T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 01-12-2011, n. 1694

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. S.G. espone di essere proprietario di alcuni terreni interessati dalla realizzazione dei lavori di sistemazione ed adeguamento della sede stradale della SS n. 573 tronco BettoleCoccaglio, i quali hanno formato oggetto di decreto di occupazione d’urgenza notificato il 3 febbraio 1997 e finalizzato ad autorizzare l’occupazione per un periodo di 1800 giorni.

Il successivo 15 maggio 1997 al sig. S. veniva spedita, dall’impresa L. s.r.l. aggiudicataria dei lavori, una offerta di indennità provvisoria, che, però, non veniva accettata. Ne seguiva, in data 23 luglio 1998, la rideterminazione ad opera della Commissione provinciale per le espropriazioni, per un totale complessivo di 20.719.800 lire.

Non essendo mai intervenuta l’emissione del decreto di esproprio, né avendo mai percepito alcuna indennità, il proprietario, dato atto dell’irreversibile trasformazione ad uso pubblico del suolo, utilizzato come sedime stradale, ha, quindi, con il ricorso in esame, richiesto la condanna di A. s.p.a., in solido con L. s.r.l., al pagamento del risarcimento del danno per tutto il periodo in cui, a decorrere dal 25 febbraio 1997, ha perduto la disponibilità dei propri beni, nonché per la perdita della proprietà stessa.

A tale fine il ricorrente – ravvisata la giurisdizione del giudice amministrativo in ragione dell’esistenza di un procedimento espropriativo che legittimava originariamente il comportamento dell’ente espropriante, poi divenuto illecito per effetto della inutile scadenza dei termini della dichiarazione di pubblica utilità – ha affermato la sussistenza della responsabilità sia in capo ad A., che a L. s.r.l., quale soggetto delegato al compimento delle procedure espropriative.

In punto di danno, esso ha evidenziato come una prima lesione sia derivata del protrarsi dell’occupazione senza la corresponsione di alcuna indennità a copertura della mancata disponibilità dei fondi e poi, successivamente, si sia perfezionato il danno conseguente alla perdita definitiva della proprietà per effetto della realizzazione dell’opera, con conseguente diritto alla corresponsione del valore venale del bene.

Il risarcimento dovuto ammonterebbe, quindi, ad una somma per la determinazione della quale parte ricorrente chiede il ricorso ad una CTU, non senza dare conto, al fine della determinazione del valore venale dei beni, del fatto che il prezzo d’acquisto degli stessi terreni espropriati – pari, nel 1989, a 3.220 Lire/mq – è stato rideterminato, in seguito ad un accertamento fiscale, nel maggior valore di 12.000 Lire/mq. Valore che, secondo una perizia tecnica di parte del 2006, corrisponderebbe ad oggi, tenuto conto della rivalutazione, a 63,00 Euro/mq.

L’indennità di occupazione, invece, dovrebbe essere pari ad un dodicesimo del valore definitivo moltiplicato per gli anni di occupazione.

Si è costituita in giudizio la L. s.r.l., eccependo, in vista della pubblica udienza, l’inammissibilità del ricorso nei propri confronti sia perché soggetto privo del potere di valutare la necessità di acquisire al patrimonio pubblico dei beni che hanno formato oggetto di illecita trasformazione ad uso pubblico (valutazione che competerebbe all’ente pubblico destinato ad acquistare i beni anche dopo la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del DPR 327/01, pena l’indebito arricchimento del proprietario che formalmente rimarrebbe tale), sia perché privo di legittimazione non essendo stata delegata allo svolgimento della procedura espropriativa, ma solo alla predisposizione degli atti preliminari.

Il ricorso sarebbe comunque inammissibile anche in considerazione della nullità della notifica effettuata all’A. presso il compartimento di Milano e non anche la sede legale di Roma.

In ogni caso il ricorso sarebbe infondato nel merito, poiché per il periodo di occupazione legittima non può che essere pretesa la corresponsione della relativa indennità e non anche del risarcimento del danno. Risarcimento che, peraltro, rimarrebbe subordinato, secondo parte resistente, in primo luogo all’effettivo accertamento della mancata adozione del decreto d’esproprio e del mancato pagamento delle indennità, che potrebbe essere provato solo a seguito della rituale convocazione in giudizio di A. s.p.a., nonchè alla scelta dell’A. stessa circa il mantenimento del possesso e all’esatta individuazione dell’area occupata.

