Cass. civ. VI – 1, Sent., 04-05-2012, n. 6839 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Perugia P.D. e G.N. proponevano domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’arto della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio civile iniziato dinanzi al Tribunale di Roma dal loro dante causa G.U. – poi deceduto nelle more – nel febbraio 1994, proseguito in appello che l’aveva definito con sentenza depositata nel luglio 2004, impugnata per cassazione ove il giudizio era da alcuni mesi pendente. Con il decreto in epigrafe indicato, la Corte d’appello di Perugia, ritenuta ragionevole, in relazione ai due gradi di giudizio, una durata complessiva di sette anni circa e ritenuto che della eccedenza di circa tre anni della durata complessiva le ricorrenti possono dolersi nella misura di due anni in relazione al minor tempo in cui esse appaiono (in difetto di precisi elementi di prova) aver assunto la qualità di parti del giudizio, ha riconosciuto loro il relativo indennizzo nell’importo di Euro 3.000. Avverso tale decreto P.D. e G.N. hanno proposto ricorso a questa Corte, cui resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

2. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

3. Con il primo motivo le ricorrenti censurano, sotto il profilo della violazione di legge (arto C.E.D.U.), la determinazione dell’indennizzo solo in relazione alla durata irragionevole e non all’intera durata del giudizio. Con gli altri tre motivi denunciano vizio di motivazione sui seguenti profili in fatto: a) la ritenuta complessità del procedimento, tale da giustificare l’estensione a sette anni del termine ragionevole di definizione di due gradi del giudizio, non è stata motivata, ed anzi è stata esclusa ai fini della detrazione del tempo necessario per predisporre l’impugnazione;

b) la Corte territoriale non ha considerato che, dai verbali di udienza in atti, risultava la costituzione in giudizio di esse ricorrenti nel giudizio presupposto in data 21 luglio 1995, ben prima dunque della data (8 aprile 1999) presunta dalla Corte stessa.

4. Il primo motivo è infondato, atteso che la Corte di merito si è attenuta al metodo di calcolo imposto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 metodo che di per se come riconosciuto dalla Corte E.D.U. (cfr. tra le altre Martinetti e Cavazzuti c/Italia 20 aprile 2010) – non viola l’art. 6 della C.E.D.U., che consente a ciascuno Stato aderente di istituire una tutela giudiziaria del diritto in questione coerente con il proprio ordinamento e le proprie tradizioni, sempre che sia assicurato l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto stesso.

5. Quanto agli altri motivi, in effetti meritano condivisione le considerazioni esposte in ricorso circa la data in cui le ricorrenti hanno assunto la qualità di parti del giudizio presupposto (21 luglio 1995, come risultante dai verbali di causa depositati in unione al ricorso introduttivo del procedimento per equa riparazione), e quindi sulla illegittima riduzione del periodo di ritardo di cui le ricorrenti sono legittimate a dolersi, che risulta in effetti pari ad anni nove circa (luglio 1995-luglio 2004) cui devono dettarsi undici mesi circa, pari al maggior spazio di tempo utilizzato dalle ricorrenti rispetto al termine fissato dall’art. 325 c.p.c. per proporre appello. Parimenti è condivisibile la censura sulla carenza di motivazione della determinazione in sette anni della durata ragionevole di due gradi di giudizio: determinazione che si discosta irragionevolmente di due anni in più dagli standards normalmente applicati dalla Corte di Strasburgo e da questa Corte, secondo i quali è ragionevole una durata di tre anni per il primo grado e di due per l’appello, salve per l’appunto le particolarità del caso in esame, delle quali però il giudice di merito deve dar conto. Tuttavia, alla cassazione sul punto del decreto impugnato ed alla conseguente nuova liquidazione dell’indennizzo (anche nel quantum, non costituente capo autonomo) le ricorrenti non hanno interesse, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex multis, n. 21840/09; n. 22869/2009; n. 1893/2010; n. 19054/2010), condivisa dal collegio, secondo la quale l’importo dell’indennizzo in Euro 750 per anno si giustifica per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento, mentre per l’ulteriore periodo deve essere applicato il parametro base di Euro 1000 per anno. Orientamento, questo, in base al quale l’indennizzo che risulterebbe liquidabile in caso di nuova valutazione sarebbe di Euro 2333,00 (per tre anni e un mese di ritardo), inferiore quindi a quello di Euro 3000 già riconosciuto alle ricorrenti dal decreto impugnato. La censura sul punto si palesa dunque inammissibile, per difetto di interesse.

6. Le ragioni della decisione giustificano la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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