Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6615 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.G. con atto di citazione notificato il 18 giugno 1994 conveniva in giudizio davanti al Tribunale d Roma La MALGA srl. E la SIPE srl per ivi sentire: a) dichiarare risolto per fatto e colpa della promittente venditrice MALGA il preliminare stipulato in data 15 luglio 1986 avente ad oggetto la vendita della villetta sita in (OMISSIS) per il corrispettivo di L. 78 milioni; 2) condannare la stessa convenuta al risarcimento dei danni nella misura di L. 29.945.300 oltre rivalutazione e interessi; 3) revocare ex art. 2901 c.c. l’atto di vendita per notaio Cardelli di Roma con cui la Malga srl aveva trasferito alla SIPE unitamente ad altri immobili nella stessa località, anche l’immobile promesso in vendita al C., per il corrispettivo di L. 30.000.000; 4) ordinare al Conservatore dei RR. II la trascrizione della sentenza. Specificava l’attore che aveva già corrisposto a titolo di acconto la somma di L. 28 milioni e che la restante parte di L. 50 milioni avrebbe dovuto corrisponderli al momento della stipula del rogito fissato per la data 30 settembre 1986 e che invece in data 3 novembre 1987 la MALGA aveva trasferito l’immobile alla SIPE Fallita la MALGA il Tribunale di Roma con sentenza n. 10369 del 1992 aveva accolto la revocatoria fallimentare avente ad oggetto al compravendita del 3 novembre 1987 e ammesso esso istante al passivo fallimentare per la somma di L. 80 milioni che proposto appello dalla SIPE e da esso istante per l’ammissione al passivo della maggiore somma di L. 29.945.300 inopinatamente la curatela del fallimento MALGA dichiarava l’intervenuto chiusura del fallimento nonostante l’ammissione al passivo del proprio credito.

Si costituivano entrambe le convenute contestando le domande proposte. In particolare la MALGA deduceva che il C., dopo aver ottenuto il godimento dell’immobile, si era rifiutato di pervenire alla stipula del definitivo, chiedeva, pertanto, che venisse dichiarato risolto il contratto preliminare per fatto e colpa del promittente acquirente. La SIPE precisava che il Tribunale di Roma con sentenza 10742 del 1992 aveva condannato il C. al rilascio in suo favore dell’immobile de quo e pertanto chiedeva la condanna dell’attore ai pagamento di un’indennità di occupazione per il periodo dal 3 novembre 1987 all’effettivo rilascio.

Il Tribunale di Roma con sentenza n. 13349 del 2003 condannava la MALGA e restituire al C. la somma di Euro 748.863,00.

Rigettava ogni altra domanda.

Avverso tale sentenza proponeva appello C.G. deducendo:

a) l’omessa pronuncia sulla risoluzione del preliminare di vendita;

b) l’omessa pronuncia sulla domanda di revocazione ex art. 2901 cod. civ.; c) l’infondatezza delle domande riconvenzionali.

Si costituivano in giudizio la MALGA in liquidazione e il Fallimento della SIPE resistendo all’impugnazione, riproponendo a loro volta e separatamente le domande riconvenzionali proposte in primo grado.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 2764 del 2006, accoglieva, per quanto, di ragione l’appello proposta da C., rigettava gli appelli incidentali. A sostegno di questa decisione la Corte romana osservava: a) che non potevano trovare accoglimento le reciproche domande di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento perchè sul punto vi era stata già una pronuncia (sentenza n. 10369 del 1992) del Tribunale di Roma che dichiarava inammissibile la domanda di risoluzione perchè era intervenuto lo scioglimento di diritto del contratto L. Fall., ex art. 72. Per altro, gli effetti della L. Fall., art. 72, rimanevano fermi anche dopo la chiusura del fallimento. B) in conseguenza di questa prima affermazione, infondate si evidenziavano le domande di risarcimento del danno e di pagamento di indennità di occupazione; C) non vi era, invece, giudicato sulla domanda di restituzione della somma di L. 29.945.300 proposta da C.G. a titolo di restituzione di acconti sul prezzo. A ben vedere – chiarisce la Corte romana – dai titoli e dalla documentazione acquisita la somma da restituire a C.G. da parte della MALGA srl ammonta a L. 21.000.000 corrispondente ad Euro 17.559,53. D) quanto alla domanda di revocatoria supplendo la carenza di motivazione del primo giudice, andava evidenziato che nel caso di specie l’utile esperimento dell’azione richiedeva la dimostrazione da parte del C. non solo della colpevolezza della SIPE del precedente preliminare, ma della partecipazione della medesima società alla dolosa predeterminazione di pregiudicare la garanzia del credito, circostanze che non risultavano dimostrate.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da G. C. con ricorso affidato a due motivi. Il Fallimento SIPE srl ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.= Con il primo motivo, C.G., lamenta, la violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, artt. 72, 21 e 118, art. 1453 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè carenza e vizio di motivazione. Avrebbe errato la Corte di Appello di Roma nell’aver rigettato la domanda di risoluzione del preliminare di vendita del 15 giugno 1986, ritenendola inammissibile per essere nel frattempo intervenuto il fallimento della promissaria venditrice con conseguente scioglimento dell’anzidetto contratto ai sensi della L. Fall., art. 72, perchè se effetto della chiusa del fallimento e della conseguente cessazione della materia del contendere è quella di ricostituire ab origine i rapporti di natura sostanziale aggrediti dalla domanda revocatoria fallimentare, inficiando tutte le pronunce di natura costitutiva nelle more intervenuto, la Corte non avrebbe potuto far derivare dall’unica pronunzia di cessazione della materia del contendere, da una parte l’inefficacia della dichiarata revoca della vendita immobiliare disposta dalla fallita e dall’altra la declaratoria di inammissibilità della domanda di risoluzione del contratto di promessa vendita, domanda che trovava il suo fondamento logico e sistematico proprio nell’accoglimento della domanda di revocatoria e conseguente reintegrazione dei beni nel patrimonio della fallita per la tutela della par condicio. Piuttosto specifica il ricorrente: a) gli effetti di cui alla L. Fall., art. 72. Sono funzionali alla gestione dei rapporti patrimoniali della fallita con la ovvia conseguenza che, rimossi gli effetti del fallimento, vengono meno i presupposto della gestione fallimentare degli stessi. La gestione fallimentare dei contratti di promessa vendita non comportano l’automatico scioglimento degli stessi, ma presuppongono una valutazione e una scelta da parte del curatore fallimentare; b) gli effetti di cui alla L. Fall., art. 72, trovano ingresso e hanno valenza giuridica solo nell’ambito della pronunciata revocatoria delle vendite immobiliari disposte dalla fallita ed il rientro dei beni già disposti nella sfera giuridica di questa. In difetto di sentenza revocatoria e conseguente rientro dei beni nel patrimonio della fallita, il contratto preliminare di compravendita immobiliare sottoscritto dalla MALGA srl con l’odierna ricorrente non era sciolto di diritto per effetto del suo fallimento, ma per effetto della vendita alla SIPE srl intervenuta prima della dichiarazione di fallimento. C) gli effetti di cui alla L. Fall., art. 72, sono strumentali al fallimento e produttivi di effetti per la durata dello stesso considerano che la L. Fall., art. 120, abilita i creditori insoddisfatti ad aggredire beni e diritti del fallito tornato in bonis e non disposti dalla gestione fallimentare.

Ciò posto, il ricorrente formula il seguente quesito: "la chiusura di un giudizio con la pronunzia di rito dichiarativa della cessazione della materia del contendere, priva di efficacia tutti gli atti e le pronunzie anche parziali intervenute nel giudizio successivamente alla proposizione della domanda giudiziale. E’ fondata la domanda di risoluzione di un compromesso di vendita di un immobile proposta dal promissario acquirente, quando il promesso venditore abbia trasferito con atto pubblico a favore di terzi lo stesso bene già promesso con scrittura privata non opponibile; è proponibile L. Fall., ex art. 120 la domanda di risoluzione e danni per inadempimento del promesso venditore, quando alla chiusura del fallimento dello stesso, intervenuta L. Fall., ex art. 118, n. 3 renda disponibile il diritto e la pretesa risultati insoddisfatti dalla procedura fallimentare". 1.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè la Corte di Appello di Roma ha correttamente applicato i principi e le normativa relativa ai rapporti tra contratto preliminare di vendita e fallimento, nonchè la normativa sulla prescrizione.

1.1.a).= Intanto, il primo quesito nella parte relativa al rapporto tra pronunzia di rito dichiarativa della cessazione della materia del contendere ed efficacia, degli atti e delle pronunzie anche parziali intervenute nel giudizio, è inammissibile perchè inconferente considerato che la risposta, anche se positiva per l’istante, risulta, comunque, priva di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidonea a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata. A ben vedere, la decisione impugnata ha avuto modo di specificare che la dichiarazione d’inammissibilità (della domanda di C. volta ad ottenere la risoluzione del contratto preliminare di vendita del 15 luglio 1986), per intervenuta dichiarazione del fallimento della promissaria acquirente con conseguente scioglimento, ai sensi della L. Fall., art. 72, del contratto preliminare di vendita del 15 luglio 1986, pronunziata dal Tribunale, non aveva contenuto meramente processuale, ma si sostanziava in una decisione sul merito della domanda, risolvendosi nella negazione della pronuncia costitutiva di risoluzione sul presupposto di un intervenuto scioglimento di diritto del contratto preliminare di cui si è detto. Insomma era venuta meno la ragione d’essere della lite per la sopra vvenienza di un fatto (lo scioglimento per sopravvenuto fallimento della promissaria venditrice) che privava le parti di ogni interesse a proseguire il giudizio. Sicchè, la dichiarazione d’inammissibilità della domanda di risoluzione del contratto di promessa vendita non era riferita al contratto di vendita intervenuto tra la società Malga e Sipe srl., ma del contratto preliminare intervenuto tra Malga e C..

Con la conseguenza che l’intervenuta chiusura del fallimento e la conseguente cessazione della materia del contendere, L. Fall., ex art. 118, determinava e poteva determinare, l’inefficacia della dichiarata revoca della vendita immobiliare disposta dalla fallita a favore della SIPE srl. ma non interferiva e non poteva interferire con la dichiarazione d’inammissibilità relativa alla domanda avanzata da C. e diretta alla risoluzione del preliminare di vendita del 15 luglio 1986, perchè il presupposto di questa era riconducibile direttamente al fallimento e non alla revoca del contratto di compravendita tra Malga e Sipe. Pertanto, pur ammesso che la cessazione della materia del contendere per effetto della L. Fall., art. 118, n. 2, comporti la ricostituzione dei rapporti patrimoniali facenti capo alla fallita e non disposti nelle more dagli organi del fallimento, ciò, non incideva sullo scioglimento del contratto preliminare di vendita del 15 luglio 1986, perchè – come pure è stato detto dalla Corte di Appello di Roma il decreto di cui alla L. Fall., art. 118, lasciva inalterata o non aveva alcuna incidenza sulla già avvenuta risoluzione del contratto di cui si dice.

1.1.b).= Va qui osservato che la risoluzione del contratto è l’istituto giuridico che prevede le ipotesi in cui il contratto può essere sciolto Esso si riferisce a un vizio del contratto inteso non come "atto" (com’è per le ipotesi di invalidità, ossia nullità e annullabilità), bensì come "rapporto. Le ipotesi in cui il contratto può essere sciolto sono esplicitamente indicate dal codice civile e sono tre: a) la prima è quella determinata dall’inadempimento (che non deve avere scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra, ex art. 1455 c.c.) di una delle parti di un contratto a prestazioni corrispettive: b) Una seconda ipotesi è quella che, sempre nei contratti con prestazioni corrispettive, avviene allorquando una prestazione sia divenuta impossibile (ad esempio è andata distrutta la cosa oggetto di un negozio traslativo): c) Altra ipotesi di risoluzione, che non è applicabile ai contratti aleatori, è quella disciplinata dall’art. 1467 c.c. e segg., riguarda il caso in cui la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili.