Ravvisata la necessità di procedere all’integrazione del contradditorio nei confronti dell’A. s.p.a. e di acquisire documenti e chiarimenti, questo Tribunale ha ordinato, in solido a tale ente e alla L.I.S. di provvedere ad adempiere a quanto prescritto nell’ordinanza n. 881/2011.

A seguito dell’adempimento di tale ordine, si è costituita in giudizio l’A., ma senza spiegare alcuna specifica difesa e senza adempiere all’ordine istruttorio imposto.

Solo la L. ha parzialmente adempiuto all’ordine ricevuto, denunciando la mancanza di disponibilità di parte dei documenti richiesti e l’impossibilità, derivante dalla particolare posizione di delegato all’espletamento della procedura espropriativa, di assumere posizione in ordine alla necessità della conservazione dell’opera e dell’acquisizione dei relativi terreni.

Alla pubblica udienza del 16 novembre 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, sentiti gli stessi, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Debbono essere preliminarmente esaminate le numerose eccezioni in rito introdotte da parte resistente.

A tale proposito il Collegio non può che dichiarare la nullità della notifica originariamente effettuata nei confronti di A. s.p.a. presso il compartimento della Lombardia e non anche la propria sede legale a Roma. A tale proposito la giurisprudenza ha chiarito che: "A seguito della trasformazione prima in ente pubblico economico e successivamente in società per azioni dell’A., è cessata la connotazione di tale ente come amministrazione statale e sono divenute, quindi, inapplicabili a tale ente le norme dell’art. 11 r.d. n. 1611 del 1933 e dell’art. 25 c.p.c., con la conseguenza che la notificazione di un atto introduttivo del giudizio all’ente deve avvenire nel rispetto della norma dell’art. 145 c.p.c. e, quindi, presso la sua sede legale, e che una notificazione presso un suo compartimento regionale è affetta da nullità, per inosservanza del luogo di notificazione previsto da detta norma del c.p.c. (Nella specie, l’A., convenuta presso un giudice di pace, si era costituita con il patrocinio di un avvocato del libero foro, presso il quale non aveva peraltro eletto domicilio. Essendo stata la sentenza del giudice di pace notificata all’ente presso la sede compartimentale dell’ente – priva di autonomia e di soggettività distinta – anziché presso la sede dell’ente in Roma, la Suprema Corte, in applicazione del principio di cui sopra, ha ritenuto tale notifica non idonea a far decorrere il termine breve per la impugnazione)" (così Cassazione civile, sez. III, 19 marzo 2009, n. 6659). Nel medesimo senso anche il giudice amministrativo che ha affermato, come si legge nella sentenza Consiglio Stato, sez. IV, 03 settembre 2001, n. 4627: "Gli uffici compartimentali dell’ A. hanno la natura di meri uffici privi di una propria autonomia di indirizzo o gestionali e di rappresentanza esterna, pertanto la notifica dell’impugnativa degli atti emanati da tale ente deve, ai sensi dell’art. 145 c.p.c. essere effettuata a pena di nullità presso la sua unica sede legale in Roma".

È stato però ritenuto che la suddetta nullità della notifica non potesse, di per sé, determinare l’irricevibilità del ricorso, atteso che nello stesso è stato individuato come soggetto resistente anche la L. s.r.l. e conseguentemente è stata disposta l’integrazione del contradditorio che ha condotto alla costituzione dell’A. s.p.a..

All’esame nel merito del ricorso si frappongono, però, ancora una volta, profili in rito circa la legittimazione passiva della L. s.r.l..

A tale proposito, in una recente sentenza della Corte di Cassazione, sez. I civ., 04 giugno 2010, n. 13615, si legge che, "qualora l’amministrazione espropriante avvalendosi dello schema di cui agli art. 35 e 60 l. n. 865 del 1971 affidi ad altro soggetto, anche mediante appalto o concessione, la realizzazione di un’opera pubblica e gli deleghi nello stesso tempo gli oneri concernenti la procedura ablatoria (e non anche tutti i poteri suoi propri, di soggetto espropriante, come è peculiare della concessione traslativa) da compiere in nome e per conto del delegante, l’illecito in cui consiste la occupazione appropriativa, comportante la perdita della proprietà del privato, è ascrivibile anzitutto al soggetto che ne sia stato l’autore materiale, pur senza essere munito di un titolo che l’autorizzasse. Anche in tale caso a nulla rilevano le inadempienze dell’ente delegante nell’esercizio dei poteri conservati per lo svolgimento della procedura ablatoria, nonché la loro efficienza causale in merito al mancato conseguimento del decreto di esproprio. In questa ipotesi, peraltro, può sussistere una corresponsabilità solidale dell’ente delegante il quale con il conferimento del mandato non si spoglia delle responsabilità relative allo svolgimento della procedura espropriativa secondo i suoi parametri soprattutto temporali e conserva, quindi, l’obbligo di sorvegliarne il corretto svolgimento anche perché questa si svolge non solo in nome e per conto di detta amministrazione, ma anche di intesa con essa. Questa ultima conserva un potere di controllo o di stimolo dei comportamenti del delegato, il cui mancato o insufficiente esercizio obbliga anche il delegante in presenza di tutti i presupposti al relativo risarcimento ai sensi del combinato disposto degli art. 2043 e 2055 c.c.".

Il precedente richiamato si attaglia perfettamente al caso di specie. Dalla copia del contratto prodotta in esito all’ordinanza istruttoria 881/11 emerge come l’A., con contratto di diritto privato, avesse affidato alla L. s.r.l. la costruzione dell’opera stradale, con l’incarico, altresì, di provvedere a svolgere per l’A. tutte le procedure tecniche per il perfezionamento delle espropriazioni, conservando, peraltro, il potere di disporre "accertamenti e verifiche in ordine alla regolarità formale e sostanziale delle procedure espropriative e di eventuali asservimenti" e di vigilare "affinchè non si manifestino ritardi ed impedimenti all’esecuzione delle opere stradali connesse alle espropriazioni e ad eventuali asservimenti".

Il collegio non ravvisa, quindi, ragione di discostarsi dalle conclusioni di cui alla sopra riportata pronuncia, che ben riassumono l’orientamento della giurisprudenza consolidatosi nel tempo. Conseguentemente – ferma restando la legittimazione passiva di A. s.p.a., quale soggetto nel cui interesse è avvenuta l’occupazione e proprietario della strada realizzata – la L. deve ritenersi anch’essa legittimata passiva, quale debitrice in solido con A.. Ciò in considerazione del fatto che essa stessa è stata delegata da A. alla conduzione della procedura espropriativa in suo nome e per conto, come si può desumere dagli atti depositati ed in particolare dalle premesse del decreto del Prefetto di Bergamo che ha autorizzato l’occupazione d’urgenza e dal contratto di cui si è precedentemente detto.

Ogni questione relativa alla ripartizione della responsabilità tra i suddetti obbligati solidali esula dalla competenza di questo giudice e non rappresenta comunque oggetto del contendere, non essendo stata ritualmente proposta, ma solo ventilata nel corso della pubblica udienza.

Nel merito il ricorso merita accoglimento nella parte in cui è diretto ad ottenere il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno.

Invero la condanna alla corresponsione del risarcimento dovrebbe, in linea di principio, essere subordinata alla previa manifestazione di volontà del soggetto nel cui interesse è intervenuta l’occupazione, volta ad acquisire la proprietà del terreno trasformato, così da escludere la percorribilità della diversa via della restitutio in integrum, mediante la resa dei terreni stessi. Con l’ordinanza n. 881/2011 si era esplicitamente richiesto ad A. s.p.a. (unico soggetto legittimato, come ben evidenziato dalla L. s.p.a.) di compiere la propria valutazione di opportunità in ordine all’acquisizione del bene ovvero della restituzione dei terreni.

Pur non avendo la società in questione adempiuto a quanto ordinato da questo Tribunale, il Collegio ritiene, però, che ciò non gli precluda la possibilità di pronunciarsi, considerato che parte ricorrente ha chiesto solo il risarcimento del danno e non la restituzione dei terreni, i quali – risulta confermato dalla L. e non smentito dall’A. (dal cui comportamento silenzioso possono essere desunti elementi di convincimento ai sensi del comma 4 dell’art. 64 del codice del processo amministrativo) – sarebbero stati irreversibilmente trasformati ed attualmente occupati dall’arteria stradale, pienamente in esercizio.

