Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 02-05-2012, n. 6644 Indennità di buonuscita o di fine rapporto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 8.1.2010, la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello proposto da B.A.K.H. e dichiarava il diritto della predetta al calcolo dell’anzianità di servizio relativa al periodo 1.4.1975 – 16.9.1992, ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita e del trattamento di fine rapporto.

Riteneva la Corte territoriale che il T.A.R. del Lazio, in sede di giudizio di ottemperanza, avesse escluso che il giudicato del T.A.R. Lazio n. 1219 del 6.4.1998 riguardasse pure l’indennità di buonuscita, avendo affermato la computabilità dell’anzianità pregressa ai fini economici, ma non anche relativamente alla detta indennità. La fattispecie era relativa ad un rapporto di lavoro svoltosi nel periodo suindicato presso il Ministero degli Affari Esteri, in forza di contratto regolato dalla legge tedesca, convertito in rapporto a tempo indeterminato a seguito dell’acquisto, da parte della lavoratrice, della cittadinanza italiana mediante matrimonio con un cittadino italiano. Non poteva ritenersi, secondo la Corte del merito, che fosse violato il principio del ne bis in idem e, peraltro, neanche poteva assumersi che il rapporto si fosse risolto, essendosi l’appellante limitata ad ottenerne la conversione.

L’esclusione del trattamento di fine rapporto da parte dell’art. 10 del contratto di lavoro riguardava, invero, il caso in cui al rapporto di lavoro terminato ne fosse subentrato immediatamente uno nuovo connesso con un reddito e la clausola contrattuale doveva interpretarsi non nel senso che fosse esclusa la computabilità dell’anzianità maturata nell’ambito dell’originario rapporto, ma nel senso che il diritto al trattamento fosse differito all’estinzione di un successivo rapporto di impiego, onde era solo la liquidazione a non essere dovuta se non all’epoca di cessazione del nuovo rapporto.

Osservava, conclusivamente, il giudice del gravame, che le parti avevano inteso regolare il quando ma non l’an dell’obbligazione retributivo-previdenziale relativa alla fine del rapporto di impiego.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Ministero, con tre motivi.

Resiste con controricorso la B., che ha illustrato le proprie difese con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c., ovvero del principio del ne bis in idem, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Assume che, poichè il contratto di lavoro stipulato dalla B. con il Consolato Generale d’Italia a Francoforte sul Meno, regolato dalla legge locale, è stato risolto a seguito della stipula di un nuovo contratto regolato dalla legge italiana sottoscritto il 1.4.1992, doveva escludersi, ai sensi di quanto previsto dall’art. 10, lett. f) del menzionato contratto, che spettasse la richiesta indennità e che il T.A.R. Lazio non aveva riconosciuto la pretesa a percepire tale indennità proprio facendo riferimento all’art. 10 del contratto, onde, in sede di ottemperanza, bene il T.A.R. aveva rilevato come la sezione non avesse omesso di pronunziarsi sul punto quando aveva rilevato che la unilaterale modificazione, ad opera dell’amministrazione, con uno strumento illegittimo, non aveva riguardato anche il tfr, siccome originariamente contemplato con una diversa decorrenza (data di effettiva assunzione a tempo indeterminato). Correttamente, pertanto, il Tribunale di Roma aveva affermato la violazione del principio del ne bis in idem.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 1032 del 1973, dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa e/o contraddittoria motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Rileva l’erroneità dell’affermazione della Corte di Appello secondo cui l’incidenza dell’effettiva anzianità sul t.f.r. è un principio inderogabile ex art. 36 Cost., atteso che in tema di pubblico impiego l’indennità di buonuscita ha natura previdenziale e la sua corresponsione spetta ad ente previdenziale pubblico. Aggiunge che non vi era interesse attuale della ricorrente ad agire, potendo la stessa fare valere l’eventuale diritto al computo dell’anzianità solo alla cessazione del rapporto, considerato che anche la prescrizione comincia a decorrere, ai sensi dell’art. 2935 c.c., da giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Non poteva, poi, valere la circostanza che il rapporto fosse cessato il 31.12.2006, atteso che l’interesse deve essere attuale al momento della domanda ed in ogni caso i documenti attestanti tale cessazione erano stati prodotti solo in appello in modo inammissibile.

Infine, con il terzo motivo, censura la decisione per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 154 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osservando che il giudice ha errato nel riconoscere alla B.A. il diritto all’indennità di buonuscita prevista dall’ordinamento italiano traslando tale spettanza nel corpus normativo del contratto tedesco, applicando istituti giuridici propri dell’ordinamento italiano a contratto regolato dal diritto tedesco.

Il ricorso è infondato.

In ordine al primo motivo di impugnazione deve rilevarsi che la sentenza del 1998 del T.A.R. Lazio, passata in cosa giudicata, non ha riguardato anche il calcolo dell’anzianità pregressa maturata ai fini della determinazione dell’indennità di buonuscita, essendo stato ciò escluso espressamente dallo stesso giudice in sede di ottemperanza, laddove ha precisato che la pronunzia sulla rilevanza dell’anzianità a fini economici era stata resa solo con riguardo a tale aspetto e non anche in relazione all’incidenza della stessa ad altri fini, essendosi ritenuto che non vi fosse spazio per tale affermazione, non essendo l’amministrazione intervenuta a modificare unilateralmente l’assetto di interessi convenuto dalle parti. E’ proprio tale ultima considerazione, esplicitata nella decisione adottata all’esito del giudizio di ottemperanza, che induce a ritenere la insussistenza di ogni preclusione, connessa alla portata di un precedente giudicato, essendo l’estensione di quest’ultima contenuta nei limiti precisati dal giudice del gravame che ha interpretato in modo condivisibile la portata del comando giuridico contenuto nella sentenza cui era stata poi data concreta esecuzione.

Il secondo motivo di ricorso è destituito di giuridico fondamento, ove si consideri quanto ripetutamente affermato da questa Corte in numerosi precedenti conformi, con riguardo alla possibilità, per il lavoratore, di ottenere, anche in costanza di rapporto di lavoro, l’accertamento della computabilità di determinati emolumenti nella base retribuiva di calcolo dell’indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto (cfr. Cass 11.11.1996 n. 9819 ed, in senso conforme, Cassi 1.5.2000 n. 6046, nonchè Cass. 4.2.2010 n. 2625).

In presenza di relativa contestazione, sussiste, invero, l’interesse all’accertamento della computabilità di determinate voci della retribuzione, o, come nella specie, dell’anzianità pregressa maturata prima della conversione del rapporto a tempo indeterminato, ai fini del trattamento di fine rapporto, derivando l’attualità dell’interesse alla domanda relativa all’accertamento in ordine al trattamento di fine rapporto, dal meccanismo di accantonamento ci cui all’art. 2120 c.c. (nel testo vigente) e dalla previsione di possibili anticipazioni in favore del dipendente.

Anche l’ultima censura non può essere condivisa, atteso che nella specie, dopo essere divenuta cittadina italiana, in seguito a matrimonio, la B.A. ha chiesto ed ottenuto la conversione del contratto secondo la legge italiana ai sensi della L. n. 462 del 1980, art. 4 situazione che si è protratta sino al 31.12.2006, data in cui la stessa è stata posta in quiescenza, onde non è in discussione un’ ipotesi di risoluzione di un precedente contratto, essendo oggetto di controversia la rilevanza ai fini dell’anzianità di un rapporto ormai regolato dalla legge italiana. A prescindere dalla considerazione che il rapporto di lavoro è regolato dalla legge del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, solo nel caso in cui lo stesso sia sorto, sia stato eseguito e si sia risolto all’estero, e se le parti, al momento della stipulazione, non hanno esercitato la facoltà di scelta di cui all’art. 3 della Convenzione di Roma 19 giugno 1980 (cfr. Cass. 11.11.2002 n. 15822), nel caso esaminato la censura prospetta un vizio della decisione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove l’esame del giudice del gravame si è incentrato sull’interpretazione della clausola contrattuale controversa, pervenendo alla conclusione che la stessa prevede solo un diverso dies a quo di insorgenza del diritto al trattamento connesso all’estinzione definitiva di un rapporto di impiego, non escludendo affatto la computabilità dell’anzianità maturata nel primo originario rapporto. L’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’"iter" logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’ inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cfr. Cass. 30.4.2010 n. 10554, nonchè Cass. 4.6.2010).

Il ricorso va, pertanto, complessivamente respinto e le spese di lite del presente giudizio, per il principio della soccombenza, cedono a carico del Ministero nella misura indicata in dispositivo, disponendosi l’attribuzione delle stesse in favore dell’avv. Ugo Sgueglia, che ha dichiarato di averle anticipate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2500,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e Cpa, con attribuzione in favore dell’avv. Ugo Sgueglia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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