Cass. civ. VI – 1, Sent., 02-05-2012, n. 6662 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.E.; + ALTRI OMESSI hanno chiesto alla Corte d’appello di Venezia il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo in materia pensionistica, svoltosi dinanzi alla Sezione giurisdizionale del Veneto della Corte dei conti dal 29 giugno 1998 al 20 aprile 2007.

L’adita Corte d’appello ha accolto parzialmente la domanda.

Determinata in tre anni la durata ragionevole del processo presupposto, la Corte d’appello ha ritenuto che a ciascun ricorrente o gruppo di eredi dovesse essere riconosciuto un indennizzo per cinque anni e dieci mesi di ritardo. Ha quindi liquidato, in favore di ciascun ricorrente o gruppo di eredi, la somma di Euro 2.900, adottando, tenuto conto della natura collettiva del ricorso e della minima entità della posta in gioco, il criterio di liquidazione rapportato a 500 Euro per ogni anno di eccessiva durata.

Per la cassazione di questo decreto S.E.; + ALTRI OMESSI hanno proposto ricorso sulla base di tre motivi, illustrati con memoria, cui non ha resistito, con controricorso, l’intimata Amministrazione.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con i primi due motivi di ricorso (rubricati violazione e falsa applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001, art. 2 nonchè vizio di motivazione), i ricorrenti si dolgono della esigua entità dell’indennizzo riconosciuto per anno di ritardo, sostenendo che le ragioni addotte dalla Corte d’appello sarebbero del tutto inidonee a giustificare lo scostamento del criterio di liquidazione per anno di ritardo da quelli propri della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Il motivo è fondato, nei termini di seguito precisati.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidata al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili (Cass., S.U., n. 1340 del 2004).

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750 per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

Non appare ragionevole, per contro, il discostamento dallo standard minimo fissato dalla CEDU operato dal decreto impugnato (Cass. n. 30160 del 2011).

Con riferimento alle ragioni che possono essere addotte per ridurre l’indicato parametro di liquidazione, si deve rilevare che questa Corte ha già avuto modo di precisare che la presunzione di danno non patrimoniale notoriamente connessa a situazioni soggettive provocate da un giudizio durato troppo a lungo, la cui connotazione in termini di irragionevolezza è, potrebbe dirsi, ancor più marcata in presenza di domande suscettibili di immediata risoluzione, non può essere superata, tra l’altro, dalla circostanza che il ricorso amministrativo, inerente a rivendicazioni di categoria, sia stato proposto da una pluralità di attori, considerato che la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (v., da ultimo, Cass. n. 30160 del 2011, cit.). Nè può costituire utile ragione per ridurre sensibilmente l’importo dell’indennizzo del danno non patrimoniale il rilievo del modesto valore della posta in gioco (Cass. n. 23519 del 2011; Cass. n. 22435 del 2009).

Alla stregua di tali considerazioni la censura deve quindi essere accolta, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Il terzo motivo, relativo alla spese, resta assorbito.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. In particolare non è contestata la durata irragionevole, accertata dalla Corte d’appello in cinque anni e dieci mesi, sicchè, nel caso di specie, in applicazione del criterio quantitativo prima affermato, si deve riconoscere a ciascun ricorrente o gruppo di eredi l’indennizzo di Euro 5.100, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito, in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda (la richiesta di ciascun ricorrente era di 17.000 Euro), possono essere compensate per 1/2, mentre quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno interamente poste, come liquidate in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011), a carico dell’Amministrazione resistente.

Le spese del giudizio vanno distratte in favore degli Avv. Salvatore e Umberto Coronas, dichiaratisene antistatari.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore di ciascun ricorrente o gruppo di eredi della somma di Euro 5.100, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo; condanna il Ministero soccombente al pagamento, complessivamente, di 1/2 delle spese del giudizio di merito, previa compensazione della restante parte, spese che si liquidano, per l’intero, in Euro 1.340, di cui Euro 690 per competenze ed Euro 50 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.065, di cui Euro 965 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore degli Avv. Salvatore ed Umberto Coronas.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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