Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6631 Difformità e vizi dell’opera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 14.7.94 le società Lavori Costruzioni s.r.l. e Turistitalia s.r.l citarono al giudizio del tribunale di Bari la società Officina Meccanica CIMA & C. di Boggia Ernesto s.n.c, esponendo di averle affidato in appalto lavori edilizi, da eseguirsi presso un albergo in (OMISSIS), per conto di entrambe, e presso un fabbricato in (OMISSIS), per conto della prima, ma che le opere non erano state eseguite a regola d’arte, per cui chiesero la condanna dell’appaltatrice, in via principale, all’eliminazione dei vizi, in subordine, alla riduzione dei prezzi, ed, in ogni caso, al risarcimento dei danni, rispettivamente quantificati in L. 250.000.000 e L. 12.500.000. Costituitasi la convenuta contestò, sotto vari e gradati profili, l’ammissibilità e la fondatezza delle domande, successivamente eccependo anche la prescrizione.

Al suesposto giudizio fu riunito per connessione quello relativo all’opposizione proposta dalla società Lavori e Costruzioni contro il decreto ingiuntivo, che l’appaltatrice aveva chiesto ed ottenuto per il pagamento della somma di L. 4.164.594, a saldo dei lavori eseguiti in (OMISSIS). All’esito della disposta consulenza tecnica di ufficiosa società eccepì la nullità dell’appalto espletato in (OMISSIS)..perchè le relative opere non erano assentite da concessione edilizia ed, in replicale attrici proposero, all’udienza di precisazione delle conclusioni, subordinata domanda di ripetizione d’indebito relativamente agli eseguiti pagamenti.

Con sentenza del 20.1.04 il G.O.A della sezione – stralcio dell’adito Tribunale, accertata l’esistenza di vizi in entrambi gli appalti, condannò la convenuta, con riferimento a quello in (OMISSIS) al pagamento di Euro 107.340,00, oltre interessi rivalutazione, e, relativamente a quello in (OMISSIS), revocato il decreto ingiuntivo ed operata la compensazione tra i reciproci creditizi pagamento di Euro 647,33 con interessi, oltre a quello delle spese processuali.

Proposto appello dalla soccombente, resistito per quanto di rispettivo interesse dalle appellate, separatamente costituitesi, la Corte di Bari, con sentenza del 1/28.12.06, rigettava il gravame e confermava, sia pur con motivazione diversa da quella adottata dal primo giudice, la decisione impugnata, ponendo le spese del grado a carico dell’appellante.

La sentenza veniva motivata nei seguenti essenziali termini:

a) l’appello, pur carente nella vocatio in ius, era tuttavia ammissibile, sia perchè la costituzione dell’appellata, ancorchè eccipiente, Turistitalia aveva sanato ex tunc il vizio, tale effetto dovendo ritenersi alla stregua di una corretta interpretazione dell’art. 164 c.p., e poi codificata dal legislatore del 1990, anche nel testo antecedente la "novella", sia perchè nella fattispecie sarebbe stato configurabile, tra le due società appellate creditrici solidali, un’ipotesi di "litisconsorzio unitario", con la conseguente applicabilità dell’art. 331 c.p.c.;

b) per quanto atteneva alla condanna relativa ai lavori eseguiti in (OMISSIS), vi era stata acquiescenza, come riconosciuto dalla stessa appellante;

c) quanto ai vizi afferenti le opere in (OMISSIS), pur non essendo condivisibile, sia in fattoria in diritto, l’assunto del primo giudice, secondo cui vi sarebbe stato un riconoscimento, con conseguente applicabilità dell’ordinario termine decennale di prescrizione, laddove invece si rendeva applicabile quello biennale previsto dall’art. 1667 c.c., questo era comunque stato ripetutamente interrotto da diversi documentati atti di costituzione in mora e non era ancora decorso all’atto dell’instaurazione del giudizio;

d) altrettanto erroneamente il primo giudice aveva disatteso l’eccezione di nullità dell’appalto suddetto, che invece si palesava fondata ex artt. 1346 e 1418 c.c., essendo emerso che le opere attenevano ad un intervento edilizio incrementativo, non assentito da concessione, diretto alla realizzazione di un nuovo volume abitativo;

e) conseguentemente ammissibile (come peraltro ritenuto anche dal primo giudice che pur non la aveva esaminata) risultava la domanda di ripetizione d’indebito, ancorchè formulata solo all’udienza di precisazione delle conclusioni, sia perchè il comportamento processuale "anodino" della controparte, che nulla aveva eccepito nella circostanza, nè nella comparsa conclusionale, accennando all’inammissibilità soltanto nella memoria di replica, aveva comportato una implicita accettazione del contraddittorio, sia perchè la stessa era stata "proposta dalle attrici per reagire alla nuova eccezione della convenuta di nullità del contratto", facoltà quest’ultima che, sebbene codificata dalle modifiche all’art. 183 c.p.c., comma 5 apportate dalle L. n. 353 del 1990, L. n. 80 del 2005 e L. n. 263 del 2005, avrebbe dovuto ritenersi già consentita, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata (a tutela dei diritti di difesa ed eguaglianza) della norma processuale, anche nel testo previgente, nella specie applicabile;

f) tale ultima domanda era, nel merito, fondata, essendo incontestata la circostanza che i lavori in questione fossero stati integralmente pagati dalle committenti;

g) sul quantum andava confermata la somma determinata dal primo giudice, considerato che al riguardo, pur essendosi il medesimo "arrogato" un potere equitativo di riduzione del credito da restituzione (in realtà accertato in L. 247.417.727), le appellate non avevano proposto gravame incidentale.

