Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-05-2012, n. 6668 Prova civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.L. ha chiesto che venisse accertata l’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società Francesco Perrone srl per avere falsamente affermato alla presenza di altri dipendenti di essere stato aggredito dall’amministratore della società e di avere subito, in conseguenza dell’aggressione, lesioni personali (escoriazioni e ematomi al viso).

Il Tribunale di Cosenza ha accolto la domanda, dichiarando l’illegittimità del licenziamento e ordinando la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con sentenza che è stata riformata dalla Corte d’appello di Catanzaro, che ha respinto la domanda, dopo aver ammesso le prove testimoniali limitatamente ad alcuni capitoli di prova, ritenendo che dalle risultanze della prova fosse emerso che non vi era stata alcuna aggressione dal parte del P. nei confronti del G. e che il comportamento del lavoratore, riconducibile all’ipotesi di "ingiurie gravi verso i superiori o altre mancanze congeneri", prevista dall’art. 66, n. 4 lett. a) del contratto collettivo, fosse idoneo ad integrare gli estremi della giusta causa di licenziamento.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione G.L. affidandosi a cinque motivi di ricorso cui resiste con controricorso la società Francesco Perrone srl.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5, nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale dato ingresso ad una prova testimoniale che doveva ritenersi inammissibile in quanto attinente solo a circostanze indirette, ovvero inidonee a dimostrare i fatti che avevano formato oggetto della contestazione disciplinare, in quanto non direttamente attinenti all’episodio verificatosi in data 22.5.2006. 2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 5 e art. 421 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto di poter supplire alle carenze probatorie della parte sulla quale gravava l’onere della prova attraverso l’esercizio dei poteri officiosi ex art. 421 c.p.c..

3.- Con il terzo motivo si deduce la violazione degli artt. 112 e 329 c.p.c., relativamente alla statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che il comportamento del lavoratore fosse idoneo ad integrare l’ipotesi prevista dall’art. 66, n. 4 lett. a) del contratto collettivo (ingiurie gravi verso i superiori o altre mancanze congeneri).

4.- Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 66 del ccnl 23.7.1976, nonchè violazione degli artt. 1362-1367 c.c., assumendo che la Corte d’appello non avrebbe spiegato i motivi per cui il comportamento del lavoratore dovrebbe essere ricondotto all’ipotesi di ingiurie gravi verso superiori.

5. Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione, nonchè violazione dell’art. 2699 c.c., in relazione alla valutazione del certificato medico del Pronto Soccorso, rilasciato al G. poco dopo il verificarsi dei fatti per cui è causa, assumendo che la valutazione delle risultanze istruttorie, ivi compresi gli elementi desumibili dalla sentenza penale con la quale un testimone che era stato presente all’episodio era stato assolto dal reato di favoreggiamento, avrebbe dovuto condurre la Corte d’appello al convincimento dell’esistenza di un dubbio sulla configurabilità della giusta causa di licenziamento.

6.- Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato – cfr. explurimis Cass. n. 8951/2006 – che nel vigente ordinamento processuale, per il principio di acquisizione, le risultanze istruttorie comunque ottenute, quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale si sono formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice;

invero, il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. non comporta che la prova dei fatti costitutivi della domanda debba desumersi unicamente da quanto dimostrato dalla parte onerata, senza potersi utilizzare altri elementi acquisiti al processo, poichè esso assolve alla limitata funzione di individuare la parte che deve risentire delle conseguenze del mancato raggiungimento della prova dei fatti della cui prova è gravata. Con specifico riferimento alla materia del licenziamento, questa Corte ha inoltre affermato che, pur gravando sul datore di lavoro l’onere della prova in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, tuttavia non è necessario che la prova sia acquisita ad iniziativa o per il tramite del datore di lavoro, potendo il giudice porre a fondamento della decisione gli elementi di prova comunque ritualmente acquisiti al processo, anche ad iniziativa di altre parti (compreso il lavoratore licenziato) oppure d’ufficio, e il relativo accertamento dei fatti e della loro gravita, riservato al giudice di merito, è sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione, che non può consistere in una diversa ricostruzione dei medesimi fatti (Cass. n, 16213/2003). D’altra parte, è giurisprudenza costante – cfr, ex plurimis Cass. n. 607/96 – che la prescrizione dell’art. 244 c.p.c., secondo la quale per dedurre la prova testimoniale occorre l’indicazione specifica dei fatti formulati in articoli separatati, sia ugualmente assolta dalla richiesta di prova contraria sugli stessi capi della prova già articolata dall’altra parte e che la richiesta della prova su di un fatto comporti necessariamente la sua allegazione. Non è lecito, dunque, negare l’ammissibilità o la rilevanza di una prova testimoniale sol perchè dedotta sugli stessi capitoli formulati dall’altra parte, e ciò anche laddove si tratti dei fatti posti a fondamento della domanda o comunque di fatti dei quali la parte che ha formulato la prova contraria ha l’onere di provare l’esistenza.

7.- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che la prova testimoniale dedotta dalla società doveva ritenersi pienamente ammissibile giacchè, con essa, la parte tendeva a dimostrare proprio l’esistenza dei fatti che formavano oggetto della contestazione disciplinare (prova contraria) e comunque di elementi dai quali sarebbe stato possibile desumere che i fatti si erano svolti con modalità diverse da quelle allegate dalla controparte. Le contrarie affermazioni del ricorrente, secondo cui la prova così dedotta dal datore di lavoro avrebbe dovuto ritenersi inammissibile in quanto concernente circostanze che non avevano diretta attinenza con i fatti oggetto della contestazione disciplinare, non tengono conto del rilievo della Corte territoriale secondo cui la prova formulata dalla società tendeva a dimostrare, attraverso la prova contraria sugli stessi capitoli articolati dal lavoratore, l’esistenza dei fatti posti a fondamento del recesso e si risolvono, in realtà, nella negazione del principio, più sopra ricordato, secondo cui la richiesta di prova contraria può essere idonea a costituire sia l’allegazione di circostanze rilevanti ai fini del decidere, sia l’istanza di ammissione della relativa prova testimoniale (Cass. n, 607/96 cit.).

Il primo motivo deve essere pertanto respinto.

8.- Il secondo motivo è infondato perchè, come emerge già dalle considerazioni appena espresse, nell’ammettere la prova dedotta dalla società, la Corte d’appello non ha fatto ricorso all’esercizio dei poteri officiosi ex art. 421 c.p.c., ma ha fatto corretta applicazione delle disposizioni di cui all’art. 244 c.p.c., e segg., richiamando solo ad abundantiam il principio ripetutamente affermato da questa S.C. – cfr. ex plurimis Cass. n. 2379/2007 – secondo cui nel rito del lavoro, caratterizzato dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorchè le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, occorre che il giudice, anche in gradi appello, ex art. 437 c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, eserciti il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale probatorio e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo. Si tratta, come è evidente, di un principio che la Corte territoriale ha richiamato solo per rafforzare le argomentazioni già espresse in ordine all’ammissibilità della prova testimoniale dedotta dall’appellante e che non riveste carattere decisivo ai fini della decisione.

9.- Anche il terzo motivo è infondato. La società con l’atto di appello aveva contestato, tra l’altro, anche la statuizione con la quale il Tribunale aveva ritenuto che la sanzione inflitta al lavoratore fosse sproporzionata rispetto alla effettiva portata del fatto contestato, che, secondo il primo giudice, avrebbe dovuto essere ricondotto, al più, all’ipotesi di cui alla lettera f) del n. 3 dell’art. 66 del c.c.n.l. ("pronunciamenti offensivi o schernevoli all’indirizzo di superiori in presenza di testimoni"). La Corte d’appello, ritenendo che il fatto contestato al lavoratore integrasse gli estremi dell’ipotesi di "ingiurie gravi verso i superiori o altre mancanze congeneri" (art. 66, n. 4, lett. a) del c.c.n.l.), ha reso la pronuncia sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, senza incorrere, dunque, nella violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. (sul potere-dovere del giudice d’appello di qualificare giuridicamente i fatti, purchè nell’ambito delle questioni riproposte con il gravame e con il limite di lasciare inalterati il petitum e la causa petendi, cfr. ex plurimis Cass. n. 15383/2010, Cass, n. 20652/2009).

10.- Sono infondate le censure proposte con il quarto motivo. Il giudizio espresso dalla Corte territoriale in ordine alla gravità dei fatti addebitati al lavoratore risulta, infatti, motivato in modo sufficiente e logico con riferimento alla "non veridicità dei fatti che il G. addebitava, in presenza di altri dipendenti, a P.L. il pomeriggio del 26.5.2006 allorchè gli veniva richiesto per quale motivo aveva abbandonato il suo posto di lavoro il 22 precedente" ed al "comportamento diffamatorio" tenuto nella stessa occasione dal lavoratore con l’affermazione di avere subito una aggressione da parte del P., a seguito della quale aveva riportato escoriazioni ed amatomi al viso, con la conseguente conclusione (pag. 6 della sentenza impugnata) che tale comportamento non poteva essere ricondotto semplicemente all’ipotesi di "pronunciamenti offensivi o schernevoli all’indirizzo di superiori in presenza di testimoni", ma doveva ritenersi idoneo ad integrare quella di "ingiurie gravi verso i superiori o altre mancanze congeneri" di cui al n. 4 lett. a) dell’art. 66 del contratto collettivo, per la quale era prevista la sanzione del licenziamento senza preavviso. E tutto ciò a prescindere dalla considerazione che il ricorrente, oltre a non riportare nel ricorso per cassazione il contenuto integrale delle norme della contrattazione collettiva prese in esame dalla Corte d’appello, ha solo genericamente lamentato l’erroneità della interpretazione di tali norme da parte della Corte territoriale e non ha poi motivatamente specificato i canoni ermeneutici che sarebbero stati violati dal giudice del merito con l’operazione interpretativa sopra indicata.

11- E’ infondato, infine, il quinto motivo. L’accertamento contenuto nella sentenza impugnata risulta, infatti, sorretto da motivazione adeguata e coerente sul piano logico e, come tale, non è assoggettabile alle censure che ad esso sono state mosse in questa sede di legittimità. Al riguardo, vale rimarcare che, come questa Corte ha costantemente ribadito, il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poichè in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis, Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 18885/2008, Cass. n. 6064/2008). Deve, inoltre, ribadirsi che la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come le scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr. ex plurimis Cass. n. 16499/2009, Cass. n. 14972/2006). Nè può sottacersi che, anche con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 2699 c.c., il ricorrente non ha riportato nel ricorso per cassazione il contenuto del certificato medico di cui lamenta l’erronea valutazione, sì che, anche in questo caso, non risulta rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

12.- Il ricorso va, dunque, rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *