Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-10-2011) 28-10-2011, n. 39200

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con ordinanza in data 8/03/2011, il Tribunale di Foggia rigettava la richiesta di riesame proposta da L.M.R. e D.B.A. – indagati per il reato di cui all’art. 633 c.p. – avverso l’ordinanza con la quale il Giudice di Pace della medesima, in data 28/01/2011, aveva disposto il sequestro preventivo di un fondo con i soprastanti fabbricati rurali.

Osservava il tribunale che il fumus delicti era ravvisabile nell’ordinanza con la quale il tribunale civile aveva condannato il L.M. al rilascio del podere a favore di R.R.D. e che era irrilevante che i ricorrenti si fossero dichiarati possessori in buona fede della palazzina, atteso che, per il principio di accessorietà, la titolarità si estende anche ai fabbricati rurali soprastanti. Il periculum in mora era ravvisabile nella protrazione abusiva dei ricorrenti nella palazzina in questione "e ciò a prescindere dall’utilizzo effettivo dei beni da parte del R. R., visto che l’art. 633 c.p. non presidia il possesso (come il successivo art. 634 c.p.) ma la titolarità formale del bene arbitrariamente invaso". p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, entrambi gli indagati hanno proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 633 c.p. atteso che, nonostante fosse indiscusso che essi ricorrenti erano da decenni nel pacifico possesso del suddetto bene – sul quale era in corso un’annosa vicenda giudiziaria costellata da reciproche denunce – inopinatamente ne era stato disposto il sequestro preventivo sulla base di un’ipotesi di reato del tutto inesistente atteso che l’art. 633 c.p. non tutela il possesso ma la proprietà.

Mancando, quindi, il fumus delicti, il sequestro non avrebbe potuto essere disposto.

Mancava, inoltre, il periculum dal momento che, rispetto al fabbricato, il R.R. non ne aveva mai avuto l’effettiva e concreta disponibilità tant’è che era stato egli stesso ad affermare, nel ricorso introduttivo dell’azione possessoria, che l’immobile era abbandonato.

Motivi della decisione

p. 1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate. In tema di sequestro preventivo, due sono i principi di diritto ai quali occorre attenersi:

1. "nella verifica dei presupposti per l’emanazione del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma, valutando il "fumus commissi delicti", deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, non occorrendo la sussistenza d’indizi di colpevolezza o la loro gravità, ma solo elementi concreti conferenti nel senso della sussistenza del reato ipotizzato" Cass. 37695/2008 Rv. 241632 – Cass. n. 23944/2008 Rv. 240521 – Corte cost. ord. n. 153 del 2007; 2. il ricorso per cassazione, ex art. 325 c.p.p., è ammesso solo per violazione di legge e, quindi, nei soli casi di motivazione inesistente o apparente e non, invece, nei casi di illogicità e/o contraddittorietà della motivazione (ex plurimis SSUU 5876/2004 Rv 226712).

Ora, in ordine al fumus delicti, va osservato che costituisce principio di diritto del tutto indiscusso quello secondo il quale "la condotta tipica del reato di invasione di terreni o edifici consiste nell’introduzione dall’esterno in un fondo o in un immobile altrui di cui non si abbia il possesso o la detenzione, sicchè l’invasione non ricorre laddove il soggetto, entrato legittimamente in possesso del bene, prosegua nell’occupazione contro la sopraggiunta volontà dell’avente diritto": ex plurimis Cass 25937/2010 Rv. 247751. In punto di fatto, nel caso di specie, il tribunale, in ordine alla dedotta questione del fumus delicti, ha affermato, da una parte, che "gli interessati si dichiarano possessori ammettendo quindi di essere gli autori della condotta costitutiva del delitto ipotizzato", dall’altra, che era del tutto irrilevante accertare se il proprietario, R.R., utilizzasse effettivamente la palazzina in questione. Tanto basta per ritenere che l’impugnato provvedimento sia motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti del reato contestato, avendo il tribunale ritenuto – anche sulla base di un’ordinanza del tribunale civile che aveva condannato il L.M. al rilascio del bene – che i ricorrenti non erano entrati legittimamente nel possesso del bene in questione. Di conseguenza, non è ravvisabile alcuna violazione di legge nel suddetto iter motivazionale, dovendosi, piuttosto osservare che i ricorrenti, a ben vedere, sotto il denunciato vizio di violazione di legge, in modo surrettizio, finiscono per censurare il provvedimento impugnato per vizi motivazionali non consentiti in questa sede. Stesse osservazioni vanno effettuate, mutatis mutandis, in ordine al ritenuto periculum in mora, individuato dal tribunale, nella "protrazione degli effetti lesivi della fattispecie ipotizzata e ciò a prescindere dall’utilizzo effettivo dei beni da parte del R.R." ossia proprio uno dei requisiti previsti espressamente dall’art. 321 c.p.p.. p. 2. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi infondata con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

RIGETTA il ricorso e CONDANNA I ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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