Contro la suddetta sentenza la società Officina Meccanica ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Hanno resistito, con rispettivi controricorsi, le società intimate, proponendo la Turistitalia ricorso incidentale condizionato, cui la ricorrente principale ha replicato con controricorso ex art. 371 c.p.c., comma 4. La ricorrente principale ha infine depositato una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt 183 e 184 c.p., della L. n. 353 del 1990, art. 90 come mod. e sost. Dal D.L. n. 571 del 1994, art. 4 conv. in L. n. 673 del 1994 e dal D.L. n. 432 del 1995, art. 9 conv. in L. n. 534 del 1995.

Le doglianze attengono alla ritenuta ammissibilità della domanda nuova di ripetizione d’indebito, censurandosi entrambe le ragioni poste a base della statuizione.

Sotto il primo profilo, si sostiene che la tesi dell’accettazione implicita del contraddittorio, desumibile dal mero silenzio della deducente, il cui comportamento non sarebbe stato ambiguo, si pone in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte al riguardo. Sotto il secondo, si denuncia una indebita applicazione retroattiva dell’art. 183 c.p.c., nel testo modificato dalle disposizioni citate. Il motivo è fondato sotto entrambi i profili dedotti.

Quanto al primo, premesso che l’attività interpretativa degli atti e dei comportamenti processuali delle parti compiuta dai giudici di merito è incensurabile soltanto se risulti esente da evidenti vizi logici o errori giuridici, deve rilevarsi che nel caso di specie tale valutazione, con riferimento alla condotta della società convenuta susseguente alla formulazione da parte attrice della domanda di ripetizione d’indebito, non risulta improntata a corretti criteri, ponendosi in palese contrasto con i principi al riguardo dettati dalla giurisprudenza di questa Corte. In particolare, con la sentenza n. 4712 del 1996 le Sezioni Unite ebbero modo di stabilire che, anche nel regime processuale anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 353 del 1990, fuori dei casi di espressa accettazione del contraddittorio, nei quali alla domanda nuova faccia seguito un’espressa confutazione nel merito della controparte, l’apprezzamento della concludenza del comportamento processuale che comporti un’accettazione implicita va effettuato con seria indagine, nella quale non può ritenersi decisivo il difetto di reazione, ancorchè protratto, così come il mero silenzio, segnatamente nei casi in cui la domanda nuova sia stata formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Nel solco di tale pronunzia si pongono la maggior parte di quelle sezionali successivamente intervenute sul tema, tra le quali vanno annoverate le nn. 3813/97, 3159/01, 18513/07, 146125/10, nelle quali, si ribadisce la necessità, che questo collegio condividerne al di là del semplice silenziosa riscontrabile un positivo e concreto comportamento concludente della controparte, inequivocamente implicante detta accettazione.

Un comportamento del genere non viene evidenziato dalla corte di merito, che in un contesto processuale caratterizzato dalla formulazione in extremis, all’udienza conclusionale, della subordinata domanda in questione, attribuisce equivocità al silenzio della controparte, per poi ritenere inutile e tardivo il "cenno all’inammissibilità" contenuto nella comparsa di replica, senza che neppure vi fosse stata, nella stesso scritto difensivo o in quello precedente conclusionale, alcuna confutazione, si a pure in subordine, della domanda stessa. A parte la considerazione che l’equivocità della condotta della convenuta non avrebbe potuto comunque essere equiparata, a guisa di sanzione, ad un’accettazione implicita del contraddittorio (posto che dalla citata giurisprudenza di legittimità si desume che il comportamento, a tal fine valutabile, debba essere concludente ed univoco), è agevole osservare che proprio quel finale accenno all’inammissibilità, nella comparsa di replica, non esprimeva un ripensamento, ma solo una precisazione (sia pur non necessaria), alla stregua della quale ancor più ingiustificata risulta la valutazione compiuta dalla corte territoriale.

Sotto il secondo profilo deve rilevarsi che la tesi della proponibilità, in un’ottica costituzionalmente orientata a garanzia delle esigenze paritarie di difesa, delle domande nuove, quali conseguenze di quelle riconvenzionali o delle eccezioni proposte dal convenuto, anche nel sistema previgente alle modifiche introdotte dalla L. n. 353 del 1990 e successive "novelle" – tesi ammissibilmente censurata ex art. 360 c.p.c., comma, n. 3, vertendosi in ipotesi di falsa applicazione retroattiva di una norma di diritto processuale – non coglie nel segno nel caso di specie, non solo perchè il meccanismo di proponibilità ex art. 183 c.p.c. di domande, eccezioni e controeccezioni in relazione causale, è stato dal legislatore circoscritto all’udienza di prima trattazione, oltre la quale comunque il thema decidendum non risulta estensibile a questioni richiedenti l’iniziativa delle parti (principio generale desumibile, tra le altre, da S.U. n. 3567/11), mentre nel caso di specie la domanda nuova è stata proposta in sede di precisazione delle conclusioni, ma anche, e più radicalmente, in considerazione della non qualificabilità, in termini di vera e propria eccezione, in senso tecnico, di quella con la quale la parte convenuta aveva, in precedenza, sostenuto la nullità del contratto di appalto.

