Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6617 Cessazione della materia del contendere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 4 giugno 1998 il sig. F. S., premesso di essere comproprietario unitamente a C. A. di un fondo sito nel Comune di (OMISSIS) censito al foglio 1, mappale 173, confinante con un fondo di proprietà esclusiva del C. censito al mappale 305, e che i confini tra i due fondi erano diventati incerti, conveniva in giudizio, dinanzi al Pretore di Vicenza, il suddetto C.A. per sentir accertare i confini tra i due indicati fondi e disporre l’apposizione dei termini. Nella costituzione del convenuto (il quale, pur contestando che il confine fosse divenuto incerto, aderiva alle domande dell’attore), il Tribunale di Vicenza (subentrato alla soppressa Pretura ai sensi del D.Lgs. n. 51 del 1998), con sentenza n. 1170 del 2004, stabiliva il confine tra i fondi, disponeva l’apposizione dei termini e condannava il convenuto al pagamento delle spese processuali.

Interposto appello da parte di C.R. e C. L., succedute al C.A. nel diritto controverso con atto di acquisto dell’8 novembre 2000, e nella resistenza del F., la Corte di appello di Venezia, previa integrazione del contraddittorio nei confronti del C.A. ed espletata c.t.u. integrativa, con sentenza n. 440 del 2010 (depositata il 23 febbraio 2010), rigettava il gravame (confermando la sentenza impugnata) e condannava le appellanti alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale riconfermava, innanzitutto, la statuizione del giudice di prime cure nella parte in cui aveva escluso che l’accordo sottoscritto dalle parti il 3 luglio 2002 avesse un contenuto transattivo, non apparendo certo che lo stesso riguardasse direttamente il confine tra i fondi, avendo, peraltro, lo stesso c.t.u. precisato, nella relazione suppletiva, che la sottoscrizione di detto accordo soddisfaceva più ancora dell’interesse delle parti ad accertare il confine quello di creare due accessi paralleli, uno per il ristorante (OMISSIS) e l’altro per la proprietà C..

Del resto, osservava ancora la Corte veneta, la non definitività del testo sottoscritto – che conteneva solo l’individuazione di alcuni punti di rilevante interesse delle parti – escludeva che tale convenzione potesse ritenersi riferita alla determinazione del confine (che costituiva oggetto della controversia). Infine, la Corte territoriale riconfermava la correttezza della decisione impugnata anche con riguardo al confine individuato, la cui esattezza era rimasta riconfermata anche a seguito dell’ulteriore accertamento peritale eseguito in sede di gravame.

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione C.R. e C.L. riferito a tre motivi. L’intimato F.S. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno dedotto la violazione di norme del procedimento (art. 100 c.p.c.) e la nullità dello stesso in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine all’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver, con essa, il giudice del gravame pronunciato nel merito e, in accoglimento della domanda di regolamento del confine proposta, rigettato le loro doglianze, quale appellanti, sul punto della sopravvenuta caducazione dell’interesse ad agire dell’attore F.S. per effetto della sottoscrizione in corso di causa della transazione del 3 luglio 2002, con la quale le parti avevano, oltretutto, convenuto la compensazione delle spese del giudizio tra le stesse pendente.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno denunciato la violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui la sentenza impugnata aveva omesso di valutare, con riferimento alla suddetta convenzione transattiva del 3 luglio 2002, quale era stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, nonchè il comportamento complessivo delle parti medesime, mancando di rilevare che l’accordo era stato raggiunto, mediante l’ausilio dei rispettivi tecnici, all’esito delle prime operazioni peritali dalle quali era emersa la difformità dei luoghi dalle risultanze catastali e l’estrema difficoltà di individuare il confine tra i fondi, nel contesto di un giudizio che l’attore F.S. aveva promosso (ed alla cui domanda l’originario convenuto C.A., dante causa delle attuali ricorrenti, aveva aderito) esclusivamente per regolare il confine tra i fondi, senza la proposizione di alcun’altra azione.

2.1. I due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi – sono fondati e devono, pertanto, essere accolti.

Rileva, innanzitutto, il collegio che, secondo l’avviso delle Sezioni unite di questa Corte (v. sent. 11 dicembre 2003, n. 18956), la censura, mediante ricorso per cassazione, della mancata rilevazione da parte del giudice del merito della "cessazione della materia del contendere", riconducibile tra le fattispecie di estinzione del giudizio (per sopravvenuta caducazione del reciproco interesse delle parti alla sua naturale conclusione: cfr. Cass. SU., 28 settembre 2000, n. 1048), configurando denuncia di un "error in procedendo" (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, così come effettivamente dedotto, nel caso di specie, con la prima doglianza), legittima la Corte di cassazione a verificarne la sussistenza mediante diretto esame degli atti.

Sulla scorta di tale presupposto ritiene il collegio che, considerando la portata effettiva della scrittura transattiva stipulata pacificamente tra le parti, nel corso del giudizio di primo grado, in data 3 luglio 2002, si prospetta errata la valutazione in diritto operata dalla Corte territoriale circa la ritenuta mancata configurazione delle condizioni per addivenire alla declaratoria della cessazione della materia del contendere, oltretutto fondata su una motivazione per molti versi carente.

In detta scrittura – sottoscritta (si badi) incontestatamente da tutte le parti e dai loro rispettivi consulenti tecnici – si era provveduto, sull’accordo delle parti stesse, alla descrizione dei luoghi e alla predisposizione di una serie di accorgimenti tecnici in virtù dei quali si proponeva, partendo, quale linea fissa di fatto, dalla recinzione allora esistente sulla proprietà del convenuto, lasciando una striscia di terreno sui luoghi e procedendosi alla delimitazione di una strada, che la realizzanda recinzione, la quale avrebbe delimitato la stradina individuata, sarebbe stata costituita da semplice rete metallica (oltre che con ulteriori caratteristiche tecniche) e ad una distanza minima di ml. 5,00 dal ciglio stradale per consentire un agevole accesso dalla via pubblica. Inoltre, nel contenuto della medesima convenzione, era stato previsto che le spese dovevano ritenersi compensate e che la fornitura e posa in opera della recinzione sarebbe stata eseguita con esborso economico gravante su entrambe le parti (ammontante, presuntivamente, a Euro 800,00). Orbene, la Corte territoriale, sulla scorta di tali risultanze, ha ritenuto che la volontà delle parti di porre termine alla lite relativa alla determinazione del confine fosse dubbia e che le stesse, mediante la sottoscrizione della predetta scrittura (che non poteva qualificarsi come definitiva), più che l’interesse ad accertare il confine, avessero avuto l’intenzione di creare due accessi paralleli che servivano alle rispettive proprietà delle parti in causa. Così ragionando la Corte distrettuale ha, tuttavia, mancato di rilevare quale fosse l’effettiva volontà delle parti rispetto alla natura ed all’oggetto del giudizio in corso, omettendo di valorizzare il comportamento complessivo delle stesse, la comune intenzione desumibile dalla portata globale della convenzione transattiva e la particolare incidenza di alcune clausole inserite nell’accordo medesimo, così incorrendo nelle violazioni puntualmente dedotte dalle ricorrenti con i primi due riportati motivi.

In particolare, la Corte veneta ha omesso di considerare che l’accordo transattivo era stato concluso dopo che il c.t.u. aveva eseguito i primi rilievi ed aveva constatato l’estrema difficoltà delle operazioni tecniche funzionali alla determinazione di una linea di confine effettivamente coincidente con quello catastale, in virtù della constatazione che i luoghi, così come rilevati, erano completamente diversi rispetto alla descrizione desumibile dalla mappa catastale. Pertanto, l’accordo del 3 luglio 2002 fu sottoscritto dalle parti, nonchè dai loro rispettivi consulenti (che lo avallarono anche sul piano tecnico), nell’ambito di un contesto processuale ed in presenza di una realtà di fatto attinente ai luoghi nei quali la individuazione del confine catastale risultava assai complessa e non univocamente possibile, condizioni queste che ne rendevano consigliabile la determinazione consensuale, con la conseguenza che, alla stregua di ciò, le parti si erano determinate a regolare il confine in via contrattuale anzichè mediante il conseguimento di un titolo giudiziale. E che questa fosse stata la reale intenzione delle parti (esternatasi nell’accordo debitamente dalle stesse sottoscritto congiuntamente ai rispettivi ausiliari tecnici) si evince anche dalla chiara affermazione ricavabile dalla relazione del c.t.u. nominato in appello (geom. B.P.), che si identificava con lo stesso designato nel giudizio di primo grado, secondo la quale (cfr. pag. 5 della predetta relazione) il medesimo c.t.u. riteneva che la conciliazione dovesse essere rispettata al di là dell’individuazione del confine catastale (e che, quindi, essa aveva avuto ad oggetto proprio la individuazione del confine in via convenzionale, con la conseguente possibilità della sua realizzabilità e futura osservanza da parte dei contendenti), in quanto redatta in completa serenità ed in pieno accordo, consapevoli tutti i tecnici, nel momento della redazione e sottoscrizione, che il rilievo strumentale avrebbe potuto portare a risultati poco convincenti (come era, poi, avvenuto, in virtù di attestazione dello stesso c.t.u: cfr. pag. 14 delle relazione). Pertanto, alla luce di tali emergenze oggettive e della condotta complessiva delle parti, non può essere messo in dubbio che esse (indipendentemente dalle successive perplessità sull’accordo raggiunto manifestate dal F. e dalla supposta necessità di formalizzare una successiva convenzione maggiormente dettagliata), con la conclusione delle suddetta convenzione transattiva (nella quale erano state indicate anche le operazioni necessarie alla delimitazione del confine tra le stesse concordato e per una migliore fruizione dei fondi limitrofi ai fini dell’accesso sulla via pubblica), aveva determinato la caducazione dell’interesse delle parti all’emissione di una statuizione giudiziale di regolamento di confini, con la conseguenza che il primo giudice così come quello di appello non avrebbero potuto pronunciarsi nel merito della domanda proposta. Del resto, come giustamente evidenziato dalla difesa delle ricorrenti, la Corte di merito ha completamente omesso di considerare che la suddetta volontà era evincibile anche sulla scorta della pattuita compensazione delle spese prevista nella menzionata convenzione transattiva, la quale non avrebbe potuto riferirsi che alle spese relative al giudizio tra le medesime pendente (avendo regolamentato in separata clausola l’onere di quelle occorrenti per la concreta realizzazione della recinzione da collocare a delimitazione del confine). Tale previsione non poteva che essere inequivocabilmente significativa della volontà delle parti di definire compiutamente il giudizio, anche con riferimento alla regolamentazione delle spese, e di non proseguirlo ulteriormente, in tal senso, perciò, ritenendo soddisfatta ogni loro pretesa azionata (e, segnatamente, quella dedotta dall’attore con il proposto atto di citazione, al quale aveva aderito parte convenuta) nel giudizio al quale avevano inteso porre fine.

