Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-10-2011) 28-10-2011, n. 39205

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con ordinanza in data 8/02/2011, il Tribunale di Catanzaro rigettava l’istanza di riesame proposta da P.C. – indagato del reato di cui agli artt. 81 – 110 – 648 c.p – avverso l’ordinanza con la quale, in data 3/01/2011, il g.i.p. del Tribunale di Cosenza aveva disposto nei confronti del suddetto istante la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria. p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo:

1. Violazione degli artt. 267 segg. c.p.p. per carenza di motivazione, in ordine all’assoluta indispensabilità delle intercettazioni, del provvedimento con il quale il g.i.p. aveva disposto l’attività di captazione delle conversazioni telefoniche;

2. Violazione dell’art. 125 c.p.p. per avere il tribunale omesso la motivazione in ordine alle censure mosse dal ricorrente sia in ordine alla valenza indiziaria desumibile dalle conversazioni intercettate, sia in ordine all’adeguatezza della disposta misura, misura estremamente gravosa per il ricorrente in considerazione del fatto che lavora come operatore ecologico.

Motivi della decisione

p. 1. Violazione degli artt. 267 segg. c.p.p.: la censura è manifestamente infondata. Risulta dall’impugnata ordinanza che, in sede di riesame, la difesa non aveva sollevato alcuna questione sull’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche. La questione, quindi, deve ritenersi dedotta, per la prima volta, in questa sede di legittimità.

Sennonchè deve applicarsi quella giurisprudenza, che qui va condivisa e ribadita, secondo la quale "non è deducibile per la prima volta in sede di legittimità l’eccezione relativa all’assenza dei decreti autorizzativi delle intercettazioni, trattandosi di questione concernente la formazione del fascicolo del dibattimento, che, stante la preclusione di cui all’art. 491 c.p.p., commi 1 e 2, deve essere proposta subito dopo che siano state compiute per la prima volta le attività relative all’accertamento della costituzione delle parti": Cass. 7591/2011 Rv. 249718; Cass. 795/2000 riv 215792.

E’ stato, infatti, rilevato che "che non è proponibile per la prima volta in sede di legittimità la questione relativa alla valutazione della motivazione con la quale il G.i.p. ha accolto le richieste del P.M. in ordine alle intercettazioni, e che l’assenza di qualsiasi rilievo sul punto in sede di riesame esonerava il Tribunale da un controllo espresso e motivato sulla regolarità e conseguente utilizzabilità delle intercettazioni stesse. La circostanza che, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze n. 3 del 1996 e n. 21 del 1997, il pubblico ministero debba trasmettere prima al g.i.p e poi al tribunale del riesame i decreti autorizzativi che legittimano le intercettazioni, pena la inutilizzabilità di esse a norma dell’art. 271 c.p.p., non comporta che l’organo del riesame avanti al quale nulla sia eccepito debba motivare sul punto. Il procedimento penale è infatti caratterizzato da una serie di situazioni potenzialmente causa di inutilizzabilità di atti, rispetto alle quali il giudice, che nulla di irregolare rilevi ed avanti al quale nessuna eccezione sia sollevata, non è tenuto a motivare in negativo al fine di dar conto dell’accertamento della regolarità degli atti stessi. Nel caso di specie, l’omissione di qualsiasi rilievo difensivo sulla acquisizione dei decreti autorizzativi e sulla motivazione di essi legittima il silenzio sul tema da parte del Tribunale del riesame, e rende tardiva la doglianza sulla entità e sul tenore della motivazione dei decreti stessi proposta in questa sede dalla difesa": Cass. 3019/1998 riv 211017. p. 2. Violazione dell’art. 125 c.p.p.: anche la suddetta doglianza è manifestamente infondata sotto entrambi i profili dedotti. Quanto alla pretesa mancanza indiziaria desunta dalle intercettazioni telefoniche, l’ordinanza impugnata motiva ampiamente facendo riferimento a ben precise telefonate che, secondo l’incensurabile giudizio del tribunale, (tale dovendosi ritenere, essendo stato motivato in modo logico, congruo e coerente con gli evidenziati elementi fattuali) costituisce un preciso ed univoco indizio di colpevolezza. Quanto alla pretesa mancanza di adeguatezza, si osserva che la motivazione è ampia, logica e congrua alla stregua degli evidenziati elementi fattuali e la censura dedotta in questa sede è generica ed aspecifica non spiegando il ricorrente il motivo per cui l’orario di lavoro dovrebbe essere incompatibile con l’obbligo impostogli. p. 3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA Il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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