Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6625 Coniuge superstite Divisione Donazione e legato Legittimari Riserva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 31-10-2001 F.M. e F.P. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma B.A. e C.D. (quest’ultima madre degli attori) chiedendo dichiararsi lo scioglimento della comunione esistente tra gli stessi relativa all’immobile sito in (OMISSIS) piano terzo, interno 4, con attribuzione congiunta per intero del bene agli esponenti e con versamento del conguaglio in favore degli altri condividenti.

Si costituiva in giudizio il B. non opponendosi alla divisione previo accertamento della indivisibilità dell’immobile e del suo valore di mercato.

Si costituiva in giudizio anche la C. che non si opponeva alla divisione e che chiedeva, previo accertamento del suo diritto di abitazione sul bene ex art. 540 c.c., l’attribuzione in proprio favore di esso con addebito del conguaglio.

Il Tribunale adito con sentenza del 18-1-2005, in accoglimento della domanda di scioglimento della suddetta comunione immobiliare proposta dagli attori, disponeva l’assegnazione dell’appartamento sopra menzionato, ritenuto non comodamente divisibile, alla C. con obbligo di versamento a titolo di conguaglio della somma di Euro 27.062,67 in favore di ciascuno degli altri condividenti.

Proposto gravame da parte del B. cui resistevano F. M., F.P. e la C. la Corte di Appello di Roma con sentenza del 13-2-2007 ha rigettato l’impugnazione.

Avverso tale sentenza il B. ha proposto un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi cui F.M. e F.P. da un lato e la C. dall’altro hanno resistito con separati controricorsi; tutti i controricorrenti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo omessa o insufficiente motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c. – dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., censura la sentenza impugnata per non aver esaminato la domanda formulata in grado di appello da parte dell’esponente avente ad oggetto il reale valore dell’immobile oggetto di divisione, anche disponendo nuova CTU, o la domanda di rivalutazione di tale valore, considerato che la sentenza di primo grado si era basata su di una CTU espletata nel 2003 che aveva considerato i prezzi degli immobili di tale anno, e che quindi non è stato tenuto conto della crescita delle valutazioni del mercato immobiliare tra il 2003 ed il 2005.

La censura è infondata.

Invero il motivo di appello in proposito formulato dal B. si rivela generico, non essendo state prospettate le ragioni che rendevano verosimile una variazione apprezzabile del valore reale dell’immobile oggetto di valutazione nel periodo sopra enunciato; in proposito si richiama la recente sentenza di questa stessa Corte secondo cui il debito da conguaglio che grava sul condividente assegnatario di un immobile non facilmente divisibile ha natura di debito di valore, da rivalutarsi, anche d’ufficio, se e nei limiti in cui l’eventuale svalutazione monetaria si sia tradotta in una lievitazione del prezzo di mercato del bene tale da comportare una chiara sproporzione nel valore delle quote di cui sono titolari i condividenti; l’esistenza di poteri officiosi del giudice, peraltro, non esclude che la parte sia comunque tenuta ad allegare l’avvenuta verificazione di tale evento, posto che la rivalutazione non può avvenire tramite criteri automatici (Cass. 3-5-2010 n. 10624), mentre nella fattispecie tale allegazione non risulta essere stata effettuata.

