Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6595

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Svolgimento del processo

I coniugi A.C. e E.M.A., da un lato, e i coniugi R.S. e P.F., dall’altro, edificavano nel comune di Sarno, assenti gli strumenti urbanistici, i confinanti fondi di rispettiva proprietà. Costruivano per primi i C. – E., realizzando sul confine un muretto alto cm.

80 e alla distanza di m. 1,50 una casa. A loro volta i R. – P. costruivano la loro casa distanziandola di m. 1,50 dal muro di confine e di m. 3 dall’edificio antistante. Successivamente, e sempre prima che il comune di Sarno si dotasse di strumenti urbanistici, i C. – E. sopraelevavano il muro fino all’altezza di m. 4, appoggiandovi un corpo di fabbrica.

Sorta questione fra le parti, i R. – P. convenivano dinanzi al Tribunale di Salerno i C. – E. chiedendone la condanna alla demolizione del muro e del vano terraneo costruito abusivamente in violazione della prescritta distanza legale. Nel resistere in giudizio i convenuti, a loro volta, proponevano domanda riconvenzionale intesa alla condanna degli attori ad arretrare le loro fabbriche ed a risarcire il danno, da liquidarsi in separata sede. Il Tribunale, accolta la domanda principale e respinta quella riconvenzionale, condannava i C. – E. a demolire il muro di cinta per la parte eccedente i m. 3 di altezza, nonchè il vano abusivamente costruito.

La Corte di appello di Salerno, adita in sede di gravame, premessa l’applicabilità della L. n. 765 del 1967, art. 17 in relazione al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, n. 2, essendo il comune di Sarno privo di strumento urbanistico all’epoca dell’edificazione, e che quindi la distanza da osservarsi da ciascun confinante era di m. 5 dal confine in modo che fosse osservata la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, confermava il capo della sentenza che condannava i coniugi C. – E. alla demolizione del muro e del vano terraneo ed accoglieva la domanda riconvenzionale condannando i coniugi R. – P. all’arretramento del loro fabbricato alla distanza di m. 5 dal confine nonchè al risarcimento del danno.

Tale decisione era annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, con sentenza n.9041/92 di questa Corte, la quale statuiva che il principio della prevenzione a favore di colui che per primo costruisca o sopraelevi non può comportare il pregiudizio del diritto del confinante di utilizzare in pari misura l’edificabilità del proprio fondo, sicchè allorquando sia imposta in assoluto una distanza tra edifici proporzionali alle rispettive altezze, ciascuno dei proprietari, anche nel caso di sopraelevazione di un proprio edificio preesistente all’entrata in vigore della L. 8 agosto 1967, n. 765, deve osservare dal confine una distanza tale che, in relazione all’altezza, assicuri al vicino il diritto di costruire, ad una pari distanza dal confine stesso, un edificio di uguale altezza.

Il giudizio di rinvio, attivato dai C. – E., era concluso con sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 136/06, del 20.1.2006, che condannava i coniugi R. – P. ad arretrare il proprio fabbricato fino alla distanza dal confine stabilita dal c.t.u. nella sua relazione scritta.

Premesso l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte Suprema, indipendentemente dal successivo mutamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice di rinvio osservava che il c.t.u. aveva accertato che la seconda porzione del manufatto di proprietà R. – P., di lunghezza pari a m.8,05 e di altezza pari a m. 4,60 circa, in quanto edificata ad una distanza dal confine con la limitrofa proprietà degli appellanti, variabile tra una misura massima di m.1,47 circa ed una misura minima di m.1,44 circa, non rispettava il principio di diritto fissato dalla S.C., in quanto tali distanze erano ampiamente inferiori alla misura corrispondente alla metà dell’altezza delle fabbriche realizzate dai suddetti coniugi, e che, pertanto, il fabbricato di questi ultimi doveva essere arretrato tra un massimo di m.0,86 ed un minimo di m.0,83.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono P.F. e R.S., formulando due mezzi di annullamento.

Resistono con controricorso A.C. e E.M. A., che hanno altresì depositato memoria.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo d’impugnazione parte ricorrente denuncia la violazione del combinato disposto degli artt. 873 e 875 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo che la disciplina richiamata dalla S.C. con la pronuncia n. 9041/92 – che ha dato origine al giudizio di rinvio fra le parti è ampiamente superata dalle norme successive, ed in particolare dall’adozione da parte del comune di Sarno del programma di fabbricazione, di guisa che la cd. legge ponte non risulta più applicabile alla fattispecie. Richiama a sostegno Cass. n.8512/03, e le altre conformi, secondo cui qualora rispetto alla costruzione sopravvenga una disciplina meno restrittiva in tema di distanze legali, tale che l’opera, illegittima ai sensi della normativa vigente all’epoca della costruzione, non lo sia più a termini di quella nuova, il confinante non può più pretendere l’abbattimento della costruzione stessa.

2. – Con il secondo motivo si deduce la mancata applicazione del combinato disposto degli artt. 875 e 877 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, dato il superamento, da parte delle S.U. con sentenza n. 11489/02, del principio di diritto formulato dalla sentenza di annullamento.

A confutazione dell’obbligo da parte del giudice di rinvio di uniformarvisi nonostante il successivo mutato indirizzo, richiama Corte cost. n. 120/96, la quale riconosce esplicitamente l’applicabilità del principio della prevenzione e, per effetto di esso, afferma che il proprietario prevenuto è tenuto ad osservare per intero la prescritta distanza tra gli edifici.

3. – I due motivi sono, per la medesima ragione, inammissibili.

A norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche se nel frattempo sono intervenuti mutamenti in seno alla giurisprudenza di legittimità. D’altra parte, anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare muovendo dal principio di diritto precedentemente enunciato e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al già enunciato principio di diritto risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (Cass. n. 12095/07).

3.1. – Nella specie, entrambe le censure muovono critiche ab estrinseco alla decisione impugnata, che non riguardano la corretta applicazione da parte del giudice di rinvio del principio di diritto enunciato dalla sentenza n. 9041/92, ma tentano di operarne il superamento.

A tal fine non vale il richiamo a Corte costituzionale n. 120/96, che si è limitata a ritenere non in contrasto con i parametri di cui agli artt. 3, 24, 42 e 97 Cost., l’art. 872 cpv. c.c. e L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, lett. c), a fronte di un’ordinanza di rimessione che dubitava della legittimità costituzionale dei predetti articoli, nella parte in cui questi consentono anche all’autore di un abuso edilizio di agire a tutela dell’osservanza delle distanze legali tra edifici nei confronti del vicino che non abbia posto in essere, invece, alcuna violazione. Trattandosi di sentenza non ablativa, ma di rigetto, il relativo dictum non ha incidenza diretta sulle norme denunciate, nè efficacia sul potere di interpretazione sistematica delle disposizioni in materia, che compete unicamente al giudice ordinario.

E’ ben vero che le S.U. di questa Corte nel dirimere il contrasto di giurisprudenza sorto con riferimento alla questione della compatibilità del principio di prevenzione con la disciplina dettata dalla L. n. 765 del 1967, art. 17, comma 1, lett. c), ha optato in favore della tesi affermativa, ritenendo che il criterio della prevenzione debba comunque esprimersi quando nella norma speciale, come nel caso della citata disposizione della cd. legge-ponte, non sia dato rinvenire alcun indice, esplicito od implicito, di incompatibilità; e che tale affermazione di diritto si pone consapevolmente in contrasto con l’indirizzo seguito da alcune precedenti pronunce, tra cui, appunto, la n. 9041/92. Ma la regola del caso concreto non può essere tratta al di fuori della cornice di riferimento dettata dal precedente specifico che ha imposto il giudizio di rinvio, determinandone contenuto e principi applicativi in base ad una tecnica di ricezione materiale, che come tale esclude per la questione decisa il generico rimando alla giurisprudenza di legittimità, anche se successiva.

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 3.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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