Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-10-2011) 28-10-2011, n. 39157 Giudizio d’appello rinnovazione del dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20.3.2009, il Tribunale di Palermo, fra l’altro, dichiarò L.L. responsabile del reato di cui agli artt. 494, 485, 640 – art. 61, n. 7 e art. 648 cod. pen., unificati sotto il vincolo della continuazione e -ritenuta l’ipotesi lieve della ricettazione – lo condannò alla pena di anni 3 mesi 6 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, pena accessoria.

Avverso tale pronunzia l’imputato ed il Procuratore generale proposero gravame e la Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 18.11.2010, in parziale riforma della decisione di primo grado, esclusa l’ipotesi lieve della ricettazione e con la recidiva, determinò la pena in anni 6 di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa.

Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:

1. omessa assunzione di una prova decisiva in relazione alla mancata rinnovazione del dibattimento per acquisire l’originale della dichiarazione di esonero della responsabilità ed effettuazione di una perizia grafica e per escutere il teste T.M.; tali prove sarebbe state necessarie attesa la nebulosità degli elementi acquisiti;

2. violazione di legge in relazione al ritenuto concorso formale fra i reati di cui all’art. 494 e quello di cui all’art. 485 cod. pen., essendo il reato di cui all’art. 494 sussidiario rispetto ad ogni altro delitto contro la fede pubblica;

3. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla recidiva, il cui disvalore deve essere valutato in concreto, con adeguata motivazione, essendo pur sempre facoltativa;

4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed alla misura della pena.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La rinnovazione del dibattimento avrebbe dovuto essere disposta, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., non trattandosi di prove nuove, solo se il giudice di appello avesse ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti ed anche tale valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita.

Infatti, in tema di giudizio di appello, poichè il vigente cod. proc. pen., pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione – in senso positivo o negativo – sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento, (v. Cass. Sez. 5 sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403.

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il reato di sostituzione di persona può ritenersi assorbito da un altro delitto contro la fede pubblica solo quando si tratti di una unicità di azione (o di omissione) riconducibile contemporaneamente alla previsione dell’art. 494 cod. pen. e di altra norma posta a tutela della fede pubblica. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6098 del 2.5.1984 dep. 28.6.1984 rv 165068). Nella specie è stato ritenuto il concorso di reati nella ipotesi in cui l’agente, oltre ad avere ingannato varie persone attribuendosi un falso nome, abbia firmato, poi, con tale nome, una scrittura privata). (Conf. mass. n 142684).

Nel caso in esame non si versa in tale ipotesi in quanto l’imputato, dopo essersi attribuito un falso nome, ha formato una scrittura privata materialmente falsa.

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha motivato richiamando i plurimi e specifici precedenti penali dell’imputato, ritenuti tali da connotare in senso fortemente negativo la sua personalità e denotanti un’elevata capacità a delinquere. Tale motivazione, se pur finalizzata ad escludere la circostanza attenuante di cui all’art. 648 cpv cod. pen. dispiega effetto anche in relazione alla recidiva.

Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Va ricordato che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv 204768).

Nel caso di specie tale elemento è stato comunque indicato nei precedenti penali e, secondo l’orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che questi indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti.

Ne consegue che le attenuanti generiche possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità. (Cass. Sez. 4^ sent. n. 08052 del 6.4.1990 dep. 1.6.1990 rv 184544).

In tema di determinazione della misura della pena, il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Cass. Sez. 4^, sent. n. 56 del 16 novembre 1988, dep. 5.1.1989 rv 180075).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *