T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 01-12-2011, n. 9487

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 4 giugno 2009 e depositato il successivo 30 giugno 2009, il ricorrente impugna la delibera della Commissione Centrale ex art. 10 della legge n. 82 del 1991 di revoca il programma di protezione nei confronti del medesimo, di cui al verbale in data 12 marzo 2009.

Ai fini dell’annullamento, il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:

A) ECCESSO DI POTERE PER TRAVISAMENTO DI FATTO; DIFETTO DI ISTRUTTORIA; ERRORE NEI PRESUPPOSTI, VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 13 QUATER DELLA LEGGE 15.3.1991 N. 82. La Commissione di cui sopra ha motivato la revoca facendo riferimento a diverse note relative a violazioni comportamentali che il ricorrente non ha mai posto in essere o che trovano valide giustificazioni in episodi di cui il Servizio Centrale è stato sempre a conoscenza. Il ricorrente – fin dal 2005 – ha avuto necessità di rinnovare il permesso di soggiorno. Al riguardo, gli sono state frapposte continue difficoltà. In particolare, ha avanzato richieste che sono rimaste prive di riscontro. Nonostante i suoi problemi di salute, non gli è stato rilasciato nemmeno il libretto sanitario con le reali generalità. Il ricorrente ha già comunicato la richiesta di capitalizzazione delle misure di assistenza ma la fuoriuscita dal programma di protezione con la capitalizzazione è possibile solo con il rilascio della carta di soggiorno.

B) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3 DELLA LEGGE 8.8.1990 N. 241 E DEI PRINCIPI GENERALI IN MATERIA DI OBBLIGO DI MOTIVAZIONE – ECCESSO DI POTERE SOTTO IL PROFILO DELLA PERPLESSITA" DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA. ECCESSO DI POTERE PER CONTRADDITTORIETA’, tenuto conto del continuo richiamo nel provvedimento impugnato di note di cui il ricorrente non è a conoscenza.

In ultimo, il ricorrente formula istanza istruttoria.

Con atto depositato in data 14 luglio 2009 si è costituito il Ministero dell’Interno, il quale – nel prosieguo e precisamente in data 13 ottobre 2010 – ha prodotto "istanza di prelievo".

In data 12 maggio 2011 il ricorrente ha depositato una memoria, ribadendo le problematiche legate ai propri documenti nonché rappresentando l’inoltro in data 2 luglio 2010 di una "richiesta di capitalizzazione" con fuoriuscita "dal programma di protezione previa rinuncia al ricorso al Tar", la quale – nonostante il tempo trascorso – è rimasta priva di riscontro.

Con ordinanza n. 6160 dell’11 luglio 2011 la Sezione ha chiesto all’Amministrazione resistente di produrre documenti.

A ciò l’Amministrazione ha provveduto – seppure parzialmente – in data 12 agosto 2011. In particolare, ha depositato una nota, il cui contenuto può essere così sintetizzato: – il ricorrente si è sottratto più volte all’accompagnamento presso il Consolato Macedone al fine di rinnovare il passaporto; – lo stesso ricorrente si è più volte allontanato dalla località protetta ed ha rifiutato nel 2009 il trasferimento temporaneo in altra regione; – le violazioni comportamentali poste in essere dal ricorrente, effettivamente accertate, sono indicative di una oggettiva incompatibilità con gli obblighi assunti dal collaboratore di giustizia e con le specifiche finalità del programma di protezione; – lo stesso ricorrente contesta non i fatti ma le conclusioni cui è giunta la Commissione, la quale ha correttamente valutato le condotte accertate come incompatibili con le finalità del sistema.

In data 2 novembre 2011 è stata depositata una memoria che – oltre ad essere stata tardivamente prodotta – risulta sottoscritta direttamente ed esclusivamente dal sig. S. e, dunque, non è meritevole di considerazione.

All’udienza pubblica del 10 novembre 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

1.1. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento con il quale, in data 12 marzo 2009, la Commissione Centrale ex art. 10 della legge n. 82 del 1991 ha deliberato di revocare nei di lui confronti il programma di protezione, a cui il medesimo era stato in precedenza ammesso in qualità di collaboratore di giustizia.

Ai fini dell’annullamento denuncia violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Le doglianze formulate non sono meritevoli di condivisione per le ragioni di seguito indicate.

2. In primis, il ricorrente sostiene la sussistenza dei vizi di violazione di legge (in particolare, la violazione dell’art. 13 quater della legge n. 82 del 1991) e di eccesso di potere in quanto afferma di non aver commesso le violazioni comportamentali addebitategli o che, comunque, le stesse violazioni trovano "valide giustificazioni in episodi di cui il Servizio Centrale di Protezione è stato sempre a conoscenza".

Tali censure sono infondate.

2.1. Al riguardo, appare opportuno ricordare che:

– la revoca o la modifica delle speciali misure di protezione e dello speciale programma di protezione concessi dalla Commissione Centrale e sottoscritti dall’interessato (art. 12 della legge n. 82 del 1991) possono essere disposte o per la cessazione o la modifica del presupposto essenziale delle misure, ossia del pericolo cui è esposto il collaboratore di giustizia in conseguenza dei suoi apporti alle indagini, oppure per i comportamenti inadempienti dello stesso collaboratore (art. 13 quater, comma 1, della legge in argomento e d.m. 23 aprile 2004, n. 161);

– quanto alla revoca per condotte inadempienti degli interessati, il legislatore disciplina diversamente la violazione di diversi tipi di obblighi derivanti dalla sottoscrizione delle misure speciali (o del programma speciale) di protezione, distinguendo l’ipotesi della violazione dell’obbligo primario di collaborazione con gli organi di giustizia (sottoposizione ad interrogatori, esami, testimonianze) da quella della violazione di altri obblighi di natura secondaria. Le violazioni del primo tipo, integranti un inadempimento grave che mina in radice la stessa ragion d’essere dell’accordo tra Stato e collaboratore di giustizia sono valutate dal legislatore con particolare rigore, essendo di per sé sufficienti a giustificare la revoca, a prescindere da ogni altra valutazione (art. 13 quater, comma 2, primo alinea); le violazioni degli obblighi secondari e, segnatamente, dei doveri di osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all’esecuzione delle misure ed "adempiere agli obblighi prescritti dalla legge e dalle obbligazioni contratte" (cfr. art. 12, comma 2, lett. a) e c) l. n. 82 del 1991) sono, invece, valutate dal legislatore con minor rigore, nel senso che non sono di per sé sufficienti a giustificare la revoca, imponendosi una valutazione comparativa con gli altri due interessi essenziali in gioco, ossia quello dello Stato a conservare la collaborazione e quello privato alla vita ed all’incolumità personale (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. VI, 7 aprile 2010, n. 1955).

Da quanto sopra esposto si desume che la revoca costituisce l’estrema ratio e che, in caso di violazione degli obblighi secondari cui non consegue un automatismo sanzionatorio, occorre valutare se non sia misura sufficiente la modifica delle misure/programma speciale di protezione, tendendo conto dei parametri valutativi sopra evidenziati in relazione agli interessi configgenti, con le seguenti precisazioni:

– l’attualità dello stato di pericolo non vale di per sé a giustificare la fruibilità del programma speciale di protezione ove il comportamento degli interessati renda superflue le misure accordate e risulti in oggettivo contrasto con le finalità perseguite dalla stessa legge n. 82 del 1991 (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. VI, 24 aprile 2009, n. 2541; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 10 luglio 2008, n. 6627);

– il vaglio sulla condotta del soggetto sottoposto alle misure protettive ed il giudizio sulla eventuale incompatibilità del comportamento da questi tenuto con il permanere del sistema di tutela rientrano nella sfera discrezionale dell’Amministrazione e, dunque, al giudice permane unicamente il compito di vagliare se l’esercizio di tale potere discrezionale sia stato rispondente a criteri di logica e razionalità, censurandolo eventualmente ove emergano profili di abnormità valutativa o travisamento del fatto (cfr. C.d.S., da ultimo citata).

2.2. Applicando gli enunciati principi al caso di specie, si osserva che il provvedimento di revoca impugnato imputa al ricorrente ripetute violazioni comportamentali, attinenti – in particolare – all’abbandono della località protetta ed al rifiuto, opposto in più occasioni, di far rientro o di recarsi in quest’ultima (di cui alle note del 14 agosto 2006, 11 luglio 2007, 7 aprile 2008, 9 marzo 2009), in spregio dell’"obbligo previsto dalle lett. a) ed f), in particolare punti 4 e 5 del programma di protezione".

Il provvedimento censurato si incentra, dunque, sulla violazione degli obblighi di condotta da parte del ricorrente, la quale è stata, tra l’altro, ritenuta atta a palesare "l’inidoneità del soggetto alle regole del sistema tutorio".

Posto che le argomentazioni addotte dal ricorrente non valgono a dimostrare l’insussistenza delle condotte contestate, il Collegio ritiene che quest’ultime – anche tenendo conto del carattere reiterato che le connota – siano valide e sufficienti a giustificare il provvedimento di revoca adottato, specie ove si consideri che condotte di tal genere si profilano idonee ad inficiare il sistema di tutela che la stessa ammissione al programma speciale di protezione mira a garantire.

In altri termini, le condotte in evidenza concretizzano comportamenti che – in quanto incidenti sulle finalità perseguite con il programma di protezione – impongono all’Amministrazione di procedere ad una valutazione in ordine alla persistenza o meno di quest’ultimo, con conseguente corretta adozione di un provvedimento di revoca per i casi in cui – come quello in esame – la stessa Amministrazione pervenga ad accertare l’inidoneità del soggetto al sistema di tutela in precedenza instaurato, tenuto conto della vanificazione dell’interesse pubblico perseguito che la stessa comporta.

La circostanza che il soggetto interessato cerchi di giustificare le condotte contestategli mediante il richiamo della necessità di ottenere il soddisfacimento di ulteriori esigenze, quali il rilascio del permesso di soggiorno, non vale poi a svilire la rilevanza delle condotte de quae in relazione alla legittimità del provvedimento gravato.

Pur non venendo in discussione l’importanza del permesso di soggiorno per il ricorrente, appare, infatti, evidente che la correttezza del comportamento del collaboratore di giustizia non può assumere carattere "condizionato" ed, in particolare, non può essere subordinata all’assunzione di determinate iniziative da parte dell’Amministrazione per mera volontà del soggetto ammesso al programma, specie nei casi in cui quest’ultima abbia dimostrato – come nel caso in trattazione – disponibilità al fine di far conseguire al collaboratore di giustizia gli obiettivi perseguiti (nel caso di specie, la regolarizzazione della propria posizione in Italia).

In definitiva, la violazione dell’art. 13 quater e l’eccesso di potere per travisamento di fatto, difetto di istruttoria ed errore nei presupposti sono da ritenere insussistenti: in ragione delle violazioni comportamentali ascritte al ricorrente, l’operato dell’Amministrazione si rivela ragionevole e corretto.

3. In ultimo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, ossia difetto di motivazione, a causa del riferimento – nel provvedimento impugnato – a diverse note di cui il predetto non è a conoscenza.

Tale censura è – al pari della precedente – infondata.

In verità, anche il Collegio aveva ravvisato la necessità di acquisire agli atti le note in questione, tanto che – con l’ordinanza n. 6160 del 2011 – aveva richiesto al Ministero dell’Interno di depositarne copia.

A tale incombente l’Amministrazione non ha ottemperato.

Nonostante il rilevato inadempimento, il vizio denunciato non appare comunque ravvisabile.

Al riguardo, assume carattere dirimente la circostanza che il riferimento a tali note non si risolve in un mero ed anonimo richiamo, bensì l’Amministrazione – nel fare riferimento a tali note – riporta – in sintesi – il contenuto che connota le stesse, consentendo così all’interessato di prendere consapevolezza di quest’ultimo.

Ciò detto, appare evidente che il contenuto di dette note diviene – in ultimo – parte integrante del provvedimento impugnato, atto a dare conto delle ragioni poste alla base della decisione assunta.

4. In conclusione, il ricorso va respinto.

Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 5491/2009, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *