Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6597 Condominio di edifici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Lamentando che una modifica alla falda del tetto dell’edificio condominiale avesse, tra l’altro, danneggiato una luce del proprio appartamento, S.G. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Bologna, il condomino M.U., cui addebitava i lavori che avevano cagionato il danno.

Il convenuto resisteva attribuendone la responsabilità al condominio, che aveva deliberato i lavori.

Respinta in primo grado, la domanda era accolta, invece, dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza pubblicata il 28.7.2009, che condannava M.U. al pagamento in favore di S. G. della somma di Euro 1.976,50 a titolo di risarcimento del danno. Quindi compensava per un terzo le spese di giudizio, ponendo la restante frazione a carico del M., e analogamente ripartiva le spese di c.t.u..

Per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte felsinea ricavava la responsabilità del M. dal fatto che questi aveva chiesto ed ottenuto il condono edilizio delle opere che, modificando l’andamento delle falde del tetto, avevano cagionato il danno alla proprietà S.. Quindi, osservava che la riduzione del 10% della luce, mentre non arrecava alcun pregiudizio all’illuminazione del vano cui serviva, comportava, tuttavia, un danno per il costo dell’inferriata mobile non più utilizzabile date le minori dimensioni dell’apertura, danno che quantificava nell’importo sopra detto.

Per la cassazione di tale sentenza, ricorre M.U., formulando otto motivi d’impugnazione, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso S.G..

Motivi della decisione

1. – Preliminarmente va esaminata l’eccezione d’inammissibilità del controricorso sollevata dal ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., in quanto la relativa procura mancherebbe di specifico riferimento alla fase processuale di cassazione.

1.1. – L’eccezione è infondata.

Il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione, essendo per sua natura speciale, non richiede ai fini della sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso, sicchè risultano irrilevanti sia la mancanza di uno specifico richiamo al giudizio di legittimità sia il fatto che la formula adottata faccia cenno a poteri e facoltà solitamente rapportabili al giudizio di merito (Cass. n. 26504/09).

1.2. – Nella specie la procura è stata apposta a margine del controricorso, per cui, nonostante il relativo testo attribuisca all’avvocato la difesa "in ogni stato e grado", e "con ogni potere di legge, compresa la chiamata di terzi in causa, la facoltà di transigere e conciliare", la sua localizzazione non ammette dubbi di sorta sulla riferibilità esclusiva al presente giudizio di cassazione, per il quale lo stesso controricorso risulta redatto.

2. – Il primo motivo deduce la difettosa e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla ritenuta irritualità della produzione della lettera 30.6.2005 depositata dall’appellato. La Corte ha ritenuto non dimostrata la rituale introduzione in causa dei documento, il quale, al contrario, era stato prodotto dalla difesa del M. all’atto della precisazione delle conclusioni.

2.1. – Il motivo è inammissibile per due concomitanti ragioni.

2.1.1. – La prima è data dal fatto che il vizio di mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006), è denunciarle soltanto ove abbia ad oggetto un punto del fatto sostanziale, inerente ad una domanda ovvero ad una eccezione di merito, non anche allorchè ricada sulla motivazione relativa al fatto processuale, quale svolgimento complessivo del modo in cui facoltà e poteri processuali sono stati esercitati dalle parti e dal giudice, sia perchè spetta alla Corte di Cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività processuale attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. nn. 27728/05, 22130/04 e 7620/01), sia perchè la censura, implicando un errar in procedendo, deve essere denunciata ai sensi dell’art. 360 c.p.p., n. 4 e non sub specie di vizio motivazionale (cfr. Cass. n. 11034/03 e successive conformi).

2.1.2. – In secondo luogo, l’omesso esame di documenti, riconducibile al vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5) ricorre solo nel caso in cui questi ultimi si rivelino idonei a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo od estintivo del rapporto giuridico in contestazione, tanto da condurre ad una pronunzia diversa; il potere- dovere di stabilire se il documento di cui si lamenta l’omesso esame sia, sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza, tale da indirizzare ad una pronuncia diversa da quella adottata compete alla corte di cassazione in sede di esame del ricorso (Cass. n. 9701/03). A tal fine il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, controllo che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (giurisprudenza costante: v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 17915/10).

2.2. – Nella specie, manca nel ricorso sia la trascrizione del documento, sia la specifica allegazione del contenuto di esso e, quindi, della sua concreta attitudine a indurre, in termini non di possibilità o di probabilità, ma di certezza una soluzione di merito difforme da quella cui è pervenuta la Corte territoriale.

3. – Con il secondo motivo è dedotta la violazione di norme di diritto, nonchè la contraddittorietà della motivazione circa le modalità della produzione documentale da parte della S..

In particolare, parte ricorrente lamenta che la documentazione relativa al condono edilizio delle opere di copertura dell’appartamento del M. sia stata prodotta dalla controparte nel giudizio d’appello nel corso dell’accertamento tecnico e dunque in maniera non rituale, con la conseguenza che la Corte territoriale non avrebbe dovuto tenerne conto.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Premesso che la causa in oggetto è stata introdotta nel 1990 (v. pag. 5 sentenza impugnata), vigenti, dunque, le norme processuali ante novella ex lege n. 353 del 1990, e che le indagini del c.t.u. sono state svolte nel processo di primo grado (come si ricava dalla narrativa dello stesso ricorso), di guisa che anche la produzione documentale di cui si discute deve ritenersi effettuata in quel giudizio, deve osservarsi che l’irrituale produzione di un documento nel giudizio di merito non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata nell’udienza immediatamente successiva ad essa, con la conseguenza che, in caso di mancata tempestiva opposizione, il compimento dell’attività irregolare non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. sent. nn. 896/87, 5722/84, 4121/83, 594/82 e 4261/80).

3.1.1. – Nella specie, nè dalla sentenza impugnata, nè dal ricorso emerge che la parte odierna ricorrente abbia eccepito in primo o in secondo grado che i documenti relativi al condono edilizio delle opere di copertura dell’appartamento dei M. siano stati prodotti in violazione di norme o principi processuali, di guisa che ogni questione al riguardo deve ritenersi preclusa in questa sede.

4. – Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 la contraddittorietà e illogicità della motivazione circa la rilevanza della sanatoria nei confronti dell’asserito danno arrecato alla luce dell’appartamento di proprietà S., in quanto, secondo parte ricorrente, collega aprioristicamente l’andamento delle falde alla restrizione di detta apertura, come se esistesse una causalità necessaria tra i due fatti, non considerando che sulle aperture (sia luci che vedute) è intervenuta un’impresa esterna che le ha manipolate. Tale ragionamento ha preso le mosse dalle falde e dal velux, ma si è concluso sulle dimensioni della luce e della relativa inferriata, senza rendersi conto, prosegue il ricorrente, del salto logico dipendente dalla mancanza di un nesso di causalità necessaria. In particolare, si afferma, il nesso eziologico tra la modifica delle falde del tetto e di una finestra velia e la lamentata riduzione della luce è escluso dal fatto che è ipotizzabile una miriade di variazioni delle falde, tutte prive di incidenza sulla dimensione di una luce; che tale nesso non è stato provato dalla S., su cui incombeva il relativo onere; e che M.U. ha provato, con tutti i documenti prodotti in primo grado, che è stato il condominio ad incaricare l’impresa di costruzioni A.Emme di effettuare interventi di manutenzione straordinaria sul coperto e sulle finestre con sostituzione dei bancali.

4.1. – Il motivo è infondato.

Il vizio di contraddittorietà della motivazione, sia nell’ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione stessa, sia nel caso di assoluta inconciliabilità delle ragioni esposte a fondamento della decisione, è tale solo se intrinseco alla sentenza, afferendo alla sua stessa logicità, e può, pertanto, essere riscontrato nel suo solo ambito, non rilevando, al riguardo, eventuali contrasti – pur denunciabili sotto altri profili – tra le affermazioni della stessa sentenza ed il contenuto di prove e documenti (Cass. n. 6787/00).

4.1.1. – Nello specifico, la Corte territoriale dopo aver identificato nel M. l’autore delle modifiche apportate al tetto, ha affermato che "dalla documentazione allegata dalla attuale parte appellante alla c.t.u., il tetto nella parte in cui funge da copertura all’appartamento del M. è stato oggetto di condono edilizio. Nel maggio del 1997, infatti, il Comune di Bologna aveva autorizzato a sanatoria le opere eseguite dal M. in (OMISSIS), consistenti in "diverso andamento delle falde … e diversa dimensione di 1 velia". Quello stesso coperto di cui oggi si discute e la cui modifica strutturale ha comportato i danni per il cui risarcimento la S. agisce.

Conseguentemente, la modifica del coperto è stata eseguita dal M., che ha anche provveduto a pagare il condono …" (pag. 8 / sentenza impugnata).

Così accertata la riferibilità soggettiva dei lavori di variazione delle falde del tetto, la Corte territoriale ha poi proseguito osservando che "la c.t.u. espletata in primo grado, mentre nulla ha potuto accertare in relazione alla finestra della camera da letto, ha accertato una diminuzione dell’apertura della finestra del bagno di circa il 10% nella parte inferiore della veduta. Ciò, specifica il c.t.u., se ha comportato una riduzione di cm. 22 delle dimensioni dell’apertura, non ha comportato alcuna diminuzione di luminosità, che diminuisce solo se si diminuisce la parte alta della finestra, mentre nella specie è stata ridotta la parte bassa. E’ stata, peraltro limitata la possibilità di affaccio" (pag. 9 sentenza impugnata).

Orbene, è di tutta evidenza per la logica consecuzione degli argomenti svolti nella sentenza, i quali nella loro oggettiva concatenazione altro non autorizzano a intendere, che la Corte bolognese abbia ritenuto accertato, sulla base della relazione del c.t.u., che sia stata la variazione del tetto fatta eseguire dal M. a provocare il danno all’appartamento della S.. E poichè per rendere chiaro tale concetto non occorreva ripetere oltre che l’oggetto dell’accertamento tecnico era appunto la modifica del tetto e le sue conseguenze sulla proprietà dell’attrice, nè riportare pedissequamente come il c.t.u. fosse pervenuto alle sue conclusione, illogico, semmai, è negare che il ragionamento espresso nella sentenza contenga la giustificazione del nesso causale tra condotta (modifica delle falde del tetto) ed evento (riduzione delle dimensioni dell’apertura esistente nella proprietà S.).

Per il resto la censura si basa sulla mera negazione di un fatto – la responsabilità del M. quale autore delle modifiche del tetto – che non attiene al controllo motivazionale, ma alla valutazione di merito degli elementi istruttori, non sindacabile in questa sede quanto ai risultati raggiunti.

5. – Col quarto motivo è dedotta la violazione dell’art. 2697 cc.c. in connessione col vizio di motivazione, ai sensi dei nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., per aver la sentenza impugnata posto a carico del M. l’onere della prova relativo alla manipolazione della "luce" dell’appartamento di proprietà S.. Parte ricorrente lamenta che, essendo stato accertato che il tetto dell’edificio fu modificato sia dal condominio, sia dal M., illogicamente la Corte territoriale avrebbe posto a carico di quest’ultimo l’onere di provare chi dei due sarebbe stato autore del fatto dannoso.

5.1. – Anche tale motivo non merita accoglimento, in quanto si basa su di una lettura parziale e decontestualizzata di un singolo passo della sentenza d’appello.

La frase riportata nel motivo ("Può anche darsi che il coperto sia stato, poi, ristrutturato a spese del condominio, tra cui della S., ma ciò non è idoneo a trasferire sul condominio la responsabilità della modifica strutturale, non avendo il M., sul quale incombeva il relativo onere probatorio, una volta accertata la modifica strutturale del coperto a sue spese e per sua richiesta, provato la relativa circostanza": pagg. 8-9 della sentenza impugnata) e su cui si basa la censura è preceduta dalle altre – riportate sopra al 4.1.1. – che ben illustrano il ragionamento svolto dalla Corte territoriale ed escludono il denunciato malgoverno dei principi che presiedono al riparto dell’onere probatorio. Letta nel suo sviluppo, senza stravolgerne l’ordine logico nè estrapolarne strumentalmente singole parti, la sentenza impugnata mostra con chiarezza che la responsabilità del M. è stata ricavata da un accertamento svolto in positivo, avendo la Corte d’appello ritenuto che fu questi ad operare le variazioni del tetto e, segnatamente, delle sue falde, provocando l’alterazione della luce (del bagno) dell’appartamento di proprietà S..

L’espressione di tipo ipotetico trascritta nel motivo in esame costituisce nulìaltro che un obiter dictum il cui senso non è quello che parte ricorrente tenta di attribuire ai giudici d’appello, bensì quello di precisare (in maniera sovrabbondante, com’è nella natura degli obiter dicta) che "una volta accertata la modifica strutturale del coperto a sue spese e per sua richiesta", il M. non aveva fornito dal canto suo una prova contraria a quella che lo designava come responsabile del fatto dannoso.

6. – Il quinto motivo denuncia il vizio di ultrapetizione della sentenza, per violazione degli artt. 342 e 163 c.p.c. in relazione al n. 3 (rectius, 4) dell’art. 360 c.p.c., relativamente al titolo e al quantum della liquidazione del danno. Sostiene parte ricorrente che mentre la domanda della S. era testualmente – diretta ad ottenere il risarcimento del danno "nella misura risultante dall’espletando istruttoria", e dunque sulla base di un qualche rinnovo dei mezzi di prova, la Corte bolognese ha accolto la domanda senza dar corso ad altri incombenti, di guisa che, secondo il ricorrente, essa avrebbe accolto una domanda mai proposta, sulla base di conclusioni mai assunte, correggendo implicitamente quelle rassegnate, al fine di renderle compatibili con la decisione.

6.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

Oggetto della domanda è il bene della vita, o se si preferisce l’effetto di giudicato, richiesto, mentre il suo titolo è la norma di legge su cui si fonda la pretesa. Il modo attraverso cui il giudice, selezionando le prove raccolte e i fatti pacifici, perviene alla decisione di accoglimento non è oggetto di domanda e non riguarda la sfera di disponibilità delle parti.

7. – Con il sesto motivo è dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c. e il vizio di motivazione nella determinazione dell’ammontare del danno, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 atteso che la S. non ha provato di aver acquistato l’inferriata mobile e di averla pagata, nè ha dedotto prove al riguardo.

7.1. – Anche tale motivo è manifestamente infondato.

Il risarcimento del danno presuppone la titolarità del diritto leso, non il modo in cui esso è pervenuto al danneggiato, nè l’adempimento delle obbligazioni corrispettive dell’acquisto stesso, l’uno e l’altro aspetto non avendo rilievo alcuno nell’ambito della relativa aestimatio rei, che assolve la funzione di reintegrare un valore, non quella di rimborsare una somma se ed in quanto erogata.

8. – Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omessa motivazione in ordine agli effettivi criteri di liquidazione delle spese di lite, non avendo la Corte d’appello giustificato le ragioni per cui ha ritenuto di compensarle solo parzialmente.

8.1. – Il motivo è infondato, perchè è solo la compensazione delle spese, e non già l’applicazione della regola della soccombenza, cui il giudice si sia uniformato, a dover essere sorretta da motivazione.

La facoltà di disporre la compensazione delle spese tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. n. 14989/05 e successive conformi).

9. – Con l’ottavo motivo, infine, si deduce la violazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per aver la Corte territoriale condannato alle spese il M., nonostante la domanda sia stata accolta in minima parte, sicchè avrebbe dovuto trovare applicazione, semmai, la condanna della parte attrice a tutte le spese ovvero la compensazione integrale delle stesse.

9.1. – Anche tale motivo è manifestamente infondato.

L’art. 92 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie), non impone ma consente, in base ad una valutazione discrezionale, di compensare le spese ove ricorrano giusti motivi;

nè tanto meno impone al giudice, nel caso di accoglimento parziale della domanda, di condannare la parte attrice al pagamento delle spese stesse, essendo al più consentito, in tal caso, di compensarle (v. Cass. n. 22381/09, che ha esteso la disciplina delle soccombenza reciproca in tema di spese al caso – in sè diverso – dell’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialità del l’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo).

10. – In conclusione il ricorso va respinto.

11. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 900,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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