Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 06-10-2011) 31-10-2011, n. 39289

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.G. e B.G. ricorrono, a mezzo dei loro difensori, avverso la sentenza 6 ottobre 2010 della Corte di appello di Roma (la quale in parziale riforma della sentenza 12 aprile 2006 del Tribunale di Latina sezione di Terracina ha ridotto la pena per il S. ad anni 8 di reclusione ed Euro 50 mila di multa, mentre ha confermato la condanna del B. alla pena di anni 6 di reclusione ed Euro 30 mila di multa per il delitto ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1) le conformi decisioni dei giudici di merito in punto di responsabilità.

Dagli atti risulta la seguente scansione della vicenda:

a) con sentenza del Tribunale di Latina – Sez. di Terracina in data 12.4.2006, S.G. e B.G. sono stati condannati, rispettivamente, alla pena di anni dodici di reclusione ed Euro 150.000 di multa e alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 30.000 di multa, in quanto ritenuti responsabili: "del reato di cui agli artt. 110 e 81 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 perchè, in concorso tra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ripetutamente acquistavano quantità non modiche di eroina, che il B. acquistava materialmente per conto del S., e che il S. provvedeva a smerciare e per ultimo per aver acquistato e detenuto a fine di spaccio, in concorso anche con A.E. mg. 21664 di eroina; in (OMISSIS)";

b) su appello degli imputati la Corte distrettuale ha ribadito la colpevolezza degli accusati confermando la piena utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla A. davanti alla polizia giudiziaria;

c) in particolare la gravata sentenza ha ritenuto rispettate le disposizioni contenute negli artt. 512, 64 e 526 c.p.p., in quanto la donna, extracomunitaria, si trovava in Italia da moltissimo tempo, e risultava regolarmente residente a (OMISSIS) presso l’abitazione di B.G., con il quale conviveva da circa dieci anni ed al momento dell’interrogatorio aveva eletto domicilio in (OMISSIS);

d) l’interrogatorio è stato reso il 6 gennaio 1998, quando l’art. 64 c.p. non era stato ancora modificato dalla legge sul giusto processo e non erano quindi richiesti gli avvertimenti previsti dalle lettere b) e c) del comma 3, nè era prevista la sanzione della inutilizzabilità di cui al comma 3 bis;

c) i giudici di merito hanno conclusivamente ritenuto, argomentando sul punto, che non fosse emerso alcun elemento che potesse far ragionevolmente pensare che la A. si fosse volontariamente resa irreperibile per sottrarsi all’esame dibattimentale.

2.) i motivi di impugnazione di S. e di B..

2.1) il ricorso di S. e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione la difesa di S. deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della violazione dell’art. 64 c.p.p., comma 3 bis e art. 526 c.p.p., comma 1.

L’assunto difensivo, che riprende la medesima doglianza respinta dalla Corte di appello, sostiene che si è illegittimamente acquisito e si è data illegittima lettura delle dichiarazioni rese dalla coindagata A., la quale ha reso dichiarazioni auto ed etero accusatorie senza essere stata avvertita a sensi dell’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c).

Si contesta quindi sul punto l’affermazione della gravata sentenza secondo la quale l’interrogatorio è stato reso il6 gennaio 1998, quando l’art. 64 c.p. non era stato ancora modificato dalla legge sul giusto processo e non erano quindi richiesti gli avvertimenti previsti dalle lettere b) e c) del comma 3, nè era prevista la sanzione della inutilizzabilità di cui al comma 3 bis.

Obietta il ricorrente che la circostanza che il verbale di sommarie informazioni, datato 6 gennaio 1998, fosse stato acquisito al fascicolo del dibattimento il 30 novembre 2005 (e cioè in tempo successivo al 25 febbraio 2000, data di entrata in vigore della L. n. 63 del 2001), imponeva l’applicazione delle nuove norme.

La doglianza non ha fondamento.

Innanzitutto va rilevato che la disciplina transitoria dettata dalla L. 1 marzo 2001, n. 63, art. 26, nella parte in cui impone al P.M. l’obbligo di rinnovare l’esame del soggetto autore di dichiarazioni eteroaccusatorie, non può trovare applicazione dopo la chiusura delle indagini preliminari, segnata dall’avviso di conclusione delle stesse previsto dall’art. 415 bis c.p.p., il quale introduce una fase ontologicamente e cronologicamente diversa (Cass. pen. sez. 6, 12186/2005 Rv. 231584. Massime precedenti conformi: N. 14501 del 2004 Rv. 228945, N. 35570 del 2004 Rv. 229543).

In secondo luogo, ed in applicazione del principio "tempus regit actum", deve escludersi l’inutilizzabilità dell’esame dibattimentale di imputato di reato connesso, effettuato ai sensi dell’art. 210 c.p.p., senza l’avvertimento previsto dall’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c), quando trattasi – come nella vicenda – di atto compiuto prima dell’entrata in vigore della L. 1 marzo 2001 n. 63, che ha introdotto l’obbligo di detto avvertimento; nè potendosi in contrario invocare il disposto di cui alla citata L. n. 63 del 2001, art. 26, comma 2, giacchè l’obbligo ivi previsto di rinnovazione degli atti nelle forme prescritte dalle nuove disposizioni vale soltanto se il procedimento si trova ancora nella fase delle indagini preliminari (Cass. pen. sez. 5, 11805/2004 Rv. 228054).

Per concludere, in materia di valutazione della prova, le dichiarazioni accusatorie su fatti che concernono la responsabilità di altri, rese anteriormente all’entrata in vigore della L. 1 marzo 2001, n. 63 sul "giusto processo", nel corso delle indagini, non possono considerarsi intrinsecamente inutilizzabili perchè non precedute dall’avvertimento di cui al nuovo art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c), considerato che tale disposizione e la conseguente previsione di inutilizzabilità di cui al comma 3 bis del medesimo articolo, in forza del principio "tempus regit actum stabilito dalla L. n. 63 del 2001, art. 26, comma 1, non sono applicabili alle dichiarazioni rese anteriormente dall’indagato. Il motivo va quindi rigettato.

Con un secondo motivo si lamenta che in ogni caso era in allora probabile e prevedibile l’irreperibilità della A., cittadina ghanese tossicodipendente e priva di permesso di soggiorno.

Anche questa doglianza non ha fondamento.

E’ noto che, in linea con i principi sanciti dall’art. 6, comma 3, lett. d), CEDU, la lettura, ai sensi dell’art. 512 c.p.p. delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari è consentita soltanto nei casi in cui risulti oggettivamente impossibile ottenere la presenza del dichiarante, e detta situazione ricorre unicamente quando il giudice abbia fatto tutto quanto in suo potere per reperire il dichiarante stesso (Cass. pen. sez. 2, 22358/2010).

Inoltre tale acquisizione – in dibattimento – dei verbali di dichiarazioni per sopravvenuta impossibilità di ripetizione in tanto è corretta se ed in quanto essa consegua al rigoroso accertamento sia dell’irreperibilità della persona, previo espletamento di accurate ricerche, sia dell’imprevedibilità dell’irripetibilità dibattimentale durante la fase delle indagini preliminari, sulla base del criterio della prognosi postuma, sia infine dell’estraneità dell’irreperibilità ad una volontaria e libera scelta del testimone di sottrarsi all’esame in contraddicono (Cass. pen. sez. Sez. 2, 43331/2007 Rv. 238198).

Orbene, nella specie, tali connotazione di rigore risultano presenti nella verifica fatta dai giudici di merito, avuto riguardo a molteplici circostanze che rendevano improbabile pur a fronte della qualità di persona extracomunitaria una ragionevole previsione di irreperibilità.

La donna infatti vantava una consolidata e decennale convivenza con il B., nella cui abitazione in (OMISSIS) ella si trovava e che aveva pure indicato nella elezione di domicilio.

Inoltre sottolinea la Corte di appello non sono emersi elementi neppure congetturali per far ritenere una sua intenzionale sottrazione all’esame dibattimentale.

Trattasi di una motivazione che, per come condotta, si sottrae a censure in questa sede, con conseguente rigetto anche del secondo motivo di gravame del S..

2.2) il ricorso di B. e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

La difesa del B. con i primi tre motivi lamenta violazione dell’art. 526 c.p., comma 1 bis, artt. 512 e 64 c.p., nonchè errata acquisizione della prova.

I primi tre motivi del B., che riprendono sostanzialmente le censure del correo S., ne seguono la sorte di rigetto, nei termini dianzi prospettati ed argomentati.

Con un quarto motivo si evidenzia, in modo inoppugnabilmente generico l’insufficienza della prova della colpevolezza del ricorrente.

Il motivo difetta di specificità e va dichiarato inammissibile.

Con un quinto motivo il B. sostiene, con altrettanta aspecificità di argomentazioni a sostegno, l’erroneo mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Il motivo è palesemente inammissibile posto che non da contezza delle ragioni che la difesa propone avverso le motivate decisioni sul punto dei giudici di merito.

L’impugnazione del B., quindi, ammissibili i primi tre motivi, va rigettata con aggravio di spese.

I ricorsi pertanto, nella verificata tenuta logica e coerenza strutturale del provvedimento impugnato, risultano infondati e le parti proponenti vanno condannate ex art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *