Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-10-2011) 31-10-2011, n. 39295

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.D., ricorre avverso il decreto del Presidente del Tribunale di Milano, 24 settembre 2011 (che ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza proposta in relazione alla confisca disposta dal Tribunale di immobile sito in (OMISSIS), nell’ambito del procedimento n.70/09 a carico di N.G., ha dichiarato inammissibile l’istanza) deducendo vizi nella decisione nei termini che verranno ora valutati.

1.) il decreto di inammissibilità 24 febbraio 2011, impugnato.

I fatti risultano aver avuto la seguente scansione:

a) D.D. ha depositato "atto di intervento e di impugnativa" nell’ambito del procedimento di prevenzione n.11/10 RG MP, pendente innanzi alla Corte d’Appello di Milano, procedimento a sua volta avviato a seguito dell’impugnazione proposta da N. G., avverso decreto di confisca in data 14.10.2009;

b) con tale atto l’interessato ha lamentato di non essere stato chiamato – in qualità di terzo – nel procedimento di prevenzione a carico del N. e, nel merito, ha addotto – a suo dire – elementi di fatto che dimostrerebbero l’appartenenza a sè, e non al N., dell’immobile sito in (OMISSIS);

b) con ordinanza 25.01.2011, la Corte d’Appello di Milano ha disposto la trasmissione dell’atto al Tribunale di Milano, osservando che "il D. non ha partecipato al procedimento di prevenzione di primo grado, non risulta formalmente intestatario dell’appartamento del quale chiede la restituzione e non ha titolo per partecipare al procedimento d’appello, non essendo previsto un intervento volontario del terzo in questa fase processuale": ciò, in aderenza con quanto statuito dalla Corte di Cassazione, con decisione 19.05.1998 n. 3094;

c) la Corte ha così qualificato l’atto in questione come "opposizione al decreto del Tribunale" trasmettendo gli atti al Tribunale;

d) il Tribunale, premesso che l’opposizione del terzo si propone mediante incidente di esecuzione, ha ritenuto, nella presente fase, l’inammissibilità dell’incidente di esecuzione, attesa la non conseguita definitività della decisione, dato che il decreto di secondo grado è stato depositato il 10.02.2011 e risultava in allora ancora suscettibile di impugnazione (sul punto si cita Cass. Pen. Sez. 1, n.4399/1996 RV 205503, Alfieri) In proposito il provvedimento impugnato (che richiama anche Cass. pen. sez. 18 marzo 2008 n. 16709 Rv.) ha ulteriormente rilevato che l’ammissione dell’incidente di esecuzione prima della definitiva conclusione del procedimento principale creerebbe la possibilità di decisioni fra loro insanabilmente contrastanti: confisca definitiva nel procedimento di prevenzione, sul presupposto dell’appartenenza del bene al N. e revoca della confisca nell’incidente di esecuzione sul presupposto dell’appartenenza del bene medesimo al D., oppure, viceversa, revoca del sequestro per la ritenuta riferibilità del bene al D. e rigetto della domanda proposta con incidente di esecuzione.

2.) la richiesta di rigetto del Procuratore generale presso questa Corte.

Il Procuratore generale nel concludere per il "rigetto" del ricorso, ribadisce che l’opposizione del terzo si propone mediante incidente di esecuzione, in conformità all’elaborazione giurisprudenziale che si è formata sul punto, ed argomenta peraltro "l’inammissibilità" del ricorso per essere il provvedimento privo del carattere di definitività. 3) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

Il difensore nel suo ricorso premette che la difesa non ha inteso promuovere nè ora sta promovendo un procedimento di incidente di esecuzione.

Rileva l’impugnazione che la questione di diritto è se il terzo ( D.D., secondo il difensore terzo legittimato a prendere parte al rito di prevenzione promosso contro N. G. e, sempre secondo l’assunto difensivo, irregolarmente non chiamato a parteciparvi dal Tribunale) possa svolgere le proprie difese non appena abbia "omnimodo" avuto notizia della esistenza di detto procedimento, ovvero debba attendere – irragionevolmente inerte – che il procedimento prosegua in sua assenza e con suo evidente danno ed attendere, sempre restando inerte, che si cristallizzi a suo danno un giudicato ablativo da aggredire, semmai, con un incidente di esecuzione.

La Difesa valorizza in proposito due riferimenti normativi:

a) la L. n. 575 del 1965, art. 2, comma 5, che riconosce al terzo proprietario del bene oggetto di procedimento di prevenzione il diritto di partecipare al procedimento e impone (non facoltizza) al Tribunale il dovere di chiamare il terzo a prendere parte al procedimento;

b) la L. n. 575 del 1965, art. 3 ter, comma 1 che impone ancora all’Ufficio procedente, che il provvedimento (tra gli altri ivi elencati) di confisca sia comunicato "senza indugio" oltre che al P.M. altresì "agli interessati" ("interessati" e non "parti del procedimento"): da ciò – per il ricorrente – la conclusione che tra dette persone deve essere ricompreso il reale proprietario del bene confiscato, pur se "terzo" rispetto al procedimento di prevenzione, perchè diverso dal proposto; il successivo art. 3 ter, comma 2, consequenzialmente riconoscerebbe "agli interessati diritto di impugnativa avverso i provvedimenti (tra cui ovviamente è ricompreso il decreto di confisca) emessi dal Tribunale a norma del precedente art. 3 ter cit., comma 1.

Da ciò il vizio di violazione di legge dedotto con l’impugnazione.

Il motivo è per più profili inammissibile.

Invero le due norme, suggestivamente citate a sostegno degli assunti difensivi, non sono rilevanti.

La prima riguarda infatti "il terzo proprietario", da intendersi peraltro nel senso di persona "formalmente titolare del diritto di proprietà del bene" e non di persona che "accampa" sul bene un diritto non formalmente documentato: nella specie non va dimenticato che il ricorrente non risulta formalmente intestatario del bene di cui chiede la restituzione e di cui afferma la concreta disponibilità.

La seconda norma fa sì riferimento non alle "parti" ma agli "interessati", ma per "interessati" vanno intesi soltanto coloro che sono portatori di uno specifico tutelabile interesse, che si manifesti con una connotazione di immediata evidenza e percepibilità, altrimenti chiunque, prospettando appunto "interesse", potrebbe dilatare nel tempo – con interventi, richieste, eccetera, l’iter del procedimento, appesantendone il corso, al di fuori della funzionalità voluta dal legislatore.

L’affermazione difensiva, secondo la quale il tribunale procedente contro N.G., aveva "notizia certa e documentale" che l’immobile (prima sequestrato e poi) confiscato fosse di proprietà di D.D., e che lo stesso aveva fornito la prova della proprietà che rivendicava, risulta in questa sede formulata in modo inammissibile, in palese violazione della regola della autosufficienza del ricorso e della specificità e puntualizzazione dei motivi di doglianza critica, che si intendono proporre alla valutazione del giudice di legittimità.

Sul punto infatti il ricorso ha testualmente asserito: " D. D. ha, invero ampiamente, chiarito mediante il citato latto di intervento e impugnativa e documenti allo stesso allegati, ai quali integralmente si rinvia, non soltanto di essere l’effettivo e reale unico proprietario dell’immobile confiscato, sito in via (OMISSIS), ma di averne altresì l’esclusiva disponibilità".

Il ricorso, quindi così formulato non risulta autosufficiente in punto di prova della "proprietà e disponibilità", nel senso che non risponde agli oneri: di contenere la specifica indicazione del materiale probatorio richiamato, di dare prova della veridicità di detto dato o della sua insussistenza, di indicare l’elemento fattuale, il dato probatorio o l’atto processuale da cui discende l’incompatibilità con la ricostruzione adottata, di esporre le ragioni per cui detto atto inficia o compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’interna coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità (cfr. ex plurimis: Sez. 4, 28135/2007).

Senza dimenticare che il detto principio di autosufficienza del ricorso richiede che, per le questioni dedotte in riferimento agli atti del processo, siano riportati i punti di tali atti investiti dal gravame e sia indicata la rilevanza della questione, (cfr. in termini: Sez. 1, Sentenza n.47499/07, Rv.238333).

In buona sostanza va recepita ed applicata, anche in sede penale, la regola della cosiddetta "autosufficienza" dei ricorso costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando – come nella specie – si lamenti l’omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi, dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il "fumus" del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr. ex plurimis: Cass. Pen. 37368/07 Rv. 237302).

Tanto invece non è stato realizzato nel ricorso in questione, a prescindere dalle questioni in diritto formulate in punto di conflitto tra i principi dell’intangibilità del giudicato e della tutela delle ragioni del terzo pretermesso dal procedimento e danneggiato dalla decisione ablativa, qui comunque ribadendosi la regola che, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, il terzo interessato, che non abbia potuto esplicare le sue difese nel procedimento di prevenzione in conseguenza dell’omessa citazione, ha facoltà di promuovere incidente di esecuzione chiedendo la revoca della confisca (Cass. pen. sez. 1, 16806/2010 Rv. 247072).

E’ noto invero che il procedimento di prevenzione ha istituzionalmente i suoi necessari referenti nel pubblico ministero e nel proposto, con la conseguenza che l’omessa citazione del terzo, il quale sostenga di avere la disponibilità e la proprietà del bene, sia che si tratti di una mancata partecipazione sin dall’inizio del procedimento o di una mancata partecipazione solo, ad alcune fasi del medesimo, non ne comporta la nullità e non invalida l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ferma restando la facoltà dell’estraneo di esplicare le sue difese mediante incidente di esecuzione.

Il ricorso quindi va dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *