Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-10-2011) 28-10-2011, n. 39171

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 9.7.2001, il Tribunale di Gorizia assolse B.D. e Z.F. dall’imputazione di usura in danno di D.Z.P. perchè il fatto non sussiste.

Avverso tale pronunzia la parte civile ed il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia proposero gravame e la Corte d’appello di Trieste, con sentenza in data 21.11.2007, in riforma della decisione di primo grado, assolse Z.F. dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto, dichiarò B.D. responsabile del reato di usura, e lo condannò alla pena di anni 1 mesi 2 di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa.

B. fu altresì condannato al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio) ed alla rifusione delle spese a favore della parte civile.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato B.D. deducendo:

1. violazione della legge processuale in relazione alla mancata acquisizione al fascicolo del dibattimento del corpo di reato costituito dalla registrazione della conversazione intervenuta fra B.D. e D.Z.P.; il P.M. avrebbe omesso il deposito della trascrizione di tale registrazione e ciò integrerebbe una nullità a regime intermedio tempestivamente eccepita;

2. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile non sottoposta ad adeguato vaglio critico; inoltre il carattere usurario delle operazioni affermato dalla persona offesa non avrebbe trovato riscontro negli assegni sequestrati;

3. vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche trattandosi di prestito effettuato ad un incallito giocatore in una casa da gioco, il che toglierebbe odiosità al reato;

4. vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della pena per le ragioni sopra esposte.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e generico.

Questa Corte ha chiarito che il mancato deposito, unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio, di parte della documentazione relativa alle indagini espletate non è causa di nullità della richiesta stessa, ma comporta soltanto l’inutilizzabilità, ai fini del rinvio, degli atti non trasmessi. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19511 del 15.1.2010 dep. 24.5.2010 rv 247192: nella specie, bobine e trascrizioni integrali degli interrogatori dei collaboratori di giustizia).

D’altro canto nel ricorso si afferma, ma solo genericamente, che si tratterebbe invece di atti favorevoli all’imputato, senza precisarne l’incidenza probatoria.

D’altro canto ben avrebbe potuto l’imputato chiedere il rilascio di copia e produrla.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

La Corte territoriale ha ritenuto che il dettagliato racconto della persona offesa avesse trovato riscontro nella documentazione sequestrata (v. p. 4 sentenza impugnata).

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Va ricordato che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (Cass. Sez. 2A sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv 204768).

Nel caso di specie tale elemento è stato comunque indicato, oltre che nella gravità nei fatti, nei precedenti penali e, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all’art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che questi indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Ne consegue che le attenuanti generiche possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità.

(Cass. Sez. 4A sent. n. 08052 del 6.4.1990 dep. 1.6.1990 rv 184544).

Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Infatti si deve ricordare che in tema di determinazione della misura della pena, il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto. (Cass. Sez. 4A, sent. n. 56 del 16 novembre 1988, dep. 5.1.1989 rv 180075).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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