Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-05-2012, n. 6646 Pensione di inabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Catania, riuniti gli appelli di M.A. e dell’INPS, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda di pensione di inabilità civile proposta dal M. nei confronti dell’Istituto previdenziale e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ritenendo non provata la sussistenza del requisito reddituale dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà prodotta in primo grado e inammissibile la produzione in appello della certificazione dell’Agenzia delle entrate.

Di questa sentenza chiede la cassazione il M. con ricorso fondato su due motivi. L’TNPS resiste con controricorso. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall’Istituto controricorrente per inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c., in considerazione del mancato rispetto dei canoni previsti da detta norma processuale (così come indicati dalla giurisprudenza di legittimità) nella formulazione dei quesiti di diritto.

2. Si osserva infatti che la sentenza d’appello qui impugnata risulta depositata in data 29 ottobre 2009, vale a dire dopo l’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, il cui art. 47 ha abrogato l’art. 366 bis c.p.c.. Ed è nota la giurisprudenza di questa Corte con la quale si è affermato che la suddetta disposizione normativa (appunto l’art. 47) si applica, per effetto della disciplina transitoria contenuta nel successivo art. 58, comma 5, alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge; conseguendone, per le controversie in questione, l’esonero, per il ricorrente in cassazione, dall’obbligo di formulazione dei motivi secondo le regole imposte dalla disposizione processuale abrogata (vedi Cass. n. 26364/2009, n. 15718/2011).

3. Nel primo motivo, con deduzione di violazione della L. n. 118 del 1971, art. 12, e degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente sostiene che il certificato dell’Agenzia delle entrate – come attestato dalla cancelleria del Tribunale in calce al fascicolo di parte – era stato da lui prodotto in primo grado in data 17.1.2006 su invito del giudice ad integrare il quadro probatorio nei termini all’uopo assegnati. Aggiunge che nel giudizio di secondo grado era stata prodotta solo una fotocopia dell’originale già depositato e contesta, quindi, alla sentenza impugnata di aver ritenuto prodotta tardivamente la documentazione relativa al requisito reddituale.

4. Nel secondo motivo, con denuncia di vizio di motivazione e/o violazione dell’art. 112 c.p.c., si ribadisce quanto già dedotto nel primo motivo a proposito dell’affermazione relativa al difetto di prova del requisito reddituale e si censura ulteriormente la sentenza impugnata in punto di regolazione delle spese di lite.

5. Il primo motivo è fondato.

6. Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’onere della prova circa il possesso del requisito reddituale, che integra (al pari del requisito sanitario e di quello della incollocazione al lavoro) uno degli elementi della fattispecie costitutiva del diritto alla pensione di inabilità civile (come pure all’assegno mensile di assistenza), grava sulla parte che agisce per ottenerne il riconoscimento (vedi, per tutte, Cass. Sez. un. 5167/2003 e la successiva giurisprudenza conforme della Sezione lavoro, in base ai principi generali sul riparto dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.).

L’inottemperanza a tale onere, tuttavia, comporta la soccombenza della parte – che ne sia gravata – soltanto se il possesso dello stesso requisito reddituale, nonostante la contestazione specifica di controparte, non risulti dalle prove comunque acquisite al processo.

Infatti i prospettati principi generali sul riparto dell’onere probatorio debbono essere, in ogni caso, coordinati con il principio di acquisizione, che trova positivo riscontro in alcune disposizioni del codice di rito (quale, ad esempio, l’art. 245 c.p.c., comma 2), nonchè pregnante fondamento nella costituzionalizzazione (art. 111 Cost.) del principio del giusto processo (sul punto, vedi Cass. n. 28498/2005, n. 15162/2008, n. 12131/2009). Sempre secondo la richiamata giurisprudenza, la prova circa il possesso del requisito reddituale non può essere offerta tramite la produzione di una dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale, in quanto tale dichiarazione è, bensì, idonea a comprovare la detta situazione nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei relativi procedimenti amministrativi – in forza dell’esplicita previsione, in tal senso, della disposizione normativa che ne reca l’istituzione e la disciplina (L. 13 aprile 1977, n. 114, art. 24 e, successivamente, D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403, art. 1, comma 1, lett. b), – ma nessun valore probatorio, neanche indiziario, può esserle riconosciuto nell’ambito del giudizio civile, atteso che la parte non può derivare da proprie dichiarazioni elementi di prova a proprio favore, al fine del soddisfacimento dell’onere posto a suo carico dall’art. 2697 c.c.. La negazione di qualsiasi valore dimostrativo autonomo non esclude, tuttavia, che la stessa dichiarazione sostitutiva di certificazione possa concorrere, con altre risultanze istruttorie, ad integrare il quadro probatorio (vedi Cass. n. 2379/2007). In tale prospettiva, può essere integrata – da dichiarazione sostitutiva appunto – la certificazione amministrativa (dell’Agenzia delle entrate o di altra pubblica amministrazione), che, pur essendo dotata dell’efficacia di prova legale (art. 2700 c.c.), abbia, tuttavia, un contenuto inidoneo, da solo, a comprovare il possesso del requisito reddituale (vedi, in termini, Cass. n. 12131/2009 cit.).

7. Ribaditi quelli che sono i principi il cui rispetto si impone nella verifica del possesso del requisito reddituale da parte di coloro che richiedono una prestazione di assistenza sociale, non può non osservarsi che, nel caso in esame – come risulta dagli atti di causa specificamente richiamati in ricorso (fascicolo di parte doc. n. 11) – l’odierno ricorrente aveva provveduto a depositare la certificazione dell’Agenzia delle entrate nel corso del giudizio di primo grado, in aggiunta alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio relativa ai redditi posseduti negli anni 2002, 2003 e 2004 e allegata al ricorso introduttivo della lite.

8. Censurabile diventa, pertanto, l’affermazione della Corte territoriale, laddove ha ritenuto indimostrato il possesso del requisito reddituale, per essere stata la certificazione in questione inammissibilmente prodotta per la prima volta nel giudizio di appello.

9. Il primo motivo di ricorso va, dunque, accolto, conseguendone la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio della causa al giudice di merito designato in dispositivo, per un nuovo esame del materiale probatorio che tenga conto del documento non valutato dalla Corte territoriale.

10. Resta assorbito, dall’accoglimento del primo motivo, il secondo motivo di ricorso, perchè in parte ripetitivo delle censure già formulate e in parte attinente alla regolazione delle spese di lite, giusta – con riferimento a questo secondo profilo – il principio, evincibile dall’art. 336 c.p.c., comma 1, secondo il quale la caducazione, in sede di legittimità, della pronuncia del giudice di appello si estende alla statuizione relativa alle spese processuali (cosiddetto effetto espansivo), spettando al giudice, cui la causa sia rinviata, rinnovarne totalmente la regolamentazione alla stregua dell’esito finale della lite (Cass. n. 13104/2003, n. 15998/2003, n. 19305/2005, n. 18837/2010).

11. Al giudice di rinvio è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2012

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