Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6610 Vendita di cosa altrui

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione ritualmente notificata P.D., premesso che con scrittura privata 7.7.1981 aveva promesso di vendere a Z. A. e R. una porzione di fabbricato destinata a tinello, sito in (OMISSIS), per il prezzo pagato di L. 3.830.545, stralciandola dall’appartamento di cui faceva parte; che detto vano era stato consegnato il 30.7.1981 mentre il rogito doveva avvenire entro il 1984; che le parti avverse avevano accorpato il vano ai locali da loro occupati, che intendevano acquistare; che, non avendo le stesse proceduto alla stipula, aveva proposto con raccomandata la risoluzione consensuale; in assenza di risposta le conveniva davanti alla Pretura di Forlì per la risoluzione, la rimessione in pristino, la restituzione del vano e del prezzo pagato.

Le Z. contestavano la domanda e riconvenzionalmente chiedevano la condanna di controparte al pagamento di L. 15.000.000 pari al valore attuale del prezzo pagato ed eccepivano l’incompetenza del Pretore per essere competente il Tribunale di Forlì, dove la causa veniva riassunta dall’attore con intervento adesivo della moglie C.A..

Con sentenza 22.4.2004 il Tribunale dichiarava risolta la scrittura, ordinava alle convenute la restituzione del vano all’attore ed alla intervenuta con rimessione in pristino a cura della parte più diligente e spese per metà, ordinava all’attore la restituzione di Euro 1978,31 oltre interessi e svalutazione monetaria, rigettava la domanda di danni e poneva a carico delle convenute le spese di lite, decisione confermata dalla Corte di appello di Bologna, con sentenza 437/2009, che rigettava gli appelli principale ed incidentale, osservando che il vano per cui è causa era stata oggetto di scrittura tra P. e le Z. e prevedeva che il rogito sarebbe stato stipulato con colui che al momento indicato, tra il 1.5.1991 ed il 31.12.1991, fosse risultato intestatario del bene, in atto di proprietà B..

Sia che si trattasse di preliminare che di vendita di cosa altrui, in entrambi i casi era un contratto ad effetti obbligatori e, comunque, la Corte condivideva la qualificazione di preliminare. Tardiva ed irrilevante era la produzione del dispositivo della sentenza della stessa Corte che riconosceva l’acquisto per usucapione dell’appartamento occupato dalle Z..

Il Tribunale si era limitato a prendere atto dell’ineseguibilità del contratto azionato.

Ricorrono Z.A. e P.I. con sette motivi, resistono le controparti.

Tutti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

Col primo motivo si deduce violazione dell’art. 1478 c.c. e, riportata la sentenza impugnata, si evidenzia la confusione tra vendita di cosa altrui, preliminare e definitivo, con relativo quesito di diritto sulla vendita di cosa altrui. Col secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 1362 c.c. e, riportata in parte la sentenza, si critica la qualificazione di preliminare e l’omessa considerazione della comune intenzione delle parti, con relativo quesito di diritto sulla qualificazione come preliminare o definitivo.

Col terzo motivo si denunzia omessa motivazione sul punto che il tinello non sarebbe stato frazionabile, riportando altro passo della sentenza e ctu. Col quarto motivo si lamenta violazione dell’art. 345 c.p.c. circa la non tardività della produzione del dispositivo, con relativo quesito.

Col quinto motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. perchè non solo le Z. erano divenute proprietarie dell’appartamento che volevano acquistare ma la pronunzia di ineseguibilità della scrittura era in contrasto con la richiesta di risoluzione per inadempimento di esse Z. con relativo quesito.

Col sesto motivo si deduce motivazione contraddittoria ed illogica per non aver riconosciuto la rivalutazione e rigettato l’incidentale del P. in ordine al danno da occupazione.

Col settimo motivo si denunzia omessa motivazione circa il maggior danno.

Preliminare è l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per la mancata notifica entro il termine di legge, posto che per l’art. 330 c.p.c. tale adempimento va eseguito presso il procuratore costituito o nel domicilio eletto e, non essendo ciò avvenuto, restava da fare la notifica alla residenza del procuratore costituito, cosa che è avvenuta il 19.2.2010, in ritardo rispetto al termine utile del 12.2.2010 posto che la notifica della sentenza era stata effettuata il 14.12.2009.

Così come proposta, l’eccezione va respinta perchè nei termini la notifica è stata tentata nel domicilio eletto e, subito dopo, presso il procuratore, per cui si tratta di un unico procedimento notificatorio che per il notificante si perfeziona col tempestivo deposito presso l’ufficiale giudiziario per effetto del noto principio introdotto dalla Corte Costituzionale, con sentenza del 26 novembre 2002 n. 477, che ha dichiarato l’illegittimità del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3 (Notificazioni di atti a mezzo posta) "nella parte in cui prevede che la notificazione si perfeziona per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente, di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario".

Quanto al primo motivo lo stesso non è risolutivo, avendo la Corte di appello qualificato preliminare il contratto.

Il secondo motivo omette di considerare che l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dall’art. 1362 c.c., ss., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi;

pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche immesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579,16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

La censura, peraltro, non è autosufficiente non riportando compiutamente gli atti indicati mentre la sentenza ha fatto riferimento, indipendentemente dall’uso assolutamente insignificante del termine venditore ed acquirente, al nome attribuito all’atto, all’espressione promette di vendere, promette di acquistare, al termine per il definitivo non prima di una certa data, considerato il tempo che serviva al P. per diventare proprietario.

Il terzo motivo non è risolutivo perchè il problema della frazionabilità è incidentalmente affrontato dalla sentenza a pagina undici in relazione alla indispensabilità dell’acquisto per l’attuazione della scrittura mentre a pagina dodici si conferma la non eseguibilità giuridica del contratto azionato.

Il quarto motivo omette di considerare che la produzione, oltre che tardiva, è stata considerata irrilevante e, comunque, faceva riferimento ad un dispositivo non costituente giudicato.

Il quinto motivo trascura che, di fronte ad una domanda di risoluzione e ad una contrapposta, in via riconvenzionale, di condanna a L. 15.000.000 pari al valore attuale, il Tribunale ha dichiarato solo la risoluzione, decisione sostanzialmente confermata dalla Corte di appello.

Gli ultimi due motivi omettono di considerare che la Corte di appello ha considerato la correttezza della decisione del tribunale di fronte alla disponibilità del tinello a partire dal 30.7.1981.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 2700, di cui Euro 2500 per onorari, oltre accessori.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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