Cass. civ. Sez. VI, Sent., 04-05-2012, n. 6837 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso alla Corte d’appello di Perugia V.E. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione dell’arto della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del procedimento penale nei suoi confronti svoltosi dal 10.3.1999 al 25.5.2009, data del passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione. La Corte d’appello, ritenuta ragionevole una durata complessiva di sci anni e determinato in dodici mesi il ritardo complessivamente ascrivibile alla condotta delle parti (per due rinvii causati da astensione degli avvocati), ha riconosciuto un indennizzo di Euro 4.000 per la residua durata di tre anni e due mesi. Avverso tale decreto V.E. ha proposto ricorso a questa Corte, cui resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

2. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

3. Con i due motivi formulati la ricorrente censura rispettivamente, sotto i profili della violazione e falsa applicazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 C.E.D.U.) nonchè della insufficienza e contraddittorietà della motivazione, il computo del periodo eccedente il termine ragionevole e la liquidazione dell’indennizzo, deducendo: a) che la durata complessiva del procedimento imputabile allo Stato doveva calcolarsi a partire dal suo inizio nel 1998 e detraendo quattro, e non dodici mesi, per i due rinvii disposti a seguito delle astensioni degli avvocati; b) che la Corte territoriale ha determinato apoditticamente in sei anni il termine ragionevole entro il quale il procedimento doveva concludersi, in violazione del criterio dei tre anni normalmente adottato dalla Corte Europea; c) inoltre ha liquidato un indennizzo di Euro 1250 per anno, omettendo di considerare adeguatamente la natura penale del procedimento e la conseguente gravità del danno morale subito, che avrebbero dovuto condurre ad una liquidazione di Euro 2000 per anno.

4. Le questioni poste sono in gran parte prive di fondamento, atteso che: a) la durata del procedimento risulta rettamente calcolata dal momento in cui l’indagata ha avuto concreta notizia – con la notifica dell’invito a rendere l’interrogatorio – della pendenza del procedimento nei suoi confronti; b) la Corte territoriale ha motivato in modo adeguato e non illogico lo scostamento dal criterio standard di tre anni di durata ragionevole, evidenziando come il procedimento, svoltosi dinanzi al Tribunale ed alla Corte d’appello in fase di impugnazione avverso la sentenza del G.U.P. di assoluzione dei due imputati, abbia avuto un’istruttoria molto complessa, con l’escussione di venti testimoni e l’acquisizione di numerosi documenti, e tale apprezzamento di fatto non può essere sindacato nel merito in questa sede di legittimità; c) altrettanto vale per la liquidazione dell’indennizzo, che la Corte di merito ha effettuato rispettando i criteri normalmente seguiti dalla Corte Europea e non certo nella misura minima.

5. L’unica questione fondata è quella riguardante l’ingiustificata detrazione, dalla durata del processo imputabile allo Stato, di dodici mesi, pari a due rinvii dell’udienza disposti dal giudice a seguito di astensione degli avvocati: la Corte territoriale non ha invero considerato che anche i rinvii causati dalla parte possono essere imputati in parte all’apparato giudiziario, se e nella misura in cui la lunghezza di ciascun rinvio non risulti giustificata dalle ragioni per le quali è stato disposto, dovendo essere piuttosto ascritta ad obiettive disfunzioni ed insufficienze dell’apparato stesso (cfr. ex multis Cass. n. 11307/10; n. 9/08; n. 24356/06).

Nella specie, a tali ragioni appaiono in effetti ascrivibili i semplici differimenti, oltre una misura ragionevole di due mesi ciascuno, delle due udienze non tenute a seguito della astensione; si che l’eccedenza di otto mesi è stata illegittimamente detratta dalla durata del procedimento ascrivibile allo Stato. Tuttavia, alla cassazione sul punto del decreto impugnato ed alla conseguente nuova liquidazione dell’indennizzo (anche nel quantum, non costituente capo autonomo) la ricorrente non ha interesse, alla luce della giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis, n. 21840/09; n. 22869/2009; n. 1893/2010; n. 19054/2010), condivisa dal collegio, secondo la quale l’importo dell’indennizzo in Euro 750 per anno si giustifica per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento, mentre per l’ulteriore periodo deve essere applicato il parametro base di Euro 1000 per anno. Orientamento, questo, in base al quale l’indennizzo che risulterebbe liquidabile in caso di nuova valutazione sarebbe di Euro 3089,00 (per tre anni e dieci mesi di ritardo), inferiore quindi a quello di Euro 4000 già riconosciuto alla ricorrente dal decreto impugnato. La censura sul punto si palesa dunque inammissibile, per difetto di interesse.

6. Le ragioni della decisione giustificano la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *