Cass. civ. Sez. VI, Sent., 04-05-2012, n. 6831 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che P.C. ricorre per cassazione nei confronti del decreto della Corte d’appello di Perugia, in epigrafe indicato, che, in parziale accoglimento della sua domanda, ha liquidato la somma di Euro 450,00 a titolo di equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del giudizio civile instaurato nel 2001 avanti al Tribunale di Roma e proseguito avanti alla Corte d’appello di Roma, ove era ancora pendente alla data (11.5.2009) in cui è stata proposta la domanda;

che il Ministero della giustizia resiste con controricorso;

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

Ritenuto che con l’unico motivo si censura il decreto impugnato, sotto il profilo della violazione di legge ( L. n. 89 del 2001, art. 2) e del vizio di motivazione, nella parte in cui ha determinato la durata complessiva del giudizio, considerando quale dies a quo la data della prima udienza dinanzi al Tribunale ed alla Corte d’appello, ed omettendo di considerare la presumibile durata futura del processo d’appello;

che le censure sono fondate, nei limiti di seguito precisati;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. ex multis n. 23323/07; n. 8287/10; n. 11307/10), in tema di ragionevole durata dei giudizi introdotti con atto di citazione il "dies a quo" in relazione al quale valutare la durata del processo è costituito dal momento in cui si notifica l’atto di citazione; inoltre, pur essendo possibile individuare degli standards di durata media ragionevole per ogni fase o grado del processo, deve sempre procedersi ad una valutazione sintetica e complessiva, anche quando esso si sia articolato in gradi e fasi: in tal caso, però, deve dettarsi il tempo ascrivibile alla parte – e per ciò non imputabile allo Stato -, quale il maggior tempo utilizzato dall’attore rispetto al termine stabilito dall’art. 163 bis c.p.c. nella fissazione della data dell’udienza di prima comparizione, ovvero per la notifica dell’atto di impugnazione oltre il termine stabilito dall’art. 325 c.p.c., in entrambe le ipotesi trattandosi di legittimo esercizio di una facoltà, che tuttavia non può ricadere sullo Stato;

che, applicando tali orientamenti al caso in esame, si constata che la durata complessiva del processo, nei due gradi in cui si è svolto, dalla notifica della citazione in primo grado (22.3.2001) alla data (11.5.2009) di deposito del ricorso per equa riparazione (non potendo considerarsi eventuali sviluppi futuri), è di otto anni e due mesi circa; che da tale durata complessiva devono detrarsi dieci mesi, pari al maggior tempo utilizzato dall’attore per l’impugnazione rispetto al termine stabilito dall’art. 325 c.p.c.;

che, secondo tale calcolo, la durata del processo di cui il resistente deve rispondere è di complessivi sette anni e quattro mesi, eccedente di due anni e quattro mesi il termine ritenuto dalla stessa Corte territoriale ragionevole in relazione ai due gradi di giudizio;

che il ricorso va dunque accolto nei limiti di cui in motivazione;

che non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito;

che va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto superamento del termine ragionevole, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo;

che, pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento in favore della parte ricorrente di Euro 1750,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di due anni e quattro mesi di irragionevole durata;

che su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della domanda (11.5.2009), in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni;

che le spese di entrambi i gradi – liquidate come da dispositivo tenuto conto dell’importo riconosciuto – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 1750,00 con interessi legali a decorrere dalla data della domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che liquida, quanto al giudizio di merito, in complessivi Euro 806,00 (di cui 445 per onorari e 311 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, in complessivi Euro 595,00 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre, in ambo i casi, alle spese generali e agli accessori di legge.

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