Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-10-2011) 28-10-2011, n. 39167 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5.6.2009, il Tribunale di Genova dichiarò B.R. responsabile dei reati di truffa ed estorsione consumata e tentata, unificati sotto il vincolo della continuazione e lo condannò alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 1.100,00 di multa.

L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio, con una provvisionale) ed alla rifusione delle spese a favore della parte civile D.P..

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame e la Corte d’appello di Genova, con sentenza in data 6.10.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarò non doversi procedere in ordine al reato di truffa perchè estinto per prescrizione e determinò la pena per i residui reati in anni 5 mesi 8 di reclusione ed Euro 900,00 di multa. Condannò l’imputato alla rifusione delle spese a favore della parte civile.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo:

1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza egli elementi oggettivi e soggettivi del reato di estorsione, all’illogica valutazione delle prove ed al difetto di motivazione; sarebbe stata attribuita rilevanza decisiva alla deposizione della persona offesa D.P. e non considerata la diversa ricostruzione dei fatti proposta dalla difesa dell’imputato;

in particolare non sarebbe stata utilizzata violenza o minaccia e la diversa ricostruzione difensiva sarebbe sorretta da due lettere (la prima in data 24.4.2002 a firma B. e la seconda in data 3.5.2002 a firma D.) che dimostrerebbero sia il motivo della richiesta avanzata da B. che il consenso di D. al versamento di Euro 50.000,00 alla Noos; la seconda lettera è stata indicata come falsa sia nel contenuto che nella sottoscrizione da D., ma tale affermazione non è stata verificata ed è stata accettata acriticamente; non sarebbe emersa alcuna prova della distruzione da parte di B. della documentazione contabile o di minaccia in danno di D.; mancherebbe l’ingiusto profitto, poichè la somme versata da D. è entrata nelle casse sociali ed è servito a pagare i debiti della società; D. avrebbe fragilità caratteriale e psicologica, evidenziata anche dell’essersi sottoposto a visite mediche presso un centro mentale ed a ricoveri ospedalieri;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza egli elementi oggettivi e soggettivi del reato di tentata estorsione, all’illogica valutazione delle prove ed al difetto di motivazione; la Corte territoriale non avrebbe considerato che sarebbero intercorse trattative per la cessione di quote, come evidenziato dalla testimonianza di D.G., legale della Noos; sarebbe stata utilizzata come fonte di prova solo la deposizione della persona offesa;

3. omessa assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione in relazione alla richiesta di rinnovazione del dibattimento per acquisire la sentenza del Tribunale di Piacenza (prova nuova perchè successiva alla sentenza del Tribunale di Genova) con la quale B. era stato assolto dall’imputazione di bancarotta fraudolenta relativa all’ipotesi distratti va di Euro 34.500,00, nonchè per espletare perizia grafologica alla luce della richiesta di acquisire il verbale di udienza 1.4.2008 del Tribunale di Piacenza (dal quale emergerebbe che D. ha ammesso di aver inviato un fax, che sarebbe la missiva 3.5.2002 ritenuta un falso) e della nota del V. Questore dr A. 29.4.2005; nella sentenza non vi è cenno del rigetto e delle ragioni;

4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna al risarcimento dei danni, comprensivo della somma di Euro 15.500,00 ricevuti da D. come da quietanza da costui rilasciata in atto pubblico che non può essere superata dalle sole dichiarazioni di D.; la somma di Euro 50.000,00 fu versata alla società Noos, di cui D. era socio al 60%, ed utilizzato a fini sociali;

5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’entità della pena inflitta, trascurando lo stato di incensuratezza dell’imputato il contesto in cui si è sviluppata l’azione ed il comportamento processuale.

Con memoria in data 7.10.2011 il difensore della parte civile ha dedotto la inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono inammissibili perchè, sotto il profilo della violazione della legge processuale e del vizio di motivazione; tentano di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) introdotta con L. n. 46 del 2006, ed inoltre sono manifestamente infondati.

Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di Cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.

Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.

E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.

Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di Cassazione di verificare la correttezza della motivazione.

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.

Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di Cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.

Nel caso in esame i giudici di merito, non hanno travisato elementi di prova nè hanno tralasciato risultanze che presentino carattere di decisività, ma hanno interpretato le stesse in modo difforme da quello prospettato nel ricorso.

Il ricorrente propone una ricostruzione alternativa a quella operata dai giudici di merito, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perchè sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza. (V., con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. Sez. 1 sent. n. 13528 del 11.11.1998 dep. 22.12.1998 rv 212054).

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato ed in parte generico.

Quanto alla sentenza del Tribunale di Piacenza in data 12.3.2009, non è neppure indicato, nel ricorso, che si tratti di sentenza passata in giudicato. Inoltre la sentenza in questione non è neppure allegata al ricorso in modo da consentire a questa Corte di apprezzarne al decisività, sicchè sotto questo profilo il motivo di ricorso è generico.

La rinnovazione del dibattimento avrebbe dovuto essere disposta, quanto all’acquisizione del verbale di udienza 1.4.2008 del Tribunale di Piacenza e della nota 29.4.2005 del V. Questore A., ai sensi dell’art. 603 c.p.p., non trattandosi di prove nuove (in quanto antecedenti la pronunzia di primo grado), solo se il giudice di appello avesse ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti ed anche tale valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita.

Infatti, in tema di giudizio di appello, poichè il vigente c.p.p. pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione – in senso positivo o negativo – sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento, (v. Cass. Sez. 5 sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403).

Infine, secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, l’accertamento peritale, mezzo di prova neutro e, come tale, non classificabile nè quale prova a carico nè quale prova a discarico ( art. 495 c.p.p., comma 2) dell’accusato, non può essere ricondotto alla nozione di "prova decisiva" la cui mancata assunzione costituisce motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d) (Cass. Sez. 6 sent. n. 17629 del 12.2.2003 dep. 4.4.2003 rv 226809).

Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

L’efficacia probatoria dell’atto pubblico riguarda solo il fatto che D. dichiarò di aver ricevuto la somma di Euro 15.500,00 e non la veridicità di tale dichiarazione, liberamente apprezzabile dai giudici di merito.

Quanto al fatto che la somma di Euro 50.000,00 fu versata alla società ed utilizzata per pagare debiti della stessa, la Corte territoriale ha escluso che tali debiti fossero esistiti sulla scorta non solo delle dichiarazioni di D., ma anche di quelle del curatore fallimentare.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "I limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di motivazione o la sua manifesta illogicità.

Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità degli enunciati che la compongono.

Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *