Cass. civ. VI – 1, Sent., 02-05-2012, n. 6660 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.M. ha chiesto alla Corte d’appello di Venezia il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dinnanzi al TAR Lazio con ricorso depositato il 14 dicembre 1994, non ancora deciso alla data della domanda e poi definito con decreto di perenzione del 31 marzo 2009.

L’adita Corte d’appello ha accolto parzialmente la domanda.

Determinata in tre anni la durata ragionevole del processo presupposto e accolta l’eccezione di prescrizione decennale formulata dall’amministrazione convenuta con conseguente esclusione di ogni indennizzo per il periodo anteriore al gennaio 1998, la Corte d’appello ha ritenuto che al ricorrente dovesse essere riconosciuto un indennizzo per il lasso di tempo intercorso tra la detta data e il 31 marzo 2009, e quindi per 11 anni e due mesi. Ha quindi liquidato, in favore del ricorrente, la somma di Euro 4.470, adottando, tenuto conto della natura collettiva del ricorso, della minima entità della posta in gioco e dell’esito del giudizio, il criterio di liquidazione rapportato a 400 Euro per ogni anno di eccessiva durata.

Per la cassazione di questo decreto il S. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria, cui ha resistito, con controricorso, l’intimata Amministrazione.

Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l’unico motivo di ricorso (rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 3 Cost.), il ricorrente si duole della esigua entità dell’indennizzo riconosciuto per anno di ritardo, sostenendo che le ragioni addotte dalla Corte d’appello, e segnatamente quella relativa alla natura collettiva del ricorso e alla minima entità della posta in gioco, sarebbero del tutto inidonee a giustificare lo scostamento del criterio di liquidazione per anno di ritardo da quelli propri della giurisprudenza della Corte Europea, consistenti in Euro 750 per i primi tre anni di ritardo e in 1.000 Euro per ciascuno dei successivi anni.

Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.

Ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidata al giudice del merito, è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili (Cass., S.U., n. 1340 del 2004).

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, in applicazione dei criteri elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, questa Corte, per un giudizio amministrativo presupposto protrattosi per undici anni e due mesi, come nel caso a quo, è solita riconoscere, a titolo di equa riparazione, un danno non patrimoniale di Euro 6.250.

Con riferimento alle ragioni che possono essere addotte per ridurre l’indicato parametro di liquidazione, si deve rilevare che questa Corte ha già avuto modo di precisare che la presunzione di danno non patrimoniale notoriamente connessa a situazioni soggettive provocate da un giudizio durato troppo a lungo, la cui connotazione in termini di irragionevolezza è, potrebbe dirsi, ancor più inarcata in presenza di domande suscettibili di immediata risoluzione, non può essere superata, tra l’altro, dalla circostanza che il ricorso amministrativo, inerente a rivendicazioni di categoria, sia stato proposto da una pluralità di attori, considerato che la proposizione di un ricorso in forma collettiva e indifferenziata non equivale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (v., da ultimo, Cass. n. 30160 del 2011, cit.). Nè può costituire utile ragione per ridurre sensibilmente l’importo dell’indennizzo del danno non patrimoniale il rilievo del modesto valore della posta in gioco (Cass. n. 23519 del 2011; Cass. n. 22435 del 2009).

Nella specie, la Corte d’appello di Venezia ha motivato lo scostamento dall’indicato parametro facendo riferimento, appunto, a tali inidonee ragioni, mentre non appare rilevante il riferimento all’esito del giudizio presupposto, essendo questo stato definito dopo il deposito del ricorso per equa riparazione.

Alla stregua di tali considerazioni il ricorso deve quindi essere accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2. In particolare non è contestata la durata irragionevole, accertata dalla Corte d’appello in 11 anni e 2 mesi, sicchè, nel caso di specie, in applicazione del criterio quantitativo prima affermato, si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente l’indennizzo di Euro 6.250, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito, in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda (la richiesta del ricorrente era di 25.000 Euro), possono essere compensate per metà, mentre quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno interamente poste, come liquidate in dispositivo in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. n. 16367 del 2011), a carico dell’Amministrazione resistente.

Le spese del giudizio di merito vanno distratte in favore degli Avv. Gabriele e Francesco De Paola, dichiaratisene antistatari.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.250, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo; condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle metà delle spese del giudizio di merito, distratte in favore degli Avv. Gabriele e Francesco De Paola, dichiaratisene antistatari, spese che si liquidano, per l’intero, in Euro 1.140, di cui Euro 600 per competenze ed Euro 50 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965, di cui Euro 865, per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.
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