Cass. civ. Sez. VI, Sent., 04-05-2012, n. 6838 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Perugia P. A. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio civile per danni da infortunio in attività nautica, instaurato (anche) nei suoi confronti nel marzo 1988 dinanzi al Tribunale di Roma, definito in appello nel novembre 2007. La Corte d’appello, ritenuta ragionevole nella specie una durata complessiva di sette anni e determinato in nove mesi il ritardo complessivamente ascrivibile alla condotta delle parti (per tre rinvii semplici da esse richiesti e per il maggior tempo, rispetto al termine di legge, utilizzato per l’impugnazione), ha riconosciuto un indennizzo di Euro 12.000 per la residua durata irragionevole di undici anni e undici mesi. Avverso tale decreto P.A. ha proposto ricorso a questa Corte, cui resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

2. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

3. Con il primo motivo si censura, sotto i profili della violazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 C.E.D.U.) nonchè della insufficienza e contraddittorietà della motivazione, la determinazione del periodo eccedente il termine ragionevole, ponendo le seguenti questioni: a) la durata complessiva del procedimento imputabile allo Stato deve calcolarsi non già sino al deposito bensì sino al passaggio in giudicato della sentenza di appello; b) la detrazione da tale durata di nove mesi è ingiustificata ed erronea; c) la determinazione in sette anni della durata ragionevole del processo presupposto in questione viola i parametri seguiti dalla Corte Europea dei diritti umani in sede di interpretazione della Convenzione, ed è insufficientemente motivata. Con il secondo motivo si censura, sotto i profili della violazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 C.E.D.U.) nonchè della omissione e contraddittorietà della motivazione, le statuizioni relative all’indennizzo, sia con riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale (con un importo di poco più di Euro 1000 per anno motivato in modo contraddittorio e illogico), sia con riferimento al danno patrimoniale subito dal ricorrente per la sottrazione di tempo, risorse ed energie alla sua ordinaria attività di avvocato, danno che la Corte territoriale ha ritenuto non provato.

4. Le questioni poste nel primo motivo sono prive di fondamento, atteso che: a) la durata del procedimento imputabile allo Stato risulta rettamente calcolata sino alla data di deposito della sentenza che ha definito il giudizio (cfr. ex multis Cass. n. 1 1307/10; n. 19631/05), non rilevando il periodo nel quale la controversia sia sottratta alla decisione del giudice, come nel caso in cui la legge attribuisce alle parti uno "spatium deliberandi" per l’impugnazione; b) la determinazione della durata ragionevole del giudizio presupposto, onde verificare la sussistenza e l’entità della violazione del diritto azionato, costituisce oggetto di una valutazione che il giudice di merito deve compiere caso per caso tenendo presenti gli elementi indicati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 anche alla luce dei criteri di determinazione applicati dalla Corte Europea e da questa Corte: criteri ai quali la Corte d’appello ha fatto riferimento, mostrando nel contempo di essere consapevole che dal parametro tendenziale di tre anni per il primo grado è consentito discostarsi, purchè in misura ragionevole e dando conto delle ragioni che lo giustifichino. E, in effetti, non merita censura l’aver ritenuto ragionevole (in base ad un apprezzamento di fatto non sindacabile nel merito in questa sede di legittimità) uno scostamento di un anno circa in più per ciascuno dei due gradi di giudizio, rispetto allo standard di cinque anni complessivi seguito normalmente in relazione a cause non complesse, in ragione dello svolgimento avuto nella specie dalla istruttoria della causa, che ha subito un’interruzione di oltre un anno a causa della sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa della Compagnia assicuratrice convenuta, ed ha comportato l’espletamento di due consulenze tecniche d’ufficio (una per ciascun grado) nonchè di prova per interrogatorio formale e testi; c) altrettanto vale per la detrazione di nove mesi dalla durata del processo effettivamente imputabile allo Stato, avendo la Corte d’appello rettamente applicato il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. ex multis n. 23323/07; n. 8287/10; n. 11307/10) secondo cui, dovendo sempre procedersi ad una valutazione sintetica e complessiva del processo anche quando esso si sia articolato in gradi e fasi, in tal caso deve dettarsi il tempo ascrivibile alla parte – e per ciò non imputabile allo Stato, quale il maggior tempo utilizzato dall’attore rispetto al termine stabilito dall’art. 325 c.p.c. per la notifica dell’atto di impugnazione, trattandosi di legittimo esercizio di una facoltà della parte che tuttavia non può ricadere sullo Stato, allo stesso modo delle richieste di semplici differimenti delle udienze fissate.

5. Patimenti infondate sono le questioni poste con il secondo motivo, atteso che: a) nella liquidazione dell’indennizzo la Corte di merito ha rispettato i criteri normalmente seguiti dalla Corte Europea, motivando non illogicamente la determinazione in misura corrispondente al criterio di base facendo riferimento alla presumibile incidenza in termini riduttivi sul patema d’animo subito dal ricorrente, di professione avvocato, della circostanza costituita dalla solidarietà dell’obbligo risarcitorio con la Compagnia assicuratrice; b) l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale conseguente alla durata irragionevole del giudizio non è riconducibile al fatto in sè della irragionevole protrazione, e pertanto incombe al ricorrente l’onere di fornire la prova rigorosa della lesione della propria sfera patrimoniale prodottasi quale conseguenza diretta ed immediata della violazione, sulla base di una normale sequenza causale (cfr. ex multis Cass. n. 1616/11; n. 5386/06): nella specie il ricorrente non lamenta l’omesso esame di elementi di prova forniti dai documenti o da altri mezzi istruttori in atti, bensì il mancato ricorso, da parte della Corte di merito, a generiche presunzioni ricavabili dalla comune esperienza, sollecitando in tal modo un riesame, non consentito in questa sede, del convincimento espresso dal giudice di merito.

6. Le spese di questo giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 865,00 per onorari, oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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