Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-10-2011) 28-10-2011, n. 39168

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 6/10/2010, la Corte di appello di Cagliari, confermava la sentenza del Tribunale di Cagliari, in data 5/12/2007, che aveva condannato M.R. alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa per il reato di appropriazione indebita (in concorso con R.G.) di alcuni cataloghi commerciali.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame con il quali deduce:

1) mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione;

2) mancata assunzione di una prova decisiva.

Quanto al primo motivo eccepisce che la Corte territoriale non ha accertato la sussistenza dell’elemento soggettivo in testa al M., osservando che dalle risultanze istruttorie emergeva che le richieste di restituzione erano state rivolte al R., di cui il M. era un mero collaboratore. Si duole che la Corte non abbia ritenuto attendibile la deposizione del teste N. A., il quale aveva riferito di aver restituito alcuni cataloghi.

Si duole, inoltre, che la Corte non abbia riconosciuto l’attenuante del danno di speciale tenuità, essendo stato accertato che il M. aveva la disponibilità esclusivamente di alcuni cataloghi di modesto valore.

Quanto al secondo motivo si duole che non sia stato preso in considerazione l’atto di citazione con cui la Tecno Projet ha chiesto il risarcimento dei danni agli imputati, facendo riferimento a sei cataloghi del valore di Euro 380,00, contrariamente a quanto indicato dai testi in dibattimento che hanno sostenuto che il numero ed il valore dei cataloghi era di gran lunga superiore.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Nell’esaminare le doglianze formulate dal ricorrente, attinenti alla tenuta argomentativa della sentenza, appare utile ricordare, in via preliminare, i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.

Invero, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:

a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Con l’ulteriore precisazione, quanto alla l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (Cass., Sez. 1, 26 settembre 2003, Castellana ed altri). In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. 4, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri). Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica (Cass., Sez. 4, 2 dicembre 2004, Grado ed altri).

In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto.

Nel caso di specie le doglianze del ricorrente mirano proprio ad ottenere una rilettura degli elementi probatori posti a base della decisione in quanto le critiche svolte in chiave di illogicità (sia in punto di insussistenza dell’elemento soggettivo, sia in punto di valutazione di inattendibilità di un teste a discarico), risultano, in realtà, basate su mere deduzioni di fatto, alternative rispetto alle diverse valutazioni plausibilmente e del tutto coerentemente compiute dal Giudice del merito nell’ambito di scelte allo stesso riservate.

Di conseguenza il primo motivo di ricorso deve essere respinto in quanto inammissibile.

E’ infondato il secondo motivo di ricorso in punto di mancata assunzione di una prova decisiva. E’ pacifico che: "E’ prova decisiva, la cui mancata assunzione è deducibile come motivo di ricorso per cassazione, solo quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27581 del 15002010 Ud. (dep. 15/07/2010) Rv. 248105).

Nel caso di specie il documento indicato dal ricorrente non presenta alcun carattere di decisività. In ogni caso, la Corte territoriale ha preso in considerazione la difformità fra quanto indicato nella querela e nell’atto di costituzione di parte civile in ordine al numero ed al valore dei cataloghi e quanto dichiarato dai testi, fornendone una spiegazione congrua.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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