Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 28-10-2011, n. 39152

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 23 novembre 2010 la Corte d’appello di Trieste ha parzialmente riformato la condanna inflitta a C.R. dal Tribunale di Udine in data 26 ottobre 2007, dichiarando prescritto il reato di cui al capo 2) ( art. 367 c.p.) e rideterminando la residua pena per due episodi di riciclaggio di autovetture in anni quattro e mesi otto di reclusione ed Euro 1.350,00 di multa.

Avverso tale sentenza il C., tramite i propri difensori di fiducia, propone ricorso per cassazione basato su tre motivi.

Col primo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione di legge nella parte in cui ha ritenuto che l’imputato ha riciclato le autovetture, anzichè averle ricevute dai legittimi proprietari, che ne avevano denunciato in furto, per occultarle al solo scopo di truffare le rispettive compagnie assicurative. Assume, inoltre, che dalla modalità della condotta materialmente posta in essere si sarebbe dovuto ricavare l’assenza non solo dell’elemento oggettivo, ma anche di quello soggettivo del delitto di riciclaggio.

Il secondo motivo di ricorso attiene al mancato riconoscimento del nesso della continuazione fra i delitti in questione ed altra condotta criminosa posta in essere dal C. in epoca coeva, consistita in una rapina in banca ed altri reati satellitari.

Infine, col terzo motivo di ricorso, il C. si duole della violazione dell’art. 133 c.p. in relazione alla graduazione della pena, ritenuta eccessiva, e della mancata concessione delle attenuanti generiche.

Il ricorso è inammissibile.

Le doglianze esposte nel primo motivo di ricorso, ancorchè qualificate nominalmente quali violazioni di legge, si risolvono nella sostanza in censure di fatto, come tali non ammissibili in questa sede. Infatti, il C. indica alcuni elementi di cui i giudici di merito avrebbero dovuto tenere conto per escludere che egli riciclasse autovetture: la circostanza che le chiavi elettroniche di avviamento delle Mercedes non sono duplicabili;

l’apposizione di una targa posticcia sul veicolo di cui al capo 1);

il fatto che questo veicolo continuasse comunque ad esporre il contrassegno assicurativo corrispondente alla vecchia targa. Tali elementi, a parere del ricorrente indebitamente sottovalutati dai giudici di merito, avrebbero dovuto invece condurre alla conclusione che egli ha posto in essere una condotta rudimentale ed artigianale incompatibile con la fattispecie delittuosa addebitatagli. E’ di chiara evidenza che queste censure, che non tramodano nel travisamento della prova, esprimono solamente un giudizio di non condivisione della ricostruzione dei fatti offerta dai giudici di meritoria cui motivazione non presenta alcuna carenza logica o argomentativa. Anzi, è proprio la proposta alternativa prospettata dal C. a presentare alcune incongruenze logiche, non essendo chiaro per quale motivo, se la sua intenzione fosse stata solamente quella di occultare le autovetture al fine di truffare le compagnie assicurative, egli avrebbe dovuto anche alterare alcuni segni identificativi delle stesse, essendo invero sufficiente che i veicoli fosse semplicemente tolti dalla circolazione.

Peraltro, ai fini della configurazione del reato di riciclaggio non occorre che la condotta posta in essere per la sostituzione del compendio di provenienza illecita abbia caratteristiche di particolare sofisticatezza, essendo sufficiente qualsiasi operazione idonea ad ostacolare le operazioni volte a ricostruire la provenienza dei beni.

Anche il secondo motivo di ricorso risulta articolato solo in punto di fatto. Ed invero la sentenza di appello prende espressamente posizione sulla questione dei rapporti fra la rapina commessa dal C. e gli episodi di riciclaggio, osservando che "l’utilizzo delle autovetture direttamente per la rapina era poco probabile, giacchè le targhe applicate alle autovetture avrebbero portato direttamente all’identificazione dell’imputato". Va dunque escluso che la motivazione della sentenza di appello sia carente nella parte in cui ha escluso l’identità del disegno criminoso.

Va incontro a pari sorte anche il terzo motivo di ricorso, relativo alla pretesa eccessività della pena. Difatti, "la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p., sicchè è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena" (Cass. 17 ottobre 2007, n. 1182).

Quanto alle attenuanti generiche, il C. non si duole della mancata motivazione sul punto, bensì della circostanza che sarebbe stato meritevole delle stesse in considerazione della grossolanità dell’azione e dell’esiguo valore commerciale dei veicoli.

Ma "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato" (Cass. 24 settembre 2008, n. 42688).

Nella specie, la sentenza impugnata motiva osservando: "la pena infinta in primo grado pare del tutto congrua con la gravità della condotta sul piano oggettivo e soggettivo (non va dimenticato che l’imputato all’epoca prestava servizio come carabiniere) e questo anche in relazione alla "disinvoltura" dimostrata nell’organizzazione e perpetrazione dei reati, anche a costo di coinvolgere persone innocenti …. Nelle sue ulteriori parti l’impugnata sentenza dovrà trovare conferma".

Tale motivazione risulta congrua, dal momento che "ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso" (Cass. 18 gennaio 2011, n. 3609).

Il ricorso è quindi inammissibile anche sotto questo profilo.

Potendosi ravvisare profili di colpa nell’inammissibilità del ricorso, l’imputato va condannato al pagamento di una sanzione a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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