Cass. civ. Sez. VI, Sent., 04-05-2012, n. 6826 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che D.F.F., T.E. e T. G. ricorrono per cassazione nei confronti del decreto della Corte d’appello di Perugia, in epigrafe indicato, che ha rigettato, per difetto di concreto interesse alla decisione, la loro domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del giudizio in materia previdenziale instaurato quali eredi di Ta.Gi. nei confronti dell’INPS nel settembre 2000 avanti al Pretore di Roma – Sez. Lavoro e proseguito avanti alla Corte d’appello di Roma, che l’ha definito con sentenza del 26 settembre 2006;

che il Ministero della giustizia resiste con controricorso;

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

Ritenuto che con l’unico motivo si censura il decreto impugnato, in rubrica sotto il profilo della violazione di legge (art. 6, p.1 CEDU) ma nella esposizione anche sotto il profilo del vizio di motivazione, nella parte in cui ha ritenuto che i ricorrenti, essendo stati soddisfatti nel loro credito dall’INPS sin dal 2000, non avevano subito alcun pregiudizio dal protrarsi del giudizio, che avevano mantenuto in piedi anche in sede di gravame senza averne alcun interesse, come la Corte d’appello aveva accertato; che i ricorrenti, premesso che la soccombenza nel giudizio presupposto non rileva ai fini della spettanza dell’equa riparazione per la protrazione del giudizio nei due gradi oltre il termine ragionevole di cinque anni, lamentano che la Corte di merito non abbia considerato come dagli atti di causa risulti che il pagamento da parte dell’INPS era avvenuto dopo il deposito del ricorso di primo grado e che, nonostante ciò, ad esse non erano state rimborsate le spese legali, ragione per cui la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda con irripetibilità delle spese, era stata gravata con richiesta di declaratoria della cessazione della materia del contendere e liquidazione delle spese di lite alla stregua del principio della soccombenza virtuale;

che il ricorso è fondato;

che, in primo luogo, l’orientamento consolidato di questa Corte – in conformità con quello della Corte EDU – è nel senso che la soccombenza nel giudizio presupposto della parte che domanda l’equa riparazione non costituisce ragione sufficiente per escludere la presunzione di pregiudizio non patrimoniale conseguente alla durata irragionevole del giudizio stesso; in secondo luogo, la Corte di merito, ritenendo che la ricezione del pagamento della sola sorte dopo il deposito del ricorso al giudice facesse venir meno nelle ricorrenti l’interesse al proseguimento dell’azione giudiziale onde ottenere il rimborso delle spese legali, ha esposto motivazione insufficiente per ritenere che il protrarsi del giudizio oltre il termine ragionevole non abbia causato alcun pregiudizio alle odierne ricorrenti;

che il ricorso va dunque accolto nei limiti di cui in motivazione;

che non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito;

che va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto superamento del termine ragionevole, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo;

che, pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento in favore di ciascuna delle ricorrenti di Euro 750,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di un anno di irragionevole durata, oltre agli interessi legali dalla data della domanda (4.2.2008);

che le spese di entrambi i gradi debbono compensarsi tra le parti per la metà (tenuto conto del limitato accoglimento della pretesa esercitata), e la residua quota della metà – liquidata come da dispositivo tenuto conto dell’importo riconosciuto – deve essere posta a carico dell’Amministrazione soccombente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere a ciascuna delle ricorrenti la somma di Euro 750,00 con interessi legali a decorrere dalla data della domanda; compensa tra le parti, per metà, le spese di entrambi i gradi e condanna il Ministero al pagamento della residua quota della metà che liquida, quanto al giudizio di merito, in complessivi Euro 387,50 (di cui Euro 222,50 per onorari ed Euro 140,00 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, nell’importo complessivo di Euro 262,50 (di cui Euro 50 per esborsi), oltre, in ambo i casi, alle spese generali e agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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