Alla stregua di tali risultanze deve affermarsi, altresì, che la Corte veneta ha inesattamente interpretato quale fosse la volontà comune delle parti trasparente dal contenuto complessivo della indicata scrittura transattiva (ai sensi dell’art. 1362 c.c.), senza, oltretutto, considerare (in relazione all’art. 1363 c.c.) il contenuto complessivo della convenzione stessa (con riguardo a tutte le clausole in essa presenti, ivi inclusa quella inerente alla dichiarazione di compensazione delle spese giudiziali) e senza tener conto della regola generale di "conservazione del contratto" stabilita dall’art. 1367 c.c. (in ordine al quale, nel dubbio, l’accordo transattivo non avrebbe potuto che essere interpretato nel senso che aveva definito anche il confine, in funzione della cui delimitazione consensuale, soltanto, il percorso della stradina avrebbe potuto essere realizzato in conformità di quanto stabilito nella stessa scrittura privata).

In definitiva, alla luce delle complessive ragioni esposte, deve pervenirsi all’accoglimento dei primi due motivi, con il conseguente assorbimento dell’esame del terzo motivo (attinente propriamente al merito della sentenza impugnata in ordine alla determinazione giudiziale del confine), e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto in conseguenza della rilevata cessazione della materia del contendere che avrebbe dovuto essere dichiarata già in sede di merito, può procedersi, previa cassazione della sentenza impugnata, direttamente in questa sede (ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2) all’adozione di tale declaratoria, in tal senso riformando la sentenza di primo grado. Quanto alla regolamentazione delle spese, si rileva la sussistenza di giusti motivi – in virtù della natura della controversia, del comportamento processuale delle parti e del contenuto della relativa pattuizione dalle stesse prevista nella convenzione transattiva – per dichiararle interamente compensate con riferimento a quelle del giudizio di primo grado, mentre, per quelle attinenti al giudizio di secondo grado (ivi comprese quelle occorse per la c.tu., nel "quantum" determinato dal competente giudice), devono trovare applicazione i principi di soccombenza e di causalità (avendo il F., con la sua condotta, determinato l’ulteriore prosecuzione del giudizio malgrado l’intervenuto accordo transattivo precedentemente concluso tra le parti), con la derivante condanna al relativo pagamento a carico dell’appellato, nella misura liquidata come in dispositivo.

Anche le spese di questa fase (quantificate, ugualmente, nei sensi di cui in dispositivo) seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’appello e, in riforma della sentenza di primo grado, dichiara la cessazione della materia del contendere tra le parti.

Dichiara interamente compensate le spese del giudizio di primo grado.

Condanna F.S., quale appellato, al pagamento delle spese del giudizio di appello, liquidate in complessivi Euro 4.205,20, di cui Euro 1294,20 per spese di c.t.u. in appello, Euro 100,00 per esborsi, Euro 1311,00 per diritti ed Euro 1.500,00 per onorari, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge. Condanna, altresì, l’intimato F.S. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

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