Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-10-2011) 31-10-2011, n. 39307

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.E., ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catania, che ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere del G.I.P. presso il Tribunale di Catania, in data 1 febbraio 2011, in quanto accusato del delitto di tentata estorsione, aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, per avere, congiuntamente ad altri tre individui ( B., C. ed U.), mediante violenza e minaccia, richiesto il pagamento di una somma di denaro periodica, rispettivamente al gestore ( Pi.Ro.) e al proprietario ( M.E.) di una sala giochi ubicata in Bronte, all’interno della quale i fatti risultano commessi.

1.) la motivazione del Tribunale del riesame.

Il Tribunale del riesame, nel confermare l’ordinanza del G.I.P., ha ritenuto che il pieno coinvolgimento del P., in ordine al reato ascrittogli, consegua alle puntuali dichiarazioni di Pi.

R. e M.E., rispettivamente gestore e proprietario di una Sala giochi ubicata in (OMISSIS) ove sì sono verificati i fatti per cui è processo.

Il (OMISSIS) il Pi. ha denunciato di avere subito richieste vessatorie da alcuni giovani del luogo, finalizzate ad imporre il pagamento di una tangente periodica, precisando:

a) che nel corso dei mesi precedenti il locale era stato frequentato da un gruppo di giovani a lui noti (e poi identificati anche con il riconoscimento fotografico), tra cui il P.E., i quali, presentatisi all’inizio come semplici avventori, avevano, in un secondo momento, rilevato le loro reali intenzioni, chiedendo il pagamento del pizzo;

b) che per convincere il Pi. delle loro intenzioni, il B., unitamente ai coindagati P. e C., avevano danneggiato alcune apparecchiature elettroniche con calci e colpi di sedia, chiedendogli poi, con fare perentorio, di parlare con il proprietario della sala giochi;

c) che era a tal punto intervenuto l’altro indagato U., il quale operava come intermediario, sollecitando il Pi. a procurargli un incontro con il proprietario della sala giochi, dicendo che "dovevano capire che è necessario che paghino qualcosa ai mese o alla settimana", quantificando in Euro 500 o Euro 1.000 tale somma;

d) che il B. aveva poi reiterato la richiesta in altre circostanze affermando che "i soldi servivano per mandarli agli amici a (OMISSIS)";

e) a fronte della non adesione alla richiesta del Pi. e alla mancata fissazione dell’incontro con il M., titolare della sala giochi, il giorno precedente la denuncia i quattro giovani si erano nuovamente presentati nei locali, intimando al Pi. il pagamento del pizzo e, all’ennesimo rifiuto, il B. aveva profferito la seguente frase minacciosa: "vi do 15 giorni di tempo perchè appena mi danno la risposta da (OMISSIS), con le buone o con le cattive, dovete pagare anche se dovessimo spaccare una macchinetta al giorno".

Per il Tribunale del riesame il racconto del Pi., è ampiamente riscontrato da quello del titolare dell’impresa, M. E., il quale, nel confermare la versione del Pillerà, ha riferito di avere sempre evitato di incontrare i ragazzi, non volendo sottostare alla richiesta estorsiva, e che solo in una circostanza, casualmente, ebbe ad incontrare B.E., al quale aveva chiesto il motivo del loro comportamento.

La decisa risposta del B. è stata: "Tu devi capire che sei forestiero e che sei ospite, che il paese è del paesano". Alle rimostranze del M., l’indagato ha proseguito affermando "tu non sai con chi stai parlando, queste cose non te le puoi permettere".

La gravata ordinanza, valorizzata la presenza di danni alle apparecchiature dei locali, le dichiarazioni convergenti delle persone offese, nonchè la credibilità soggettiva delle stesse, soprattutto in assenza di elementi rivelatori di ragioni che abbiano potuto indurre le persone offese a formulare falsamente così gravi accuse in danno degli indagati, ha ritenuto realizzati i gravi elementi indiziari del contestato delitto di tentata estorsione ed il ruolo attivo del P., il quale che ha agito in piena sintonia con personaggi di spiccata caratura mafiosa come il B., capace di lanciare specifici messaggi intimidatori, evocanti le classiche modalità di consumazione delle estorsioni di natura mafiosa.

Per il Tribunale del riesame il ruolo dell’indagato, che ha fatto irruzione nel locale gestito dal Pi. e con atteggiamento aggressivo e minaccioso, unitamente ai correi, ha danneggiato le attrezzature del locale, è indice di elevatissima pericolosità e di un’allarmante contiguità con ambienti della criminalità organizzata a mafiosa.

Da ciò la conferma della decisione del G.I.P..

2) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della violazione dell’art. 273 c.p.p. e art. 629 c.p. nonchè della L. n. 203 del 1991, art. 7.

Sostiene il ricorso che il P. è stato l’autore di un unico episodio di danneggiamento di alcune "macchinette" della sala giochi, frutto di una reazione istintiva conseguente alla perdita di circa un migliaio di Euro, ed era assolutamente estraneo alle condotte da altri realizzate.

Con un ulteriore sviluppo dello stesso primo motivo si lamenta l’insussistenza dell’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7 posto che le modalità mafiose della minaccia, essendo gli indagati appartenenti alla consorteria criminale facente capo a " T. C.", non riguardano la condotta in concreto realizzata dal P., persona incensurata e di cui non vi è prova di alcun collegamento con associazioni mafiose.

In buona sostanza ed in altre parole si contesta che il Tribunale abbia apoditticamente connotato di mafiosità un fatto che si è ritenuto criminoso solo perchè realizzato in territori ad elevata infiltrazione mafiosa.

Il motivo è per più profili inammissibile a fronte della motivazione dei giudici di merito.

Le considerazioni difensive dianzi formulate chiedono infatti alla Corte un non consentito esame valutativo tenuto conto che compito del giudice di legittimità è soltanto il controllo del ragionamento probatorio e la giustificazione della decisione del giudice di merito (anche cautelare), non il contenuto della medesima, essendo la Corte giudice, non del risultato probatorio, ma del relativo procedimento e della logicità del discorso argomentativo che sorregge e fonda sia il "ragionamento" che la "giustificazione".

Ne consegue quindi che il controllo di legittimità sulla motivazione, delle ordinanze in tema di procedimenti incidentali relativi alla libertà personale, non può riguardare la verifica della rispondenza delle argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali, perchè in tale modo si determinerebbe una rilettura degli elementi di fatto, la cui relativa e naturale valutazione è riservata in via esclusiva al giudice del merito.

Nella specie il Tribunale del riesame ha realizzato una motivazione lineare, carente sotto il profilo logico, corretta nell’applicazione delle "regulae juris", aderente ai risultati processuali e per ciò stesso insindacabile in questa sede, individuando i profili di responsabilità gravemente indiziaria a carico del ricorrente e correlando la sua condotta nei funzionali sinergici comportamenti dei correi, assistiti dalla medesima condivisa finalità operativa.

Con un secondo motivo si lamenta vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento all’art. 274 c.p.p. dato che il Tribunale si sarebbe sbrigativamente richiamato alla presunzione ope legis dell’inadeguatezza delle misure diverse dalla custodia carceraria, senza valutare la personalità dell’indagato, l’assenza di legami mafiosi, l’insussistenza del pericolo di inquinamento probatorio e del pericolo di fuga.

Anche questa doglianza è inammissibile per la sua infondatezza avuto riguardo alla diversa ed analitica motivazione del Tribunale del riesame, il quale ha ritenuto l’assenza di elementi idonei a vincere l’automatismo dell’art. 275 c.p.p., comma 3, ed ha puntualmente esaminato, rispondendo in proposito alle difformi prospettazioni difensive anche in punto di malattia celiaca e di influenza negativa dell’ambiente carcerario sulla personalità del giovane, privo di precedenti penali.

Il ricorso quindi va dichiarato inammissibile, attesa la sua palese infondatezza, avuto riguardo alla coerenza logico-giuridica ed adeguatezza della motivazione, quale proposta nella decisione impugnata.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille). Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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