Con il secondo motivo il B., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1014 e 1026 c.c. e vizio di motivazione, assume che erroneamente la Corte territoriale, dopo aver respinto il primo motivo di appello formulato dall’istante, ha ritenuto superfluo l’esame dell’ulteriore motivo con il quale l’appellante aveva chiesto la liquidazione della sua quota, pari ad 1/6, per un valore non gravato da alcun diritto di godimento; invero, a seguito dell’assegnazione dell’intero appartamento oggetto di comunione tra le parti alla C. quale titolare della maggior quota sull’immobile (pari ad 1/3), erano venuti a coincidere nella stessa persona il diritto di proprietà ed il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. sul bene suddetto; infatti rispetto a tale diritto trova applicazione l’art. 1026 c.c., che dispone l’estensione al diritto di abitazione di cui all’art. 1022 c.c., (diritto non diverso dal diritto di abitazione di cui all’art. 540 c.c.) delle disposizioni in materia di usufrutto, e quindi anche dell’art. 1014 c.c., n. 2, che prevede l’estinzione dell’usufrutto in caso di riunione nella stessa persona dell’usufrutto e della proprietà; pertanto il conguaglio spettante agli altri condividenti avrebbe dovuto essere calcolato in base ai valore pieno dell’immobile, senza calcolare il diritto di abitazione ormai estinto.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha rilevato che i condividenti avevano acquistato un immobile gravato di diritto di godimento in favore di uno di essi, e che pertanto il valore delle quote di loro pertinenza non poteva prescindere dalla stima del bene gravato da un peso assimilabile all’usufrutto, come ritenuto dal giudice di primo grado sulla base della valutazione del CTU. Tale convincimento e corretto ed immune dai rilievi in proposito sollevati dal B., il quale nel ricorso ammette di aver acquisito tramite aggiudicazione all’asta fallimentare la quota di 1/6 del suddetto immobile già di proprietà di S. F., fratello di F.P. e F.M., immobile oggetto del diritto di abitazione previsto dall’art. 540 c.c. in favore della C.; pertanto il valore della relativa quota non poteva non tener conto di tale diritto, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, con la conseguenza che il conguaglio corrisposto dalla C. stessa quale assegnataria del suddetto bene è stato logicamente determinato considerando che le quote di comproprietà degli altri condividenti avevano appunto ad oggetto un immobile gravato del predetto diritto di abitazione; di qui l’irrilevanza del fatto che, dopo l’assegnazione del bene alla C., il diritto stesso si sia estinto, avendo quest’ultima così acquisito la piena proprietà dell’immobile; infatti tale circostanza è successiva ed estrinseca rispetto alla fase della determinazione del conguaglio, correlato al valore della quota dei condividenti all’atto del suo trasferimento al condividente assegnatario del bene, valore che nella specie doveva necessariamente tenere conto dell’esistenza sul bene del menzionato diritto di abitazione.

Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e della L. 32 dicembre 1996 n. 662, rileva che ai sensi di tale normativa il valore dell’usufrutto, dell’uso e abitazione si ottiene moltiplicando il valore della piena proprietà per il saggio legale di interesse, e che l’annualità così ottenuta si moltiplica a sua volta per il coefficiente corrispondente all’età del beneficiario; erroneamente quindi il giudice di appello ha aderito alle valutazioni del CTU rispetto al valore dell’immobile in questione gravato dal suddetto diritto di abitazione in favore della C..

La censura è inammissibile.

Invero, poichè la questione prospettata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata, il ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Con il quarto motivo il B., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2 Cost. degli artt. 813, 2643, 2648 e 2660 c.c., sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. non è soggetto a trascrizione; premesso che l’art. 2648 c.c. prescrive la trascrizione dell’accettazione dell’eredità che importi l’acquisto dei diritti enunciati all’ar. 2643 c.c., nn. 1, 2, 3 e 4 e l’acquisto del legato che abbia lo stesso oggetto, ne consegue, non facendo distinzione la norma ora menzionata tra legato testamentario e legato "ex lege", che il legatario ex art. 540 c.c. che non voglia essere pregiudicato nei confronti degli acquirenti dell’immobile su cui vanta il legato suddetto o di una sua porzione, deve trascrivere il legato stesso in modo che il suo diritto sia opponibile a costoro in forza del principio della continuità delle trascrizioni di cui all’art. 2650 c.c..

La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha affermato che il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. non è soggetto a trascrizione, trattandosi di un diritto che nasce per il solo fatto dell’esistenza di un coniuge superstite e di una dimora familiare, ed è escluso dalla elencazione tassativa contenuta nell’art. 2643 c.c..

In proposito è sufficiente rilevare che tale diritto si configura come un legato "ex lege" che viene acquisito immediatamente dal coniuge superstite, secondo la regola dei legati di specie (art. 649 c.c., comma 2), al momento dell’apertura della successione (Cass. 10- 3-1987 n. 2474; Cass. 6-4-2000 n. 4329); poichè il legatario, quindi, acquista il diritto di abitazione direttamente dall’ereditando (Cass. 24-6-2003 n. 10014), non si pone in radice un problema di conflitto (da risolvere in base alle norme sulla trascrizione) tra tale diritto ed il diritto del B. relativo alla sua quota di comproprietà del suddetto immobile acquistato all’asta fallimentare.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della C. di Euro 200,00 per spese e di Euro 1500,00 per onorari di avvocato ed in favore di F.M. e di P. F. di Euro 200,00 per spese e di Euro 1500,00 per onorari di avvocato.

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