Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-10-2011) 28-10-2011, n. 39148

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ha proposto ricorso per cassazione M.C., per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno del 15.11.2007, che in riforma della più severa sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Nocera Inferiore il 16.2.2006, per i reati di furto, tentata rapina e tentata estorsione, escluse per il reato di furto l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 2 e ridusse la pena infettagli, confermando nel resto la decisione di primo grado.

Deduce il difensore, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di tentata estorsione.

Le risultanze istruttorie evidenzierebbero infatti la volontaria desistenza dell’imputato dall’azione criminosa, con la conseguente applicabilità dell’esimente di cui all’art. 56 c.p., comma 3, indipendentemente dalle ragioni per le quali l’imputato aveva rinunciato a portare a termine la condotta estorsiva. Con il secondo motivo, prospetta gli stessi profili di legittimità in ordine alla mancata concessione all’imputato delle circostanze attenuanti generiche, lamentando che il giudice di appello non abbia fatto buon governo delle regole di giudizio che consentono di graduare in concreto la pena attraverso una complessiva valutazione delle modalità del fatto sia sul piano soggettivo che oggettivo.

Il ricorso è manifestamente infondato. Il primo motivo non solo pecca di genericità, ma muove dal presupposto di diritto, del tutto erroneo, che per l’identificazione di una fattispecie di desistenza volontaria siano irrilevanti le ragioni della rinuncia del reo alla compiuta realizzazione della condotta criminosa. E’ vero invece che ai fini della non punibilità del tentativo la desistenza non deve essere influenzata da significativi fattori "esterni" capaci da escludere l’effettiva libertà di determinazione dell’agente (cfr.

Corte di Cassazione nr. 46179 del 02/12/2005 Plivia, dove la precisazione che ai sensi dell’art. 56 c.p., comma 3, per aversi desistenza volontaria dall’azione delittuosa occorre che la determinazione del soggetto agente sia stata libera e non coartata e, cioè che la prevalenza dei motivi di desistenza su quelli di persistenza nella condotta criminosa si sia verificata al di fuori di situazioni che abbiano impedito il proseguimento dell’azione o l’abbiano resa assolutamente vana), sotto questo imprescindibile profilo nulla avendo dedotto la difesa.

Ancor più vaghe sono le deduzioni difensive in ordine alla mancata concessione delle attenuanti innominate, che non vanno al di là di qualche scontata e astratta enunciazione di principio. Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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