Che tale "eccezione" non rivesta siffatta natura è pacifico, costituendo la nullità un’ipotesi di radicale invalidità del negozio giuridico ex art. 1421 c.c. rilevabile anche di ufficio dal giudice (sulla natura di mera difesa della ed. "eccezione di nullità" v, tra le altre e più recenti, Cass. n. 2420/1 l), mentre sulla necessitaci fini dell’inammissibilità ex art. 183 c.p.c., comma 4 (poi 5) delle domande o controeccezioni nuove in conseguenza quelle proposte dal convenuto nella comparsa di costituzione e risposta, che le eccezioni, giustificanti siffatte proposizioni, siano tali stricto sensu, e non costituiscano mere difese volte a contestare la fondatezza della domanda principale, altrettanto chiara è la giurisprudenza di legittimità (v, in particolare, Cass. nn. 12545/04, 5390/06).

Nel caso di specie la nullità, inficiante il contratto di appalto, relativo ad opere edilizie non assentite da titolo concessorio, era ben conoscibile ab initio da entrambe le parti che lo avevano stipulato, sicchè la relativa emersione a seguito della consulenza tecnica, che ne avrebbe consentito il rilievo di ufficio da parte del giudice, non ha svelato una circostanza nuova, tale da sconvolgere le posizioni difensive dei contendenti e legittimare, in reazione alla c.d. "eccezione" del convenuto (in realtà costituente una mera sollecitazione al giudice ad esercitare il potere – dovere officioso suddetto), la proposizione, peraltro avvenuta in extremis, della subordinata domanda di ripetizione d’indebito da parte delle attrici, che avevano agito per l’inadempimento di quell’invalido negozio.

Da quanto sopra considerato consegue l’insussistenza, nella fattispecie, di quelle esigenze di parità difensiva che avrebbero giustificato, secondo la corte territoriale, l’applicazione anche nel previgente sistema dei principi, ritenuti già immanenti nello stesso, poi codificati dalle modifiche apportate all’art. 183 c.p.c. dalla "novella " del 1990.

Il motivo va pertanto accolto.

Restano, conseguentemente assorbiti quelli successivi (deducenti violazione e falsa applicazione, rispettivamente, degli artt. 346 c.p.c. e 2033 c.c.).

Anche il ricorso incidentale (deducente violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 164, 342 e 331 c.p.c.) va dichiarato assorbito, essendo stata tale impugnazione espressamente subordinata alla "denegata ipotesi di accoglimento del secondo motivo del ricorso principale", condizione quest’ultima non verificatasi, per il dichiarato assorbimento di tale mezzo. Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere cassata, senza rinvio, nella parte censurata, che va eliminata con diretta pronunzia nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., non essendo necessari altri accertamenti di fatto, così dichiarandosi l’inammissibilità della domanda di ripetizione d’indebito ed, in ulteriore riforma della sentenza di primo grado, la non debenza di alcuna somma da parte della convenuta.

Tale pronunzia va emessa, tenuto conto dell’avvenuto passaggio in giudicato della, non impugnata, dichiarazione di nullità del contratto di appalto, che travolge anche la sostanziale compensazione, operata dalla corte di merito, tra la somma liquidata a titolo di risarcimento danni dal primo giudice (statuizione caducata dalla dichiarazione di nullità) e quella accordata dalla corte suddetta a titolo di ripetizione d’indebito.

Giusti motivi, infine, tenuto conto della particolare complessità del giudiziosi cui esito finale, a parte l’accoglimento parziale (passato ingiudicato) di una delle domande attrici, risulta essenzialmente determinato dalla nullità del contratto di appalto, invalidità imputabile all’una ed all’altra parte, inducono a dichiarare totalmente compensate tra le parti le spese di tutti i gradi del processo, ponendosi quelle della consulenza tecnica di ufficio per metà a carico delle attrici (in questa sede controricorrenti), e per la restante metà a carico della convenuta (odierna ricorrente principale).

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del principale, dichiara assorbiti i rimanenti motivi di tale ricorso, nonchè quello incidentale, cassa la sentenza impugnata senza rinvio, nella parte relativa alla censura accolta, e pronunziando nel merito, dichiara inammissibile la domanda di ripetizione d’indebito ed, in ulteriore riforma della sentenza appellata, nulla dovuto alla società appellata a titolo di risarcimento dei danni.

Dichiara totalmente compensate tra le parti le spese dell’intero processo, ponendo quelle della consulenza tecnica di ufficio per metà a carico delle attrici e per l’altra metà a carico della convenuta.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *