Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-09-2011) 28-10-2011, n. 39239 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 24.2-9.3.2011 il Tribunale di Pesaro confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal locale GIP l’8.2.2011 nei confronti, tra gli altri, di T.P., commercialista, in relazione a due imputazioni provvisorie di concorso in corruzione in atti giudiziari relativamente a due ricorsi avanti una Commissione tributaria provinciale di Pesaro proposti da due società delle cui scritture contabili T. era depositario, avente ad oggetto beni, denaro, provviste e/o utilità e finalizzato alla confisca per equivalente, fino alla concorrenza dell’importo pari a 20.963.864 Euro, corrispondente al profitto dei reati, coincidente con gli importi di imposta evasa e sanzioni contestati dall’amministrazione finanziaria, oggetto dei giudizi avanti il giudice tributario.

Sui tre motivi della richiesta di riesame, il Tribunale in particolare argomentava che: nella specie il profitto per sua natura non poteva essere aggredito, consistendo in un risparmio di spesa insuscettibile di diretta e materiale apprensione; che allo stato degli atti e nei limiti della cognizione del Riesame, nella fattispecie era configurabile il reato di corruzione attiva, mancando elementi fattuali idonei a configurare la concussione ad opera dei pubblici ufficiali; che la confisca ex art. 322 ter c.p., aveva natura sanzionatoria sicchè tutti i concorrenti nel reato, come il T., erano corresponsabili della realizzazione del profitto, indipendentemente dalle quote di sua eventuale ripartizione: il profitto dal reato risultava configurabile prescindendo dal contenuto giuridico delle sentenze, una volta accertata la partecipazione di giudice corrotto alla sua deliberazione.

2. Il ricorso articola tre motivi:

– violazione degli artt. 240 e 322 ter c.p., D.Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19 e 53, perchè pure nel caso del risparmio fiscale doveva ritenersi sussistente il nesso di pertinenzialità, anche in via mediata, rilevante ex art. 240 c.p., tra esso ed i beni che costituiscono il patrimonio delle società (almeno all’epoca delle sentenze compravendute);

– violazione dell’art. 319 ter c.p., perchè l’esattezza giuridica della decisione escluderebbe il profitto ingiusto, nella specie essendo ipotizzato anche la conformità dell’atto ai doveri d’ufficio e risultando pendente la pertinente fase d’appello;

– violazione dell’art. 322 ter c.p., in relazione al ritenuto vincolo di solidarietà, perchè avrebbe dovuto essere individuata la quota di profitto concretamente attribuibile a ciascun concorrente, con conseguente limitazione soggettiva del sequestro, nella specie trattandosi di risparmio fiscale esclusivo del cliente.

3. Il primo motivo è infondato. Quando il profitto è dato da un risparmio, per definizione non sussiste un collegamento immediato profitto/bene-valore patrimoniale immediatamente individuabile.

Il secondo motivo è generico: la questione viene posta in termini del tutto astratti, senza argomentare perchè la decisione sarebbe stata comunque corretta. Tale genericità è assorbente rispetto alla questione di diritto, che non va affrontata mancando il presupposto – la deduzione specifica – che la renda rilevante.

Il terzo motivo è allo stato infondato. Costante insegnamento di questa Corte suprema afferma infatti che nella fase cautelare, nel caso di illecito plurisoggettivo, deve applicarsi il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l’ammontare complessivo dello stesso (SU sent. 26654/2008; Sez.5, sent.

13277/2011; Sez.5, sent. 10810/2010), in particolare ogni qualvolta non sia possibile individuare già specificamente la quota del singolo apporto rispetto al profitto (Sez.6, sent. 18536/2009; Sez. 6, sent. 30966/2007; nella specie, è allo stato specificamente assente anche nelle deduzioni difensive).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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