Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-10-2011) 28-10-2011, n. 39170

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 9/12/2010, la Corte di appello di Lecce, confermava la sentenza del Tribunale di Lecce, in data 22/10/2007, che aveva condannato C.F.J.M. alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed Euro 140,00 di multa per il reato di circonvenzione d’incapace in danno di U.D. (deceduto il (OMISSIS)), oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili, U.N. e C.G..

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto, ed equa la pena inflitta, accogliendo l’appello solo in punto di concessione del beneficio della non menzione della condanna. In particolare la Corte reputava inveritiera la ricostruzione difensiva dei rapporti fra il C. e U.D. ritenendo inesistente il credito vantato dall’imputato e quindi pregiudizievoli gli atti di disposizione effettuati dalla vittima in quanto privi di causa, considerava accertata la situazione di menomazione delle facoltà di discernimento e di autodeterminazione dell’ U., respingendo la richiesta di rinnovazione della perizia d’ufficio.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando tre motivi di gravame.

Con il primo motivo deduce violazione della legge penale, eccependo la prescrizione del reato sul presupposto che il momento consumativo coincideva con gli atti di disposizione (compiuti fra il (OMISSIS)), anzichè con la data del decesso della vittima, indicata nell’imputazione formulata dal P.M..

Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 643 c.p. per errata valutazione della prova. Al riguardo si duole che l’intera sentenza poggia su un presupposto errato, la sussistenza dello stato di infermità o deficienza psichica dell’ U. ed eccepisce che tale assunto non trova riscontro nella realtà processuale. In particolare si duole che la Corte abbia ritenuto non attendibili le dichiarazioni rese, in sede di indagini difensive, da R.A. e che la Corte non abbia affrontato le questioni relative alla non conformità della relazione peritale con le indicazioni della migliore dottrina scientifica in subiecta materia, ampiamente affrontate nelle due perizie di parte prodotte dalla difesa, obiettando che le conclusioni del perito d’ufficio (accolte dalla Corte) non appiaono supportate da elementi scientifici condivisi e condivisibili dalla psichiatria più moderna ed avanzata.

Con il terzo motivo eccepisce il vizio della motivazione dolendosi che la Corte d’appello abbia rigettato del tutto immotivatamente la richiesta di rinnovo della perizia d’ufficio, che avrebbe consentito di superare il contrasto scientifico eccepito dai consulenti dell’imputato.

Con il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione, dolendosi della dosimetria della pena ed eccependo che il collegio non aveva giustificato l’uso del suo potere discrezionale.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.

Quanto al primo motivo del ricorso, l’eccezione di prescrizione è manifestamente infondata. Infatti, anche spostando al 25/10/2003 (anzichè al 5/12/2003) la data di consumazione del reato, il termine di prescrizione ordinario di sette anni e sei mesi non risultava ancora decorso alla data della pronunzia della Corte d’Appello (9/12/2010).

E’ pacifico che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio l’estinzione del reato per prescrizione (ex multis Sez. 3, Sentenza n. 42839 del 08/10/2009 Ud. (dep. 10/1V2009) Rv. 244999).

Il secondo ed il terzo motivo possono essere affrontati congiuntamente perchè entrambi ruotano intorno alla sussistenza del presupposto della condizione di infermità o menomazione psichica della vittima della circonvenzione.

Nell’esaminare le doglianze formulate dal ricorrente, attinenti alla tenuta argomentativa della sentenza, in ordine al presupposto psicologico, appare utile ricordare, in via preliminare, i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.

Invero, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:

a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l’ulteriore precisazione, quanto alla l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (Cass., Sez. 1, 26 settembre 2003, Castellana ed altri). In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. 4, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri). Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica (Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2004, Grado ed altri).

In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto.

Tanto premesso nessuna censura può essere mossa alla sentenza impugnata.

In particolare la Corte territoriale nel suo percorso motivazionale ha preso in considerazione le obiezioni sollevate dai consulenti di parte alle conclusioni del perito d’ufficio in ordine alle condizioni psichiche della vittima e le ha respinte con una motivazione congrua e priva di vizi logico-giuridici, che non può essere oggetto di un intervento in sovrapposizione argomentativa da parte di questa Corte.

Sotto il profilo del diritto il problema non è quello di accertare quale sia la migliore definizione scientifica dei disturbi della personalità da cui era affetto U.D. alla luce dei manuali di psichiatria, bensì quello di rilevare se – in concreto – la vittima presentasse una compromissione della sua capacità di autodeterminazione, tale da rendere possibile un intervento di circonvenzione da parte dell’agente.

Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito in ordine alla sussistenza del presupposto della condizione di incapacità della vittima sono coerenti con l’insegnamento di questa Corte che ha statuito che "Rientra nella nozione di "deficienza psichica" ex art. 643 c.p. la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione, perchè è "deficienza psichica" qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie" (Cass.Sez. 2, Sentenza n. 24192 del 05/03/2010 Ud. (dep. 2306/2010) Rv. 247463).

Quanto alle doglianze circa il diniego di effettuare una nuova perizia d’ufficio, la censura è manifestamente infondata in quanto, secondo l’insegnamento di questa Corte: "in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificatamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita consapevolezza della rilevanza dell’acquisizione probatoria, nella ipotesi di rigetto, viceversa, la decisione può essere sor retta anche da una motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 5782 del 18/12/2006 Ud. (dep. 124)2/2007) Rv. 236064; Sez. 6, Sentenza n. 40496 del 23/35/2009 Ud. (dep. 19/10/2009) Rv. 245009).

Nel caso di specie, la Corte ha dato atto, con una motivazione congrua, analitica ed approfondita, della esistenza di elementi di prova sufficienti per effettuare la valutazione in ordine alla responsabilità dell’imputato sulla base della perizia in atti e degli altri accertamenti, con la conseguente mancanza della necessità di rinnovare il dibattimento.

Parimenti inammissibile è il quarto motivo concernente la misura della pena giacchè la motivazione della impugnata sentenza, pure su tali punti conforme a quella del primo giudice, si sottrae ad ogni sindacato per avere adeguatamente motivato nell’apprezzamento della gravità dei fatti. Nè il ricorrente indica elementi non considerati in positivo decisivi ai fini di una diversa valutazione.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00), nonchè alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile, U.N., che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile, U.N., liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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