Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-10-2011) 28-10-2011, n. 39204 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con ordinanza in data 8/02/2011, il Tribunale di Catanzaro rigettava l’istanza di riesame, proposta da B.A. avverso l’ordinanza con la quale, in data 3/01/2011, il g.i.p. del Tribunale di Cosenza aveva disposto nei confronti del suddetto istante la misura cautelare del divieto di dimora in ordine al reato di cui agli artt. 81 – 110 – 648 c.p.. p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione degli artt. 273 – 274 – 275 c.p.p. sotto i seguenti profili:

1. il ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, non sarebbe affatto pericoloso, non essendo gravato "per violazione da associazione a delinquere ma, esaustivamente, ex artt. 81, 110 e 648 c.p.", essendo solo "un periferico soggetto, staccato radicalmente dall’ideativa commissione e dalla conoscitiva commissione dei reati di cui al procedimento penale";

2. la motivazione del Tribunale sarebbe contraddittoria ed illogica nella parte in cui si sofferma sul contenuto di un’intercettazione telefonica, dalla quale, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, non sarebbe evincibile alcuna gravità indiziaria: la suddetta conversazione metterebbe il ricorrente "al riparo per una sconoscenza totale che lui potesse aver ricevuto scarpe consapevolmente, da parte sua, griffate con falsità dai venditori della merce a lui"; 3. la perquisizione a casa del ricorrente aveva dato esito assolutamente negativo.

Motivi della decisione

p. 1. Il ricorso è manifestamente infondato per le ragioni di seguito indicate.

Il tribunale, con dovizia di argomenti e, sulla base di puntuali e precisi riscontri fattuali, ha indicato gli indizi gravanti sul ricorrente in ordine al contestato reato: sul punto il ricorrente, in questa sede, si limita ad obiettare che: a) la perquisizione aveva dato esito negativo; b) che la motivazione sarebbe contraddittoria.

Quanto al motivo sub a), è appena il caso di rilevare che il mancato ritrovamento a casa del ricorrente di merce ricettata, non implica, di per sè, estraneità al reato a fronte dei numerosi indizi evidenziati dal tribunale.

Quanto al motivo sub b), a parte la sua cripticità, è da rilevare che il tribunale lo adduce solo come un esempio fra i numerosi indizi. Quanto infine, alla pretesa mancanza di pericolosità, a fronte dell’amplissima motivazione del tribunale non è chiaro la valenza che il ricorrente attribuisce al fatto che non è indagato del reato di associazione per delinquere: il tribunale, invero, ha parlato solo ed esclusivamente della pericolosità del ricorrente in relazione al reato di ricettazione: da qui la manifesta infondatezza del motivo sotto il profilo dell’aspecificità. p. 2. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

DICHIARA Inammissibile il ricorso e CONDANNA Il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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