Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 28-10-2011, n. 39155

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’imputato propone ricorso per la cassazione della sentenza resa in data 19 marzo 2010 dalla Corte d’appello di L’Aquila che ha confermato interamente la condanna alla pena di anni due e mesi uno di reclusione ed Euro 516,00 di multa inflitta al S., per il reato di ricettazione, dal Tribunale di Pescara con sentenza del 14 maggio 2002.

Tre i motivi posti a fondamento del ricorso.

Il primo attiene alla nullità della sentenza per omessa sottoscrizione da parte del cancelliere del giudizio di primo grado del verbale dell’udienza del 19 dicembre 2001. Invero, la corte territoriale ha già esaminato e disatteso l’eccezione in quanto tardiva, previa qualificazione di tale nullità come a regime intermedio. Nel riproporre la questione in sede di legittimità, il S. osserva che la nomina del proprio difensore di fiducia è stata depositata per la prima volta in cancelleria solamente in data 14 maggio 2003, cioè dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, e che quindi il primo momento immediatamente successivo in cui dedurre la nullità non poteva essere altro se non l’atto di appello.

Il secondo motivo di ricorso attiene, invece, all’inesistenza dell’elemento soggettivo del reato. In particolare, il S. assume che non vi è prova alcuna che egli fosse consapevole della provenienza delittuosa dei martelli pneumatici ricettati. In realtà questo stesso motivo cela due ulteriori censure del tutto eterogenee:

l’inesistenza del reato presupposto, che a dire del S. non è stato accertato in quanto in ordine allo stesso esiste solamente una denunzia orale proposta da soggetto sprovvisto dei poteri di rappresentanza della parte offesa; l’erronea qualificazione del fatto, che andrebbe derubricato nell’ipotesi lieve di cui all’art. 648 c.p., comma 2 e quindi dichiarato prescritto.

Col terzo motivo lamenta l’inadeguatezza della pena inflitta, sia per la mancata concessione delle attenuanti generiche ancorata alla semplice constatazione dei suoi precedenti penali; sia per l’applicazione della recidiva, ritenuta ingiusta in quanto riferita ad episodi occasionali e risalenti nel tempo, commessi in stato di tossicodipendenza.

Il ricorso è inammissibile.

In ordine al primo motivo va premesso che il verbale privo di sottoscrizione contiene solo la dichiarazione di contumacia (ovviamente dipesa dall’assenza volontaria dell’imputato e non certo dalla mancata sottoscrizione del cancelliere) ed un mero rinvio. In casi analoghi questa Corte si è già espressa ritenendo che "sono affetti da nullità relativa, i sensi dell’art. 142 c.p.p., i verbali di udienza privi della sottoscrizione del pubblico ufficiale redigente. Tale nullità, ove verificatasi nell’ambito di un dibattimento che si articola in più udienze, è da ritenere sanata per accettazione degli effetti dell’atto, ex art. 183 c.p.p., lett. a), ove la relativa eccezione non venga formulata all’udienza successiva" (Cass. 9 gennaio 2007, n. 2503).

La circostanza che il difensore inizialmente fosse un altro e che quello attuale sia stato nominato in un momento successivo è circostanza priva di rilievo sul piano processuale e, in particolare, non può implicare la riapertura dei termini per la proposizione delle eccezioni relative a nullità a regime intermedio.

Il secondo motivo di ricorso contiene censure generiche ed inammissibili.

Quanto al profilo del reato presupposto, questa Corte ha già chiarito che "in materia di delitto di ricettazione, per l’affermazione della responsabilità non è necessario l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza attraverso prove logiche" (Cass. 15 gennaio 2009, n. 10101). Pertanto, l’imputato non può dolersi del mancato pieno accertamento del reato presupposto, risultando sufficiente, ai fini dell’affermazione di responsabilità per il delitto di ricettazione, la semplice denuncia di furto dei due martelli pneumatici. La circostanza che il demandante non fosse il legale rappresentante della società derubata è chiaramente irrilevante, dato che il reato aggravato è comunque perseguibile d’ufficio.

Sul punto dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione va richiamato l’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui "l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio" (Cass. sez. un. 26 novembre 2009, n. 12433;

conf. Cass. 17 giugno 2010, n. 27548). In particolare, il dolo eventuale è ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza.

Ciò posto, la consapevolezza da parte dell’agente della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualunque elemento di fatto giuridicamente apprezzabile che, in base alle regole della comune esperienza, costituisca il segno di una precedente sottrazione illecita del bene (Cass. 13 marzo 2008, n. 13502). Consegue che la prova dell’elemento soggettivo del reo, anche sub specie di dolo eventuale, può ricavarsi, ad esempio, dalla circostanza del suo darsi alla fuga alla vista delle forze dell’ordine; oppure dalla semplice la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto (Cass. 27 ottobre 2010, n. 41423).

Nella specie, l’imputato non ha fornito una giustificazione del modo in cui è venuto in possesso dei martelli pneumatici. Pertanto, anche sulla scorta delle deposizioni degli operanti cui espressamente rinvia la sentenza d’appello, deve affermarsi l’inammissibilità del ricorso anche in parte qua.

Infine, risulta corretta pure la qualificazione giuridica del fatto, con particolare riferimento all’esclusione dell’ipotesi lieve di cui all’art. 648 c.p., comma 2. Infatti, "il valore del bene è un elemento concorrente solo in via sussidiaria ai fini della valutazione dell’attenuante speciale della particolare tenuità del fatto, nel senso che, se esso non è particolarmente lieve, deve sempre escludersi la tenuità del fatto, risultando superflua ogni ulteriore indagine; soltanto se è accertata la lieve consistenza economica del bene ricettato, può procedersi alla verifica della sussistenza degli ulteriori elementi, desumibili dall’art. 133 c.p., che consentono di configurare l’attenuante de qua, e che va, al contrario, esclusa quando emergano elementi negativi, sia sotto il profilo strettamente obbiettivo (ad es., l’entità del profitto), sia sotto il profilo soggettivo (ad es., capacità a delinquere dell’agente)" (Cass. 9 luglio 2010, n. 28689).

Il terzo motivo di ricorso riguarda la misura della pena, di cui l’imputato si duole per due distinti profili.

Il primo aspetto concerne la mancata concessione delle attenuanti generiche, che gli sono state negate "dal momento che i precedenti dell’imputato, già condannato anche per reati contro il patrimonio, appaiono sicuramente ostativi (…) e dagli atti non emergono ulteriori circostanze idonee ad integrare l’ipotesi di cui all’art. 62 bis c.p.".

Ciò posto, "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato" (Cass. 24 settembre 2008, n. 42688).

Nella specie, la sentenza impugnata motiva ampiamente sul punto e quindi anche questo profilo del ricorso è inammissibile.

Analoga sorte spetta anche all’ultimo aspetto da esaminare, che riguarda l’applicazione della recidiva. Infatti, "il rigetto della richiesta di esclusione della recidiva facoltativa, pur richiedendo l’assolvimento di un onere motivazionale, non impone al giudice un obbligo di motivazione espressa, ben potendo quest’ultima essere anche implicita" (Cass. 21 aprile 2010, n. 22038). Nella specie la motivazione del rigetto di disapplicazione della recidiva facoltativa si ricava dallo stesso passaggio della sentenza d’appello che menziona i precedenti penali specifici dell’imputato come motivo ostativo anche alla concessione delle attenuanti generiche. Pertanto anche quest’ultimo profilo del ricorso è inammissibile.

Potendosi ravvisare profili di colpa nell’inammissibilità del ricorso, l’imputato va condannato al pagamento di una sanzione a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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