Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-05-2012, n. 6667 Rivalutazione monetaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 58 del 2008, rigettava gli appelli proposti da C.A., L. M., C.B. e C.R. nei confronti dell’INPS, nonchè l’appello incidentale proposto dall’INPS nei confronti dei predetti, in ordine alle sentenze 7 novembre 2002 del Tribunale di Crotone. Compensava tra le parti le spese di giudizio.

2. Gli appellanti principali avevano chiesto al Tribunale di Crotone la condanna dell’INPS al pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria sul trattamento di disoccupazione ordinaria e speciale in agricoltura, imposta dalle sentenze della Corte costituzionale n. 497 del 1988 e n. 288 del 1994, oltre interessi e rivalutazione monetaria fino al soddisfo, avendo percepito il predetto trattamento solo nella misura di L. 800 giornaliere, ai sensi della L. n. 114 del 1974, art. 13 (dichiarato incostituzionale in parte qua).

Il Tribunale riteneva che dalla documentazione prodotta dall’INPS e dal comportamento delle parti emergevano elementi indiziali sufficienti a dimostrare l’avvenuto pagamento del trattamento di disoccupazione con l’adeguamento valutario.

I ricorrenti interponevano appello, deducendo, in particolare, che il pagamento andava provato con quietanza.

L’INPS, a sua volta, proponeva appello incidentale.

3. La Corte d’Appello, in particolare, condivideva le conclusioni del Tribunale affermando che lo stesso non aveva attribuito agli estratti conto informatici dell’INPS autonoma valenza probatoria, ma li aveva ritenuti validi elementi indiziari idonei, unitamente ad altre circostanze, ed al comportamento delle parti, a far ritenere avvenuto il pagamento delle somme indicate. Gli appellanti, pur assumendo di avere avuto solo L. 800 giornaliere, senza adeguamento monetario, non indicavano nè il giorno in cui avevano avuto dette somme, nè indicavano gli importi complessivi loro corrisposti.

L’INPS, oltre agli estratti conto, in cui erano indicate per ciascun appellante le somme spettanti comprensive dell’adeguamento, allegava gli ordini di pagamento di dette somme tramite assegno circolare sul conto INPS, la data dell’ordinativo. In merito a tali deduzioni, precise e non generiche, i ricorrenti si limitavano ad asserire di non aver ricevuto quanto spettante.

4. Per la cassazione della suddetta sentenza di secondo grado ricorrono C.A., L.M., C.B. e C.R., prospettando cinque motivi di impugnazione.

4. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

5. L’INPS ha depositato la sola procura speciale ai propri difensori.

Motivi della decisione

1. Parte ricorrente ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata prospettando i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 1199 c.c., ed insufficiente motivazione, per avere il giudice di appello ritenuto provato il pagamento del debito benchè l’INPS non avesse prodotto alcuna quietanza di pagamento proveniente dal creditore, atteso che nessun valore liberatorio poteva riconoscersi agli estratti conto provenienti dallo stesso debitore;

2) violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2726 c.c., nonchè vizi di motivazione, per avere il giudice di appello, nel ritenere provato il pagamento, fatto ricorso a presunzioni semplici, non consentite al giudice oltre i limiti di ammissibilità della prova testimoniale fissati dall’art. 2722 c.c., e benchè mancassero i requisiti della gravità, precisione e concordanza degli indizi;

3) difetto e contraddittorietà di motivazione per avere il giudice di appello affermato che l’appellante nè nel ricorso introduttivo, nè a seguito delle deduzioni dell’INPS, nè in grado di appello aveva allegato circostanze di fatto a supporto della pretesa; osserva al riguardo che avendo l’appellante negato di aver ricevuto dal debitore il dovuto, non era tenuto a provare alcunchè;

4) omessa decisione, in relazione all’art. 112 c.p.c., su un motivo di appello specificamente proposto, consistente nell’aver censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva attribuito solo gli interessi legali e non la rivalutazione monetaria sulle somme dovute a titolo di adeguamento e liquidate in ritardo dall’INPS. Ad avviso del ricorrente la sentenza di primo grado aveva riconosciuto a ciascun ricorrente solo il diritto agli interessi legali.

5) difetto di motivazione, per avere il giudice di appello dichiarata congrua la liquidazione delle spese effettuata dal primo giudice, con compensazione per 2/3, in modo globale e per un importo (pari ad Euro 20,00) inferiore ai minimi tariffari, in rapporto alla natura e alla entità della domanda.

2. Si premette che il ricorso in esame è regolato anche dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile a tutti i ricorsi avverso sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006, come disposto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2. Il citato art. 366 bis è stato abrogato dal D.Lgs. n. 69 del 2009, art. 47, ma senza effetto retroattivo, motivo per cui è rimasto in vigore per i ricorsi per cassazione presentati avverso sentenze pubblicate prima del 4 luglio 2009 (D.Lgs. n. 69 del 2009, art. 58).

Da ciò consegue che il primo motivo, con il quale si denuncia violazione dell’art. 1199 c.c. e vizi di motivazione, è inammissibile.

Il motivo si conclude con il seguente quesito: "Voglia la S.C. di cassazione alla luce dell’art. 1199 c.c., giudicare se l’ente debitore possa dichiararsi liberato dall’obbligo di pagamento di un debito in assenza di esibizione di regolare quietanza e sulla semplice produzione di uno schema di calcolo redatto ad uso interno".

Il quesito così posto non è coerente con il decisum che intende impugnare (cfr., Cass., n. 24353 del 2010). La sentenza impugnata, infatti, non ha mai affermato che, in mancanza di quietanza, gli estratti conti prodotti dall’Inps costituiscono da soli prova sufficiente del pagamento. La Corte territoriale ha invece affermato che la documentazione prodotta dall’Istituto, che conteneva una precisa contestazione della pretesa avversaria, andava valutata unitamente al comportamento processuale delle parti; in particolare al comportamento della parte ricorrente, che, pur ammettendo di aver ricevuto il pagamento dell’indennità di disoccupazione, non ha mai precisato quale fosse l’importo spettante, quale l’importo ricevuto ed in che data. Da tale complessivo quadro probatorio la Corte ha ritenuto sufficientemente provato il pagamento dell’adeguamento.

Occorre considerare che a norma dell’art. 1199 c.c., la quietanza deve essere rilasciata solo nel caso in cui il debitore ne faccia richiesta (e nella specie nè dalla sentenza nè dal ricorso risulta che la parte privata abbia dichiarato di aver rilasciato quietanza a richiesta del debitore al momento del pagamento dell’importo contestato), per cui detto documento non costituisce sempre e in ogni caso unica prova del pagamento. Ne consegue che il debitore ha comunque il diritto di provare l’avvenuto pagamento dell’obbligazione a suo carico e che l’esercizio di questo diritto non può essere impedito dall’omesso rilascio della quietanza.

La Corte territoriale, dunque, a norma dell’art. 116 c.p.c., ha del tutto legittimamente valutato, secondo il suo prudente apprezzamento, gli elementi di prova raccolti. Ne consegue la inammissibilità del motivo di ricorso in esame per inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c., poichè la inconferenza del quesito di diritto è assimilabile all’ipotesi di mancanza del quesito (Cass., Sezioni Unite, n. 14385 del 2007).

2.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, nella parte in cui denunciano violazioni di legge, sono inammissibili per mancanza del quesito. Nella parte in cui denunciano vizi di motivazione in relazione a fatti decisivi, sono parimenti inammissibili in quanto sono privi della conclusiva illustrazione della indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, insufficiente o contraddittoria; infatti, secondo l’art. 366 bis c.p.c., nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione) l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, con la conseguenza che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., Sezioni Unite, n. 20603 del 2007). Va ulteriormente precisato al riguardo che la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o insufficiente non può essere desunta dal contenuto del motivo o integrata dai medesimi motivi, pena la sostanziale abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. (Cass., Sezioni Unite, n. 6420 del 2008).

2.2. Il quarto motivo di ricorso non è fondato.

Con il motivo di impugnazione proposto in appello, che sarebbe stato pretermesso (riportato in ricorso), i ricorrenti si dolevano del mancato riconoscimento, per l’intero periodo dal maturato al soddisfo, della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulla somma rivalutata, a fronte del riconoscimento, da parte del Tribunale degli interessi legali maturati sulle somme dichiarate corrisposte dall’INPS a titolo di adeguamento, con decorrenza dal 121 giorno successivo alla domanda amministrativa sino al saldo di cui all’estratto informatico.

La statuizione di conferma della sentenza del Tribunale, da parte della Corte d’Appello, nell’aver ritenuto provata l’avvenuta liquidazione del trattamento di disoccupazione comprensivo dell’adeguamento, nei termini dedotti dall’INPS mediante estratti informatici del conto previdenziale di ciascun ricorrente, implica necessariamente il rigetto del suddetto motivo di appello, il quale presuppone l’accoglimento della doglianza, ancora oggi proposta, relativa alla mancata prova della corresponsione del suddetto adeguamento. Non è pertanto ravvisatale il vizio di omessa pronuncia dedotto da parte ricorrente.

2.3. Il quinto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole della liquidazione delle spese del giudizio di primo grado in misura inferiore alla tariffa, non è fondato con riferimento alla più recente giurisprudenza di questa Corte, ed alla quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui la parte che censuri la sentenza di primo grado, lamentando la violazione dei minimi previsti dalla tariffa professionale, ha l’onere di fornire al giudice d’appello gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso dovuto al professionista, indicando, in maniera specifica, gli importi e le singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo grado, nè tali indicazioni possono essere desunte da note o memorie illustrative successive, la cui funzione non è quella di formulare censure ma solo quella di chiarire le censure tempestivamente formulate (vedi Cass., n. 19419 del 2009, n. 15520 del 2009). Nella specie, dal motivo di appello riprodotto nel ricorso per cassazione, non risulta che l’appellante abbia precisato al giudice del gravame le voci della tariffa in relazione alle quali il giudice di primo grado sarebbe sceso al di sotto del minimo, per cui non può qui dolersi di un mancato esame di doglianze non formulate.

Congrua e corretta è, altresì, la motivazione sulla parziale compensazione delle spese in ragione del criterio della soccombenza, parziale.

3. Il ricorso pertanto deve essere rigettato.

4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono quantificate come in dispositivo per avere svolto l’INPS attività difensiva solo nella pubblica udienza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro mille per onorario, Euro 20,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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