Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-04-2012, n. 6594 Risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 23.6.2000 la cooperativa S.Biagio a r.l., promittente venditrice di un complesso immobiliare posto in (OMISSIS), agiva innanzi al Tribunale di Napoli nei confronti della S.I.M.I. s.r.l., promissaria acquirente, per la risoluzione di diritto, ex art. 1457 c.c., del contratto preliminare 30.7.1999 e della scrittura integrativa, sostenendo che alla scadenza del 31.1.2000, termine essenziale di stipula del contratto definitivo di vendita, la predetta società non aveva provveduto al pagamento del prezzo. Precisava, inoltre, che nelle more tra il preliminare e la scadenza del termine di conclusione del definitivo, la soc. S.I.M.I. era stata immessa nel godimento del complesso immobile promesso in vendita, e che quest’ultimo era stato sottoposto a sequestro preventivo penale ex art. 321 c.p.p. dal G.I.P. del Tribunale di Napoli in quanto ritenuto cosa pertinente ai reati di cui all’art. 648-bis c.p. e L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), solo di recente dissequestrato.

La S.I.M.I. s.r.l. nel resistere alla domanda, deduceva quali cause – a suo giudizio incolpevoli – ostative l’adempimento, il sequestro preventivo penale dell’immobile e impedimenti di carattere bancario, espressamente previsti nel preliminare come fatti non imputabili alla promissaria acquirente, consistenti nel provvedimento del giudice penale che aveva precluso alla S.I.M.I. e ai suoi soci qualsiasi tipo di negoziazione bancaria e quindi anche il prelievo di somme.

Eccepiva, quindi, che tali provvedimenti penali costituivano facta principis, che escludevano l’imputabilità alla promissaria dell’inadempimento contrattuale, e proponeva domanda riconvenzionale di esecuzione in forma specifica del contratto ai sensi dell’art. 2932 c.c. Il Tribunale, respinta quest’ultima domanda, dichiarava la risoluzione del contratto.

Tale decisione, impugnata dalla S.I.M.I., era confermata con sentenza dell’1.10.2008 dalla Corte d’appello di Napoli, la quale condivideva l’opinione del giudice di prime cure, che aveva basato il proprio convincimento sulla fondamentale considerazione che nella fattispecie non si era verificata, in favore della soc. S.I.M.I., l’ipotesi patologica rappresentata da "eventuali ritardi su (..) pagamento dovuti a causa di forza maggiore indipendenti dalla volontà del promesso acquirente (impedimenti bancari)". Riteneva, inoltre, inammissibili in base al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., sia l’eccezione di non automaticità della decadenza del beneficio del termine, ai sensi dell’art. 1186 c.c., sia la domanda subordinata di restituzione della caparra e degli acconti sul prezzo già versati, l’una e l’altra proposta dalla parte appellante.

Per la cassazione di detta sentenza ricorre la S.I.M.I. s.r.l., formulando sei motivi d’impugnazione, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la cooperativa S.Biagio.

La parte ricorrente ha presentato, altresì, note scritte alle conclusioni del Procuratore generale.

Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità del controricorso, in quanto presentato per la notifica il 5.12.2011, e dunque ben oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1, essendo stato il ricorso notificato il 17.7.2009. 1. – Con il primo motivo parte ricorrente deduce l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo, costituito dal sequestro bancario dei conti correnti della società, circostanza rispetto alla cui evenienza la Corte d’appello non ha esplicitato le ragioni che l’hanno indotta ad escludere che l’inadempimento della società promissaria fosse stato prodotto da causa di forza maggiore. Nella sintesi conclusiva del motivo, il fatto decisivo e controverso "è rappresentato dalla (pacifica) circostanza relativa al sequestro bancario dei conti correnti, rispetto alla cui evenienza il giudicante non ha esplicitato le ragioni per cui, al fine di escludere la responsabilità della società SIMI in relazione al dedotto inadempimento, non sia configurabile – nel caso esaminato – un ritardo su pagamento dovuto a cause di forza maggiore indipendenti dalla volontà del promesso acquirente (impedimenti bancari) (richiamando testualmente la previsione contrattuale)". 2. Il secondo motivo denuncia l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo rappresentato dall’esistenza, affermata dal giudice di primo grado, di violazioni anche delle disposizioni di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c) e dalla sua incidenza ai fini della configurabilità della tesi dell’inadempimento incolpevole della società promissaria acquirente. Il fatto controverso "è rappresentato dalla circostanza dell’affermata esistenza affermata dal giudice di prime cure – di violazioni anche delle disposizioni di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), e dalla sua incidenza ai fini della inconfigurabilità della tesi dell’inadempimento incolpevole. La motivazione è da ritenersi insufficiente laddove, pur prendendo atto delle premesse logiche, non spiega perchè le considerazioni svolte dal Tribunale non sono certamente tali da influire sulla idoneità delle di per sè esaustive argomentazioni già in precedenza svolte dal Giudicante".

Prosegue la sintesi (ben vero poco compendiosa) nel senso che "la motivazione della sentenza non correla il soggetto (Le ulteriori considerazioni esposte dal Tribunale in relazione alla affermata esistenza di contestazioni di violazioni anche delle disposizioni di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c).. ") ad alcun predicato e complemento oggetto (pertanto, anche a tutto voler concedere alla difesa di parte appellante..). La motivazione è dunque insufficiente perchè difetta della parte logica centrale che avrebbe dovuto essere ricompresa tra il soggetto (Le ulteriori considerazioni) e la frase successiva (che comincia con pertanto); così come articolata, dunque non consente di ricostruire minimamente le ragioni giustificatrici". 3. – Con il terzo motivo è dedotta la contraddittorietà della motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo costituito dall’effetto del sequestro preventivo sul mancato adempimento contrattuale entro il termine stabilito in contratto, ai fini dell’imputabilità dell’inadempimento stesso. Il fatto controverso e decisivo "è rappresentato dall’effetto del sequestro sul mancato adempimento contrattuale entro il termine stabilito e dalla incidenza dello stesso ai fini della non imputabilità; circostanza – quella del sequestro – che, pur essendo stata considerata come pacifica sul piano storico, non ha avuto alcuna conseguente considerazione in sede di deduzione logica, inducendo il Giudicante a non attribuirvi rilievo al fini della non risolubilità del rapporto contrattuale". 4. – Il quarto motivo introduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., per aver il giudice d’appello ritenuto che costituisse eccezione nuova il richiamo all’art. 1186 c.c., contenuto nell’atto d’appello, che prendeva le mosse dall’esplicito richiamo operato dal giudice di primo grado a tale norma. Il motivo culmina nel seguente quesito di diritto: indica la Corte Suprema di Cassazione che: Non costituisce violazione del divieto di jus novorum di cui all’art. 345 c.p.c. il richiamo ad una norma, ed alla relativa disciplina, che sia indotta dalla qualificazione giuridico-fattuale introdotta, nella sua motivazione, dal giudicante, cui spetta il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica il rapporto in contestazione; e in ogni caso si configura una semplice emendatio, pienamente ammissibile allorchè la proposizione dell’eccezione venga ad incidere sul petitum solo nel senso di adeguarlo in un direzione più idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale oggetto dell’originaria domanda". 5. – Con il quinto motivo parte ricorrente deduce l’omessa motivazione su di un fatto controverso e decisivo costituito dalla circostanza del sequestro penale dei conti correnti della società e dalla configurabilità di siffatta evenienza quale ragione che, individuando un’impossibilità sopravvenuta temporanea e non imputabile, esclude la possibilità di attribuire rilievo, ai fini della risoluzione, alla mera scadenza del termine. Impossibilità che non era nè prevedibile, nè evitabile secondo la comune diligenza, e in ordine ai cui motivi il giudice d’appello si è astenuto dal fornire la minima motivazione, astenendosi altresì dal giustificare l’irrilevanza del sequestro ai fini della sospensione temporanea del termine per l’adempimento, avuto riguardo ad ulteriori elementi che, semmai, avrebbero potuto giustificare l’opzione negativa. Questa la sintesi conclusiva: "il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa attiene alla circostanza del sequestro penale dei conti correnti e alla configurabilità di siffatta evenienza quale ragione che, individuando una impossibilità sopravvenuta (temporanea) non imputabile, esclude la possibilità di attribuire rilievo, ai fini della risoluzione, alla mera scadenza del termine. Impossibilità che non era nè prevedibile nè evitabile secondo la comune diligenza e in ordine ai cui profili, il Giudice d’appello si è astenuto dal fornire la minima motivazione, astenendosi altresì dal giustificare l’irrilevanza del sequestro ai fini della sospensione (temporanea) del termine per l’adempimento avuto riguardo ad ulteriori elementi che, semmai, avrebbero potuto giustificare l’opzione negativa. Tale evenienza, decisiva, non motivata, e da valutarsi in ragione della non invocabilità della essenzialità del termine previsto per la stipula del contratto definitivo, va considerata unitamente alla espressa previsione, nel contratto, dell’impedimento bancario quale causa di esclusione della decadenza dal beneficio del termine e all’esistenza, sui conti correnti, di provviste di fondi ampiamente sufficienti all’adempimento delle obbligazioni, come documentalmente provato. In ordine a tale circostanza la motivazione è stata integralmente omessa". 6. – Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 1256 c.c., anche in combinato disposto con l’art. 1218 c.c., terminando con il seguente quesito: "dica la Corte Suprema di Cassazione che il sequestro penale dei conti correnti bancari del debitore si atteggia alla stregua di factum principis non imputabile, e temporaneo, ce impedisce di attribuire rilievo, ai fini della risoluzione contrattuale, alla scadenza del termine prefissato. Ne consegue che l’impossibilità temporanea della prestazione produce la sospensione del contratto, cosicchè l’obbligazione non si estingue rimanendo immutata". 7. – Il primo, il secondo, il terzo, il quinto ed il sesto motivo – che vanno esaminati congiuntamente in quanto espressione, sotto profili fattuali e di diritto strettamente connessi tra loro, di una medesima censura, volta a contestare la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso che il sequestro preventivo penale dei conti correnti bancari della società costituisse una causa di impossibilità temporanea della prestazione – sono infondati.

7.1. – Ai sensi del binomio normativo degli artt. 1218 e 1256 c.c., il debitore è responsabile per l’inadempimento dell’obbligazione fino al limite estremo della possibilità della prestazione, presumendosi, fino a prova contraria, che l’impossibilità sopravvenuta, temporanea o definitiva, della prestazione stessa gli sia imputabile per colpa.

La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che l’impossibilità sopravvenuta che libera dall’obbligazione (se definitiva) o che esonera da responsabilità per il ritardo (se temporanea), deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto (cfr. e pluribus, Cass. nn. 15073/09, 9645/04, 8294/90, 5653/90 e 252/53). Di conseguenza, coordinando fra loro le suddette componenti oggettive e soggettive che regolano la responsabilità per inadempimento, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione produce gli effetti estintivi o dilatori anzi detti se deriva da una causa avente natura esterna e carattere imprevedibile e imprevenibile secondo la diligenza media, fermo restando che l’estinzione dell’obbligazione per impossibilità definitiva, alla stregua del principio secondo cui genus nunquam perit, può evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto un fatto o una cosa determinata o di genere limitato, e non già una somma di denaro (cfr. Cass. nn. 2691/87, 3844/80, 2555/68).

7.2. – La giurisprudenza di questo S.C. ha esaminato svariati casi di atti dell’autorità legislativa, amministrativa o giudiziaria, che incidendo negativamente sull’attuazione del rapporto obbligatorio, siano stati invocati dal debitore per giustificare l’inadempimento o il ritardo nell’esecuzione della prestazione.

E’ stato ritenuto che nell’ipotesi di cd. factum principis, quale atto della pubblica autorità costituente impedimento della prestazione contrattuale nella misura in cui viene ad incidere su un momento strumentale o finale della relativa esecuzione, deve ritenersi sussistente la responsabilità del debitore laddove il medesimo vi abbia colposamente dato causa (v. Cass. n. 21973/07).

Ciò in quanto il factum principis non basta, di per sè solo, a giustificare l’inadempimento e a liberare l’obbligato inadempiente da ogni responsabilità.

Perchè tale effetto estintivo si produca è necessario che l’ordine o il divieto dell’autorità sia configurabile come un fatto totalmente estraneo alla volontà dell’obbligato e ad ogni suo obbligo di ordinaria diligenza, il che vuoi dire che, di fronte all’intervento dell’autorità, il debitore non deve restare inerte nè porsi in condizione di soggiacervi senza rimedio, ma deve, nei limiti segnati dal criterio dell’ordinaria diligenza, sperimentare ed esaurire tutte le possibilità che gli si offrono per vincere e rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità (così, Cass. n. 818/70).

Trattandosi di atto amministrativo illegittimo, è stata ritenuta esistente la responsabilità del debitore il quale non abbia posto in essere uno sforzo diligente volto ad ottenere la revoca o l’annullamento dell’atto (Cass. nn. 1706/73, relativamente ad attività soggetta ad autorizzazione amministrativa; Cass. n. 15712/02 che ha escluso che potessero considerarsi causa non imputabile al debitore i provvedimenti di sospensione e di annullamento della concessione edilizia pronunziati dal giudice amministrativo, e determinanti per il debitore medesimo l’impossibilità di proseguire nell’attività di costruzione dell’immobile promesso in vendita; Cass. nn. 2059/00 e 12093/98, secondo cui il debitore non può invocare l’impossibilità della prestazione, con riferimento ad un provvedimento dell’autorità amministrativa che fosse ragionevolmente prevedibile secondo la comune diligenza; ed ancora, Cass. n. 5231/77 con riferimento alla vendita di bene immobile privo di licenza di abitabilità per difformità dal progetto approvato; e Cass. n. 119/82, che con riguardo alla promessa di vendere un locale ad uso commerciale, munito di licenza di esercizio, ha ritenuto non ravvisabile il factum principis nella mancata concessione di tale licenza, derivante dall’inosservanza da parte del richiedente delle prescrizioni all’uopo necessarie).

Analogamente nel caso di obblighi imposti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, nel qual caso occorre valutare se questi ultimi siano stati adottati per effetto di una condotta colposa del debitore (cfr. Cass. n. 18690/03 in materia di provvedimento ex art. 28 statuto dei lavoratori interferente sul complessivo assetto degli obblighi previsti dal contratto di lavoro, e la citata Cass. n. 21973/07, relativa ad una consegna di carbone, impedita da un sequestro di p.g.).

Diversamente nel caso di doveri imposti dalla legge (come nell’ipotesi della cd. sorpresa archeologica, che impedisce la prosecuzione dei lavori senza alcuna discrezionalità da parte del committente o dell’appaltatore: Cass. N. 10133/05; o l’impossibilità per factum principis dello svolgimento di mansioni da parte del lavoratore subordinato: Cass. nn. 12719/98 e 7263/96), i cui divieti non sono imputabili al debitore.

Un caso particolare, perchè (a differenza delle ipotesi sopra menzionate) concerne un’obbligazione pecuniaria, è quello verificatosi per effetto della sentenza n. 92/81 della Corte costituzionale, che dichiarando l’illegittimità costituzionale della L. n. 824 del 1971, art. 6 nella parte in cui non indicava con quali mezzi gli enti della finanza pubblica allargata potevano far fronte agli oneri finanziari posti a loro carico, ebbe l’effetto di lasciare priva di possibilità di rivalsa l’anticipazione dei benefici combattentistici operata dagli istituti previdenziali onerati.

Colmata tale carenza dal D.L. n. 55 del 1983, art. 30-bis (convertito nella L. n. 131 del 1983) che provvide alla copertura finanziaria degli oneri suddetti, questa Corte ha ritenuto che solo in seguito a tale norma gli enti previdenziali acquistarono il diritto all’integrale rimborso, con la conseguente insussistenza per il periodo anteriore all’entrata in vigore del citato D.L. n. 55 del 1983 del diritto agli interessi per i rimborsi effettuati con ritardo, non essendo tale ritardo imputabile agli enti debitori, ma ad un factum principis (Cass. nn. 5243/01, 12971/97, 9501/90 e 4980/88). Fattispecie, questa, tutta peculiare in cui una situazione d’impossibilità temporanea relativa ad un’obbligazione pecuniaria è stata ritenuta tale in quanto necessitata dall’osservanza di regole di contabilità pubblica.

Infine, l’accertamento del caso fortuito o della forza maggiore determinante una situazione cogente che impedisca l’adempimento dell’obbligazione, comporta un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionale valutazione del giudice del merito, il cui convincimento si sottrae, se congruamente motivato ed immune da errori logici e giuridici, al sindacato in sede di legittimità (v.

Cass. nn. 21973/07, 1774/89, 2189/75 e 3602/74).

7.3. – Il caso in esame prospetta una situazione di impossibilità temporanea di adempiere un’obbligazione pecuniaria a causa del sequestro penale delle provviste bancarie occorrenti. Si tratta, dunque, di verificare (1) se tale evento integri un factum principis, (2) se esso costituisca come tale un fatto controverso e decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e (3) se l’inerente obbligo motivazionale sia stato assolto in maniera congrua ed esente da vizi logico-giuridici.

7.3.1. – La risposta negativa al secondo dei tre interrogativi, per difetto del requisito di decisi vita del fatto, esclude la rilevanza del terzo.

7.3.2. – Traslati alla fattispecie i principi sopra esposti, e mutato quel che v’è da mutare in considerazione del carattere transeunte dell’impedimento e della natura generica di tale obbligazione di dare, non pare dubbia la presenza di una causa esterna (atto dell’autorità giudiziaria penale) incidente sul momento strumentale dell’adempimento, quale, appunto, il reperimento della provvista.

Ciò che manca del tutto, invece, in base a quanto emerge dalla sentenza impugnata e alla stregua degli stessi motivi di impugnazione proposti – che non lamentano una mancata ammissione di mezzi istruttori – è l’offerta di prova in merito alla non imputabilità remota alla società debitrice della predetta causa arresti. La sola e pacifica circostanza del sequestro e del successivo dissequestro dei conti correnti bancari (dopo la scadenza del termine fissato per la stipula del contratto definitivo: v. narrativa della sentenza d’appello, riproduttiva in parte qua dello svolgimento del fatto riportato nella decisione di primo grado), non determina in automatico alcuna allegazione del dato mancante, cioè del carattere non imputabile dell’impossibilità temporanea di adempiere, sotto la specie della diligenza impiegata in concreto sia per evitare che sorgesse, sia per rimuovere tempestivamente l’ostacolo all’adempimento. Responsabilità penale e responsabilità civile hanno, infatti, ambiti e presupposti diversi, sicchè la smentita della prima trae punto l’esclusione della seconda, che se ne differenzia poichè per sua natura eccede il minimo etico esigibile.

L’obbligo di diligenza si assolve non in negativo, mediante la generica astensione dall’illecito, ma in positivo, attraverso una condotta esente da rischi estranei a quelli connaturati all’impresa, lineare nella scelta degli obiettivi economici perseguiti e, trattandosi di ente collettivo, prudente nella selezione delle persone fisiche depositarle dell’amministrazione e del controllo societario.

Assente, nella specie, tale allegazione tematica decisiva, non avendo l’odierna ricorrente offerto di provare nel giudizio di merito nulla di quanto sopra, non sorge l’obbligo motivazionale di cui la medesima parte lamenta, senza fondamento, l’omissione.

8. – Il quarto mezzo d’annullamento, infine, è inammissibile per disfunzione del quesito di diritto.

Pur senza pretendere dalla parte il dispiego di forme e termini propri di una corretta massimazione, deve ritenersi che il quesito di cui all’art. 366-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al ricorso in esame) debba essere formulato attraverso una comprensibile sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris dotata di propria valenza semantica, completa nei referenti normativi o nei principi generali presupposti, chiara nei limiti applicativi delineati e astrattamente esportabile in una molteplicità di casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

8.1. – Nel caso in esame l’interrogativo giuridico sollecitato dalla parte ricorrente è del tutto inintelligibile, sia per la mancata indicazione delle ragioni di criticità interpretativa della norma di riferimento (che non si comprende se costituita dall’art. 345 c.p.c., espressamente citato, ovvero dall’art. 1186 c.c., più volte menzionato ma nella sola illustrazione del motivo), sia per la genericità e l’oggettiva tortuosità delle espressioni adoperate, che non lasciano filtrare il senso della regola di diritto prospettata.

9. – In conclusione il ricorso va rigettato.

10. – Le spese del presente procedimento, liquidate come in dispositivo (e al netto del controricorso, in quanto tardivo), seguono la soccombenza della parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 8.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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