Ne discende la possibilità di procedere alla condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno. Questo Tribunale non può, però, sostituirsi all’ente espropriante nella scelta del mezzo di acquisto della proprietà maggiormente confacente alla situazione, da utilizzarsi a fronte della corresponsione del corrispettivo dovuto al proprietario per la perdita della proprietà. Ci si deve, quindi, limitare a rimettere la scelta tra la stipulazione di un contratto e l’emissione di un decreto ai sensi dell’art. 42 bis del DPR 327/01 (norma applicabile anche alla fattispecie in esame, contrariamente a quanto asserito nel corso della pubblica udienza da parte della difesa erariale, come la giurisprudenza ha già da tempo chiarito. Tra le tante cfr Consiglio di Stato, IV, 26 marzo 2010, n. 1762, nella quale si legge, ancorchè con riferimento all’analoga disposizione previgente, rappresentata dall’art. 43, che "La procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata "sine titulo", prevista dall’art. 43, d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma, come testualmente si ricava anche dal successivo art. 57 che, richiamando i "procedimenti in corso", ha previsto norme transitorie unicamente per individuare l’ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, mentre l’atto di acquisizione ex art. 43 è emesso "ab externo" del procedimento espropriativo e non rientra, pertanto, nell’ambito di operatività della normativa.") ad A. s.p.a., cui spetterà di regolarizzare la situazione proprietaria attraverso la costituzione del titolo idoneo alla volturazione, la quale dovrà tempestivamente fare seguito alla corresponsione del risarcimento del danno dovuto al ricorrente per la perdita della proprietà, pena il configurarsi di un danno erariale ancor più rilevante di quello derivato dalla non tempestiva conclusione del procedimento ablatorio nei termini di legge.

A tale proposito, e al fine di consentire un puntuale controllo sull’operato di A. s.p.a., si ritiene opportuno disporre la trasmissione della presente sentenza alla Procura generale presso la Corte dei Conti della Regione Lombardia.

Non può, invece, ritenersi condivisibile la quantificazione del danno subito proposta da parte ricorrente.

A tale proposito deve preliminarmente darsi per comprovato che l’occupazione ha interessato, complessivamente, 3.837 mq: la L. s.r.l. ha, infatti, dichiarato di ritenere condivisibile tale dato, corrispondente a quello utilizzato per la quantificazione dell’indennità di espropriazione avanti la commissione provinciale per le espropriazioni, mentre A. s.p.a., come già detto, non ha fornito alcun dato di riferimento.

Ciò puntualizzato, deve altresì darsi atto che i terreni interessati dall’occupazione e dalla realizzazione della strada avevano, al momento dell’avvio del procedimento, nell’anno 1997, una destinazione esclusivamente agricola. Nonostante la, solamente asserita ed auspicata da parte ricorrente, vocazione edificatoria, tali terreni hanno continuato a mantenere tale destinazione anche alla luce delle scelte operate nella redazione del PGT recentemente approvato dal Comune di Palosco.

Un tanto appare rilevante al fine della determinazione del valore venale dei terreni occupati, i quali risultano essere stati pagati, dal ricorrente, nell’anno 1989, una cifra al metro quadrato pari a 3.220 Lire A seguito di accertamento fiscale, però, il loro valore è stato quantificato in 12.000 Lire/mq.

Come chiarito dall’impresa resistente, però, tale valore corrisponde al valore medio dei terreni acquistati dal sig. S. e facenti parte di un compendio di 139.870 mq che, all’epoca della stipula del contratto (anno 1989) ricadeva per la maggior parte (fatta eccezione per 2.960 mq) in "zona industriale comprensoriale". Tale destinazione è venuta meno nel 1991 e, quindi, il valore in questione non può essere assunto a parametro per la valutazione del risarcimento del danno, nell’operare la quale non è possibile prescindere dalla destinazione urbanistica vigente al momento dell’occupazione.

Proprio in ragione di ciò appare assolutamente inaccettabile la stima di parte ricorrente che, oltre ad essere stata redatta per diversi scopi (ed in particolare la possibilità di avvalersi dell’imposta agevolata al 4 %), non ha considerato le reali potenzialità dell’area, limitandosi a sostenere che la presenza stessa della strada per la cui realizzazione è avvenuta l’occupazione determinerebbe un maggior valore, peraltro individuato senza dimostrarne alcun ancoraggio alla realtà dei luoghi e del mercato specifico. Tale stima appare del tutto disancorata dalla situazione dei luoghi e non è supportata da alcuna dimostrazione della rispondenza al mercato locale dei valori ipotizzati, tanto da renderla qualificabile come arbitraria.

In assenza di ogni principio di prova di un diverso valore attribuibile al bene, quindi, il Collegio ritiene di poter assumere a base di partenza per la quantificazione del risarcimento del danno il valore dei terreni riconosciuto dalla Commissione Provinciale Espropri di Bergamo nel giugno 1998 e cioè la somma di Euro 2,79/mq, attualizzata a 3,65 Euro/mq, come da stima della L. s.p.a. non contestata sotto lo specifico profilo da parte ricorrente, né per quanto attiene alla coltura considerata (che si deve, quindi, presumere corrispondente con quella in essere, con conseguente refluenza in termini di rispetto del principio secondo cui il valore del bene deve essere determinato tenendo conto delle specifiche caratteristiche dello stesso), né per quanto attiene all’operazione matematica di attualizzazione del valore.

