrente aveva sì basato il ricorso (anche) sulla violazione dell’art. 21quinquies della L. 241 del 1990, ma solo per contestare la sussistenza delle "condizioni previste tassativamente dal Legislatore per potere esercitare il potere di autotutela soprattutto in riferimento a provvedimenti di revoca" (pag. 17 ric. orig.) ed in particolare la non ricavabilità, "dal tenore del provvedimento impugnato", di "circostanze sopravvenute" o di altri "elementi non valutati o valutabili in sede di emanazione" del provvedimento oggetto di autotutela, che rappresenterebbero "l’unica – da considerarsi eccezionale – ipotesi che legittima la P.A. a rimuovere i provvedimenti commissariali" (pag. 18 ric. orig.).

Nella doglianza svolta dal ricorrente, dunque, non veniva affatto evidenziata né lamentata quella impossibilità di annullamento da parte dell’Amministrazione di delibere adottate dal Commissario ad acta quale organo ausiliare del Giudice, che il T.A.R. ha ritenuto di ricavare non dall’insussistenza delle condizioni per l’esercizio di autotutela lamentata dal ricorrente, ma unicamente dalla carenza assoluta in capo all’Amministrazione del potere "di correggere l’azione (ritenuta) illegittima del Commissario dovendo essa, a tale scopo, rivolgersi al giudice" (pag. 6 sent.). Evidente si appalesa quindi il vizio di ultrapetizione, nel quale è incorso il primo Giudice nell’esaminare una questione (o, meglio, un motivo), quale quella della preclusione per l’Amministrazione dell’esercizio di poteri di autotutela per "correggere" le illegittimità eventualmente commesse dal Commissario ad acta, non espressamente formulata o sollevata nel ricorso introduttivo e che nemmeno può ritenersi tacitamente proposta nella dedotta violazione dell’art. 21quinquies della L. 7 agosto 1990, n. 241, che si rivela del tutto estranea all’assorbente profilo, che ha condotto il T.A.R. all’accoglimento del ricorso di primo grado.

Invero, nel processo amministrativo di tipo demolitorio, in cui l’oggetto del giudizio è costituito dalla questione di legittimità dell’atto impugnato in relazione esclusivamente ai motivi denunciati con il ricorso, deve ritenersi violato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ogni volta che il Giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, àlteri, come nella fattispecie è avvenuto, uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione di annullamento proposta, quali debbono ritenersi "i motivi su cui il ricorso si fonda" (art. 6 n. 3 T.U. C.S. e 17 reg. proc.), che come esattamente dedotto dall’appellante, rappresentano la causa petendi e cioè la ragione per cui l’azione viene proposta. La statuizione di erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto sussistente il veduto vizio, vale a dare ingresso ai motivi di censura assorbiti in primo grado da detta pronuncia, nella misura in cui essi risultino effettivamente devoluti dalle parti alla cognizione del Giudice di appello. Rileva in proposito il Collegio come, nella fattispecie, sia del tutto assente il necessario presupposto della riproposizione espressa dei motivi di primo grado ad opera dell’odierno appellato, limitandosi questi, con riferimento peraltro ad uno solo di quei motivi (omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di adozione della contestata deliberazione consiliare n. 42 del 2005), a contestare, "per mero tuziorismo", le deduzioni contenute nell’atto di appello quanto alla applicabilità al caso all’esame dell’art. 21octies della L. 241 del 1990, prescindendo del tutto dal riproporre specificatamente la censura di primo grado cui tale controversa applicabilità pertiene ed in particolare omettendo del tutto di riprodurre le relative deduzioni ed argomentazioni".

Secondo la prospettazione del C., l’ordine di censure che nella decisione resa da questa stessa Sezione è reputato assente sia nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado proposto sub R.G. 231 del 2007, sia nel correlativo atto di appello, risulterebbe per contro enunciato laddove è stata segnatamente dedotta la violazione dell’art. 21quinquies della L. 241 del 1990, nonché "l’eccesso di potere per violazione della normativa e dei principi in materia di autotutela, con particolare riferimento ai provvedimenti commissariali".

Il Collegio, per parte propria, rileva innanzitutto che l’omesso esame di un motivo di ricorso può dar ingresso al giudizio di revocazione della sentenza, quando costituisce errore di fatto di tipo revocatorio, e non già errore di diritto: e ciò anche quando cade sull’esistenza o sul contenuto di atti processuali e determina un’omissione di pronuncia, purché quest’ultima sia identificabile attraverso la motivazione della sentenza (cfr. sul punto Cons.giust.amm.sic, sez. giurisd., 2 maggio 2003 n. 178).

Nel caso di specie, la violazione dell’art. 112 c.p.c. da parte del giudice di primo grado è stata puntualmente colta nella decisione resa da questa Sezione laddove si afferma che il ricorrente in primo grado aveva inteso censurare l’assenza delle "condizioni previste tassativamente dal Legislatore per potere esercitare il potere di autotutela soprattutto in riferimento a provvedimenti di revoca" (pag. 17 ric. orig.), ossia di istituto normato per l’appunto dall’art. 21quinquies della L. 241 del 1990, e non già di annullamento, altro e differente istituto disciplinato a sua volta dalle altrettanto ben diverse disposizioni segnatamente contenute nell’art. 21octies della medesima L. 241 e alle quali il C. medesimo si è richiamato solo "per mero tuziorismo" in sede di appello, laddove – per contro, e come è ben noto – non possono essere introdotte censure ulteriori e diverse rispetto a quelle già formulate in primo grado.

Nella stessa decisione è stato inoltre correttamente evidenziato che nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado si era affermato che "dal tenore del provvedimento impugnato" non era dato di ricavare la sussistenza di "circostanze sopravvenute" o di altri "elementi non valutati o valutabili in sede di emanazione" del provvedimento oggetto di autotutela, che rappresenterebbero "l’unica – da considerarsi eccezionale – ipotesi che legittima la P.A. a rimuovere i provvedimenti commissariali" (pag. 18 ric. orig.).

L’assunto, oggi valorizzato dal C. e segnatamente riferito all’avvenuta deduzione di un "eccesso di potere per violazione della normativa e dei principi in materia di autotutela, con particolare riferimento ai provvedimenti commissariali" non è dunque – come egli vorrebbe – polisenso, ossia riferibile alla sussistenza di un vizio inerente all’esercizio da parte del Consiglio Comunale non solo del potere di revoca, ma anche del potere di annullamento.

Come è ben noto, il vizio che dà ingresso all’impugnazione per revocazione di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c. è correntemente definito come "abbaglio dei sensi che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa" (così, ex plurimis e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 23 febbraio 2011 n. 1145): ma nel caso di specie tale "abbaglio" non si rinviene nella decisione qui impugnata, essendo stato – semmai – dapprima subìto dal Consiglio Comunale laddove ha reputato di adottare la revoca di un provvedimento che esso intendeva viceversa annullare, poi subìto dal ricorrente in primo grado laddove ha strumentato il relativo ricorso soltanto in funzione della "revoca" formalmente disposta dall’organo consiliare e, da ultimo, subìto dallo stesso giudice di primo grado, il quale – a sua volta – ha affermato la fondatezza dell’assunto giurisprudenziale (intrinsecamente corretto) secondo cui l’Amministrazione non può annullare in sede di autotutela la determinazione del commissario "ad acta" che ha operato presso di sè, riferendolo peraltro in modo del tutto erroneo ad un motivo di ricorso recante in via esclusiva la descrizione di un vizio nell’esercizio del potere di revoca, e non già di annullamento: ossia, riferendolo ad una censura in realtà non dedotta.

Né può essere accolta un’ulteriore prospettazione dello stesso C. con la quale è stata dedotta l’omessa considerazione, nella decisione resa dalla Sezione, della circostanza che il provvedimento di revoca (rectius: di annullamento) formato dall’organo consiliare era stato in realtà adottato in carenza assoluta di potere, e doveva quindi reputarsi nullo, ossia da vizio rilevabile anche ex officio dal giudice.

Tale prospettazione, infatti, non può essere ricondotta alla previsione di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., ovvero all’omesso esame di un motivo di impugnazione, poiché inerisce chiaramente ad un supposto errore non già di fatto, ma di diritto: e ciò proprio in quanto si sostanzia in una diversa definizione giuridica della fattispecie, configurandosi per questa via come deduzione di una censura ulteriore e del tutto nuova rispetto a quelle contenute nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado.

3.2.3. Con un secondo motivo, relativo sempre al ricorso in appello proposto sub R.G. 5868 del 2007 – e, quindi, parimenti relativo alla sorte della deliberazione consiliare n. 42 del 2005 di annullamento della deliberazione commissariale n. 27 del 2005 – il C. contesta un assunto contenuto a pag. 25 e ss. della decisione qui impugnata e peraltro già considerato, sia pure sotto diverso profilo, nel motivo di ricorso già illustrato e deciso al Par. 3.2.2. della presente sentenza.

Con tale assunto la Sezione ha reputato "del tutto assente il necessario presupposto della riproposizione espressa dei motivi di primo grado ad opera dell’odierno appellato, limitandosi questi, con riferimento peraltro ad uno solo di quei motivi (omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di adozione della contestata deliberazione consiliare n. 42 del 05), a contestare, "per mero tuziorimo", le deduzioni contenute nell’atto di appello quanto alla applicabilità al caso all’esame dell’art. 21octies della L. 241 del 1990, prescindendo del tutto dal riproporre specificatamente la censura di primo grado cui tale controversa applicabilità pertiene ed in particolare omettendo del tutto di riprodurre le relative deduzioni ed argomentazioni".

In buona sostanza, il C. afferma che l’assunto surriportato sarebbe erroneo in quanto le censure già da lui dedotte in primo grado sarebbero state puntualmente riproposte nel grado di appello, e che tale riproposizione risulterebbe, in particolare, dalla lettura delle pagine 19 e 20 del controricorso, laddove – per l’appunto – si legge che "risulta… evidente come la partecipazione della ditta C. avrebbe potuto apportare un contributo determinante al procedimento sfociato nella delibera di revoca oggetto del giudizio di primo grado… In sostanza l’Amministrazione appellante non ha fornito in giudizio la benchè minima prova della superfluità della violazione procedimentale facendo riferimento esclusivamente a mere asserzioni…".

Peraltro, anche tale ulteriore prospettazione del C. non può avere ingresso nel presente giudizio di revocazione, posto che anche la censurata omissione della comunicazione di avvio del procedimento è stata comunque da lui riferita, innanzi al T.A.R. e anche in sede di appello, alla mancata acquisizione di un contributo partecipativo inerente ad un procedimento di secondo grado deputato alla revoca, e non già all’annullamento dell’anzidetta deliberazione commissariale.

3.2.4. Da ultimo, il C. contesta, nella parte della decisione relativa al ricorso in appello proposto sub R.G. 2806 del 2008 e inerente quindi la sorte della deliberazione consiliare n. 9 del 2005 recante il vincolo di in edificabilità sull’area di sua proprietà, quanto ivi affermato a pag. 15 e ss., laddove si afferma "insussistente in tutta la sua latitudine il vizio di difetto di motivazione, come individuato dal Giudice di primo grado nella indicata deliberazione di variante assunta dal Comune in data 18 aprile 2005… essendo il controverso Piano di lottizzazione (oggetto del diniego di approvazione, di cui alla deliberazione consiliare n. 37 del 2003 pure annullata con la sentenza n. 84 del 2008 qui appellata) non compatibile con la nuova vocazione legittimamente impressa al suolo. Ogni questione circa la legittimità o meno di tale diniego (oggetto della successiva trattazione) può rilevare ai soli, ipotetici, fini risarcitori (non oggetto del presente giudizio di appello), essendo ogni eventuale riedizione del potere amministrativo spettante al Comune in ordine all’approvazione del piano di lottizzazione di cui si tratta (che, com’è noto, non è atto dovuto, anche se conforme al piano regolatore generale, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell’autorità chiamata a valutare l’opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi fra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di formale coincidenza: Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2001 n. 1181, id., sez. IV, 2 marzo 2004, n. 957; id., sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248) limitata ad una mera verifica astratta, da porsi in essere ora per allora, dei contenuti del piano di lottizzazione, quale strumento particolareggiato ed attuativo delle prescrizioni del P.R.G. allora vigente, senza che ciò implichi, in caso di esito positivo di una siffatta verifica (che dev’essere congruamente istruita e motivata), la possibilità di concreta esecuzione di tale strumento di pianificazione del territorio comunale mediante la successiva stipula della relativa convenzione e per mezzo del pure successivo rilascio del titolo o dei titoli edilizi, alla concreta estrinsecazione dello ius aedificandi derivante dall’approvazione dello strumento attuativo ostando, come s’è visto, il sopravvenuto vincolo di inedificabilità assoluta dell’area, la cui opponibilità all’originario ricorrente deve ritenersi pacifica, non essendosi affatto in presenza, nel caso di specie, di un giudicato che – in disparte gli eventi sopravvenuti – formatosi in data anteriore alla variante, abbia inciso sulla pretesa sostanziale vantata, cristallizzandola con effetto retroattivo (Cons. Stato, Sez. IV, n. 1431 del 2009, cit.)".

Il C. afferma che con ciò la Sezione avrebbe in buona sostanza dato per scontato che il piano di lottizzazione da lui presentato non sarebbe compatibile con la nuova vocazione impressa dalla deliberazione consiliare n. 9 del 2005, contestando quindi l’idoneità di quest’ultima a mutare l’assetto urbanistico dell’area.

Ma, se così è, ancora una volta l’attuale ricorrente formula una censura non riconducibile alla previsione di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c., in quanto essa si sostanzia non già nell’illustrazione di un preteso errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudicante, ma in una diversa – e, perciò, inammissibile – definizione giuridica della fattispecie, dovendosi anche in questo caso ribadire che l’attività esegetica rientra nell’alveo proprio dell’esercizio del potere giurisdizionale, e – a differenza dell’errore di fatto, che deriva dalla supposizione di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti – non può pertanto essere resa oggetto della domanda di revocazione (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 19 ottobre 2009 n. 2374).

4. Il ricorso per revocazione in epigrafe va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese e gli onorari del giudizio seguono la regola della soccombenza, e sono liquidati nel dispositivo.

Va – altresì – dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002. n. 115 e successive modifiche.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio,

complessivamente liquidati nella misura di Euro 5.000,00., oltre ad I.V.A. e C.P.A.

Dichiara – altresì – irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002. n. 115 e successive modifiche.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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