Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 28-10-2011, n. 39154

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 18 gennaio 2011 la Corte di appello di Venezia ha interamente confermato la condanna inflitta in data 18 luglio 2002 dal Tribunale di Padova a Z.C. per i reati di rapina, porto d’armi e furto in concorso con altri.

Avverso tale condanna l’imputato propone ricorso tramite il proprio legale, censurando in più punti la motivazione della sentenza impugnata.

In particolare, egli si duole dell’attendibilità riconosciuta al principale teste d’accusa, tale C.G.: quest’ultimo, collaboratore di giustizia, sarebbe stato ritenuto dai giudici di merito intrinsecamente attendibile pure in assenza di riscontri oggettivi e nonostante egli avesse riferito dell’episodio dopo ben cinque anni dal suo accadimento, ne abbia narrato la dinamica con alcune lacune ed imprecisioni e comunque si sia dichiarato estraneo al delitto. Lo Z. sostiene, piuttosto, che il C. lo abbia accusato della rapina e degli altri reati satellitari per assicurarsi la protezione connessa allo status di collaboratore di giustizia e forse addirittura facendo confusione fra molteplici rapine di cui costui era stato personalmente partecipe.

Inoltre, il ricorrente contesta che possa costituire riscontro estrinseco dell’attendibilità del collaboratore di giustizia il riconoscimento fotografico effettuato dalla teste G., addetta alle pulizie all’interno della banca rapinata. Osserva al riguardo che tale riconoscimento è privo di effettiva valenza probatoria sia perchè effettuato ben dodici anni dopo la commissione della rapina, sia perchè il contatto visivo fra i due si avrebbe avuto alle sei del mattino, quindi in condizioni di oscurità tali da rendere difficile la memorizzazione del viso del rapinatore.

Infine, costituiscono oggetto di ulteriore specifica censura il vizio di motivazione in ordine: a) alla mancata concessione delle attenuanti generiche; b) all’omessa esclusione della recidiva, la cui contestazione nella specie sarebbe stata meramente facoltativa; c) alla quantificazione della pena.

Il ricorso è inammissibile.

Lo stesso Z. riconosce che la sentenza di appello ha individuato un riscontro estrinseco alle dichiarazioni accusatore del collaboratore di giustizia C.G.. Ritiene però che tale riscontro, costituito dal riconoscimento fotografico effettuato dalla teste G., sarebbe a sua volta inattendibile per le ragioni già esposte. Tale ultima censura è, però, in punto di fatto e non può trovare ingresso in questa sede, non ricorrendo alcun vizio di motivazione al riguardo. Sulla attendibilità della G. la sentenza di appello espressamente osserva: "il Tribunale ha correttamente sottolineato la valenza di tale riconoscimento in considerazione del prolungato contatto avuto dalla donna con l’imputato, il quale all’esterno della banca aveva iniziato con lei una conversazione pretestuosa su di una tessera bancomat, poi l’aveva presa sottobraccio, costringendola assieme al complice a farli entrare in banca e ordinandole poi di fare i lavori soliti, perchè tutto sembrasse normale, e per mezz’ora era stato l’interlocutore della donna, la quale quindi aveva avuto tutto il tempo di vederlo, parlargli e memorizzarne lefattezze, a differenza di tutte le altre persone coinvolte nella rapina".

L’ampiezza, la coerenza e la logicità della motivazione addotta sul punto dalla Corte d’appello fa sì che il motivo principale di ricorso risulti inammissibile.

Peraltro, giacchè il riconoscimento fotografico de quo non costituisce, nell’architettura della sentenza di condanna, una prova piena a carico dell’imputato, bensì un semplice riscontro, l’attendibilità dello stesso poteva essere valutata con minor rigore, in quanto costituente mero completamento della deposizione del collaboratore di giustizia. A ragionare diversamente, cioè se si richiedesse che il riscontro estrinseco abbia valenza accusatoria autosufficiente, le deposizioni dei collaboratori di giustizia sarebbero sempre quantomeno superflue.

Ciò posto, una volta ritenuta che il valore assegnato dalla Corte d’appello all’elemento di riscontro estrinseco è insindacabile di sede di legittimità in quanto sorretto da adeguata motivazione, viene automaticamente meno tutta la doglianza relativa all’inattendibilità del C..

L’imputato si duole altresì della misura della pena e del fatto che gli sono state negate le attenuanti generiche. Anche questo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Infatti, "la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p., sicchè è inammissibile la censura che, nel giudizio di Cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena" (Cass. 17 ottobre 2007, n. 1182).

Poi, con particolare riferimento al diniego delle attenuanti generiche, si deve ribadire che la loro sussistenza "è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato" (Cass. 24 settembre 2008, n. 42688).

Nella specie, la sentenza impugnata motiva sul punto osservando che "si condivide la valutazione del Tribunale sulla non concedibilità delle attenuanti generiche considerate la gravità del fatto, l’intensità del dolo e i precedenti penali e l’assoluta insussistenza di alcuna plausibile ragione atta a giustificare una diminuzione della pena; peraltro, la pena base è già stata considerata al minimo edittale, nè appare congruo prevedere aumenti di pena inferiori per la contestata recidiva e la continuazione con i capi di imputazione B e C". La decisione impugnata risulta, quindi, congruamente motivata e la sottostante valutazione di merito non è sindacabile in sede di legittimità.

Peraltro, "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso" (Cass. 18 gennaio 2011, n. 3609).

Analoga sorte spetta anche all’ultimo aspetto da esaminare, che riguarda l’applicazione della recidiva. Infatti, "il rigetto della richiesta di esclusione della recidiva facoltativa, pur richiedendo l’assolvimento di un onere motivazionale, non impone al giudice un obbligo di motivazione espressa, ben potendo quest’ultima essere anche implicita" (Cass. 21 aprile 2010, n. 22038). Nella specie la motivazione del rigetto di disapplicazione della recidiva facoltativa si ricava dallo stesso passaggio della sentenza d’appello che menziona i precedenti penali specifici dell’imputato come motivo ostativo anche alla concessione delle attenuanti generiche. Pertanto anche quest’ultimo profilo del ricorso è inammissibile.

Il ricorso è quindi inammissibile sotto ogni profilo.

Potendosi ravvisare profili di colpa nell’inammissibilità del ricorso, l’imputato va condannato al pagamento di una sanzione a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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