In base alla normativa relativa alla quantificazione dell’indennità di espropriazione e considerato che dalle risultanze della descrizione dello stato degli immobili può presumersi che li stessi fossero coltivati, se la procedura espropriativa fosse andata a buon fine e il proprietario avesse concordato la cessione volontaria, quest’ultima sarebbe stata pari al triplo di tale valore a mq e cioè 10,95 Euro/mq.

Si deve, quindi, presumere che il valore venale dei terreni in questione non possa essere inferiore a tale somma. Si deve, però, considerare anche che, sulla base della comune esperienza maturata in materia dalla scienza estimatoria, la moltiplicazione per tre del valore agricolo medio conduce ad un valore piuttosto vicino a quello di mercato dei terreni aventi destinazione agricola (cfr, sul punto, tra le altre, Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2008, n. 3706). Ciò anche tenuto conto che, nel caso di specie, non è stato fornito alcun principio di prova, da parte ricorrente, del fatto che il terreno in questione fosse caratterizzato da specifiche peculiarità incidenti sul valore del medesimo in modo tale da differenziarlo rispetto a quello medio della zona correlato alla coltura in atto.

Peraltro, preso atto che l’estimo evidenzia come ogni stima possa ritenersi suscettibile di una variazione, in più o in meno, in misura pari al 10 % e che si è in presenza di una situazione di occupazione illegittima, questo Collegio ritiene equo stabilire il risarcimento del danno incrementando convenzionalmente il suddetto valore al metro quadro (Euro 10,95) del 20 %.

Il corrispettivo per la sottrazione della proprietà spettante al proprietario dovrà, quindi, essere determinato moltiplicando il valore di 10,95, aumentato del 20 %, per i mq occupati, pari a 3.837.

Al sig. S., quindi, dovrà essere corrisposta, non essendo stato provato l’avvenuto pagamento nemmeno di un acconto dell’indennità di espropriazione dovuta, l’intero controvalore dei terreni corrispondente ad Euro 50.418,18.

A fronte della sottrazione alla disponibilità del proprietario del terreno dovrà essere corrisposta l’indennità di occupazione legittima, commisurata all’intera durata della stessa (1800 giorni) e pari al 12 % annuo di quella che sarebbe stata l’indennità di espropriazione (pari, a seguito della rideterminazione operata dalla CPE nel 1998, a 20.719.800 Lire), così come previsto dal decreto di occupazione d’urgenza. L’eventuale quantificazione della stessa esula dalla competenza di questo Tribunale che, per ciò stesso, si limita al richiamo della previsione del legislatore, previa affermazione del diritto alla sua corresponsione.

Ciò chiarito, il Collegio ritiene, al fine del calcolo del danno subito nel periodo successivo, di avvalersi della facoltà di cui all’art. 34 comma 4, stabilendo i seguenti criteri.

Per il periodo intercorrente tra la scadenza dell’occupazione legittima e il momento in cui verrà adottato l’atto idoneo a trasferire la proprietà, dovrà essere corrisposto, a copertura del danno subito per l’illegittima occupazione, un importo pari all’interesse legale sul valore venale dei terreni alla scadenza del decreto di occupazione d’urgenza, attualizzato ogni anno. La base di calcolo e cioè il valore di mercato da cui partire per operare tale calcolo potrà essere determinata attualizzando, con riferimento ad ogni singolo anno, la somma di Euro 2,79 relativa all’anno 1998, moltiplicata per tre ed aumentata del 20 %.

Su tutte le somme così determinate (valore venale del bene quale corrispettivo dell’acquisto della proprietà, indennità di occupazione relativa ai primi 1800 giorni di occupazione legittima e risarcimento per l’illegittima sottrazione della disponibilità del terreno dalla scadenza dell’occupazione legittima alla data dell’atto traslativo della proprietà) dovranno essere altresì corrisposti gli interessi compensativi dalla data della domanda al giorno del saldo.

Le spese del giudizio debbono essere poste a carico delle due resistenti, in misura uguale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

Condanna le società resistenti, in solido, al pagamento delle somme come ivi quantificate, oltre che delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila), oltre ad IVA, C.P.A., rimborso forfetario delle spese e al rimborso del contributo unificato dal ricorrente anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Dispone la trasmissione della presente sentenza alla Procura generale presso la Corte dei Conti della Regione Lombardia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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