1.1.b.1).= Ora, la risoluzione di un compromesso di vendita di un immobile. proposta dal promissario acquirente per la semplice ragione che il promittente venditore abbia trasferito con atto pubblico a favore di terzi lo stesso bene già promesso con scrittura privata, non integra gli estremi di una delle ipotesi di risoluzione contrattuale previste dal codice civile e appena richiamate.

Piuttosto, anche nell’ipotesi in esame la risoluzione può esser fondata sull’inadempimento del venditore, un inadempimento che può apparire certo, ove questi abbia già trasferito a terzi il bene promesso in vendita, ma non necessariamente, reale, considerato anche che nel giudizio relativo alla risoluzione del contratto de quo la società Malga (promittente venditrice) opponeva un inadempimento del C.. Nè è pensabile che l’ipotesi in esame integri gli estremi di una risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione perchè la prestazione del promittente venditore, non è divenuta impossibile, considerato che lo stesso avrebbe potuto riacquistare il bene promesso in vendita o, comunque, avrebbe potuto far acquistare il bene direttamente dal terzo divenuto proprietario.

1.1.c).= In caso di fallimento del promittente venditore, se la cosa venduta è già" passata in proprietà del compratore, il contratto non si scioglie. Se la cosa venduta non è passata in proprietà del compratore, il curatore a norma della L. Fall., art. 72 (nel testo, vigente "ratione temporis" anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 5 del 2006), può scegliere lo scioglimento del contratto, o il subingresso nel contratto preliminare di vendita pendente. Se il contratto viene sciolto il promissario acquirente potrà far valere il proprio credito, tramite l’insinuazione al passivo, ma non potrà chiedere un eventuale risarcimento del danno. Nel caso in cui il contratto sciolto avesse ad oggetto un immobile, il venditore potrà far valere il proprio credito tramite l’insinuazione al passivo godendo di un particolare privilegio ( art. 2775-bis c.c.) sul bene immobile oggetto del contratto a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data della dichiarazione di fallimento.

L’esercizio da parte del curatore della facoltà di scelta, di cui si dice, può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, nè un atto di straordinaria amministrazione e, dunque, non ricorrendo la necessità dell’autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale del curatore. Qualora la scelta del curatore fallimentare L. Fall., ex art. 72, comma 4, è a favore dello scioglimento del contratto, si deve reputare che la relativa dichiarazione abbia effetti più ampi di quelli scaturenti dalla dichiarazione di fallimento ed esplichi un’efficacia di caducazione della promessa di vendita fin dall’origine, facendola venire meno con effetti retroattivi e definitivi, che restano fermi anche nel caso in cui il fallito ritorni in bonis a seguito di una revoca del fallimento.

1.1.c.1.).= Ora nel caso in esame, il contratto preliminare di vendita del 15 luglio 1986 è stato sciolto, per decisione del curatore, considerato che – come evidenzia la sentenza impugnata, ma, anche il ricorso di C.G., il Tribunale di Roma, con sentenza 10369, ha immesso il credito del promissario acquirente di C. al passivo fallimentare, il che vuoi dire che il contratto preliminare di vendita del 15 luglio 1986 tra C. e MALGA era stata ritenuto dal curatore risolto ai sensi della L. Fall., art. 72. 2.= Con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 66, 67, 94 artt. 2901,2903, 3945 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

In particolare. B.= Avrebbe errato la Corte di Appello di Roma nell’aver ritenuto maturata la prescrizione alla proposizione della domanda di revocatoria ordinaria (proposta in data 16-18/aprile 1994) della compravendita Malga/Sipe del 3 novembre 1987, perchè il termine di prescrizione quinquennale fissato dall’art. 2903 cod. civ. e decorrente dalla data dell’atto pubblico di compravendita impugnato (3.9.1987) doveva ritenersi interrotto, ai sensi dell’art. 2943 cod. civ. dalla notifica della citazione del 3 luglio 1990, per la revocatoria fallimentare introdotta dalla curatela del fallimento Malga srl, e che l’interruzione doveva avere effetto, ai sensi dell’art. 2945 cod. civ., fino al giudicato della sentenza che aveva definito il giudizio (sentenza n. 3480 del 1994 del 5 dicembre 1994 della Corte di Appello di Roma.). A ben vedere sostiene il ricorrente – l’affermazione della Corte di merito secondo cui "l’atto per cui è esercitata la revocatoria e cioè la compravendita MALGA/Sipe in data 3.11.1987 è anteriore al credito da tutelare posto che il diritto del C. alla restituzione dell’acconto prezzo fosse sorto in dipendenza della risoluzione L. Fall., ex art. 72, del contratto preliminare intervenuta con il fallimento in data (OMISSIS) della ALGA è frutto di errore sul fatto che si traduce in errore e vizio di motivazione. Piuttosto il credito del C. sorgeva non per l’effetto della risoluzione L. Fall., ex art. 72, bensì per l’effetto dell’atto di compravendita 3.11.1987 con il quale il Malga aveva trasferito alla Sipe con atto pubblico di compravendita tutti i suoi beni e tra gli altri anche il bene promesso al ricorrente. Per altro, la motivazione è carente ed errata anche laddove la Corte di merito non ha dimostrato neppure in via indiziaria i due presupposti dell’azione revocatoria: la dimostrazione da parte del C.: a) che la Sipe srl avesse consapevolezza dell’esistenza del preliminare (dalla cui risoluzione sarebbe conseguito il credito di restituzione) e che la stessa società Sipe partecipasse alla dolosa preordinazione, perchè la Corte territoriale diversi elementi (la differenza di presso, la conoscenza da parte della Sipe delle condizioni di insolvenza della Malga, la testimonianza dell’amministratore della Malga) induceva a ritenere che la Sipe era a conoscenza del preesistente preliminare ed era consapevole del pregiudizio arrecato alle ragioni di C. dal suo atto di acquisto ed era partecipe della dolosa preordinazione finalizzata a frodare il terzo.

Ciò posto il ricorrente formula il seguente quesito: "Gli effetti interruttivi della prescrizione, connessi all’insinuazione del ceditore al passivo del fallimento, sono in pari misura riferiti alla revocatoria ordinaria ed alla revocatoria fallimentare stante all’identità delle finalità perseguite dalle due azioni e la preclusione in entrambe le specie, ai creditori insinuati di promuovere autonome azioni verso il fallito. L’identità dell’amministratore unico della società fallita e della società acquirente dei beni di cui si chiede la revocazione, la coincidenza delle sede sociali delle due società, la svendita dei titoli rilasciati per la stessa ragione causale da parte della promessa venditrice della società acquirente dei beni e della stessa persona fisica succedutesi nell’amministrazione delle due società sono sufficienti elementi di prova, ai fini dell’accoglimento della domanda revocatoria ex art. 2901 cod. civ., n. 1, e 2, della conoscenza e della partecipazione dell’acquirente alla dolosa preordinazione dell’atto finalizzato a pregiudicare il soddisfacimento del creditore". 2.1.= Questo secondo motivo rimane assorbito dal primo essendo evidente il rapporto di pregiudizialità del primo sul secondo.

2.2.= Tuttavia, va qui osservato che, comunque, è inammissibile la seconda parte del quesito che è stato formulato, laddove si propone di esprime un giudizio sulla valenza delle prove acquisite non solo perchè sostanzialmente il quesito si traduce in una nuova e diversa valutazione delle prove acquisite, inibita al giudice di legittimità ma, e, soprattutto, perchè il ricorrente ha omesso di riportare nel ricorso le fonti di prova che a suo avviso, se fossero state valutate dal giudice di appello, avrebbero determinato un giudizio diverso in ordine alla buona fede del contraente Sipe srl.

In definitiva, va rigettato il primo motivo e assorbito il secondo, il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione così come verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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