Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-10-2011) 31-10-2011, n. 39277

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

N.A. ricorre in cassazione avverso l’ordinanza, in data 20.04.2011, del Tribunale del Riesame di Firenze di rigetto del gravame dal medesimo proposto avverso l’ordinanza della Corte d’Appello dello stesso capoluogo del 18.02.2011, con la quale veniva dichiarato sospeso per 45 giorni il decorso dei termini di durata della custodia cautelare in carcere.

Con un primo motivo si denuncia vizio di motivazione. Si premette che la Corte d’Appello, con ordinanza del 18.02.2011, sospendeva i termini di durata della custodia cautelare per 45 giorni affermando che, avendo il giudice di primo grado fissato in giorni 90 i termini per il deposito della motivazione della sentenza e non avendo provveduto il medesimo a norma dell’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. e), la sospensione poteva essere disposta dal giudice del gravame.

Il Tribunale del Riesame con l’impugnata ordinanza, oggetto dell’odierno ricorso, rigettava l’impugnazione sostenendo semplicemente che la sospensione fosse stata disposta in modo legittimo e che trattasi di sospensione obbligatoria che prescinde da valutazioni discrezionali. Tale motivazione viene ritenuta del tutto carente. Essa non poteva consistere nella semplice indicazione di una delle circostanze di cui alle lettere a), b) o c) dell’art. 304 c.p.p., comma 1, in quanto la presenza di una delle dette circostanze costituisce solo il presupposto di fatto necessario all’adozione del provvedimento, ma non sufficiente a giustificare l’adozione dello stesso ed a permettere all’imputato una valutazione circa la sua fondatezza e legittimità. Del resto la forma dell’ordinanza richiesta dal legislatore implica che il provvedimento deve essere motivato.

Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento del diritto al contraddittorio nell’assunzione dell’ordinanza con la quale si sono sospesi i termini di custodia cautelare. La necessità del contraddittorio va estesa al caso in cui la sospensione dei termini di custodia cautelare sia disposta nel caso di cui all’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. d), esistendo sostanziale analogia tra la valutazione di particolare complessità della motivazione e quella concernente la particolare complessità del giudizio che legittima la sospensione durante il tempo in cui si tengono le udienze ex art. 304 c.p.p., comma 2, in entrambi i casi la sospensione presuppone una valutazione che non può essere discrezionale.

I motivi esposti sono manifestamente infondati, sicchè il ricorso va dichiarato inammissibile.

Pienamente condivisibile è la motivazione del Tribunale del riesame in ordine alla prima censura in quanto aderente al dato normativo (V. Sez. 6, Sentenza n. 47803 del 17/11/2003 Cc.; Rv. 228445; Sez. 4, Sentenza n. 15145 del 04/04/2006 Cc.; Rv. 233966;) ed in linea con l’indirizzo più recente di questa Corte di legittimità, peraltro puntualmente richiamato dai giudici del riesame, in tema di corretta lettura della natura e funzione del provvedimento di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare ex art. 304 c.p.p., materia da tempo non immune da contrasti giurisprudenziali e dottrinari, anche con spunti di caratteri implicanti questioni di legittimità costituzionale. Giova, quindi, ribadire in questa sede un principio di diritto che, oltre ad essere conforme alla stessa lettera della legge, ne coglie anche il significato e la funzione in termini sostanziali e processuali, ferma restando, su tutto, la garanzia massima che il legislatore ha, in ogni caso, assicurato allo status libertatis del cittadino attraverso la "valvola" di chiusura ad ogni abnorme ed illegittimo ricorso a tale sospensione, rappresentata dall’illuminante comma 6 della norma citata.

Ciò posto, va ribadito il principio, peraltro intuibile dallo stesso tenore letterale dell’art. 304 c.p.p., comma 1, ("i termini previsti dall’art. 303 c.p.p., sono sospesi, con ordinanza …), secondo cui tale ordinanza ha natura meramente dichiarativa ed automatica, in concorso di taluni casi tassativamente enunciati dalla norma, tra cui, per quel che qui interessa, quello tracciato dalla lett. c), in relazione alla pendenza dei termini previsti ex art. 544 c.p.p., commi 2 e 3, nel giudizio abbreviato. Infatti, detta sospensione non implica affatto una valutazione discrezionale, ancorata com’è ad un fatto oggettivo quale il dato temporale attinente la durata della redazione dei motivi della sentenza, sicchè, ove di essa non si sia fatto richiamo per mera omissione formale nel dispositivo letto in udienza da parte del giudice di I grado, ben può (e deve) il giudice dell’impugnazione, non appena pervenutigli gli atti ex art. 590 c.p.p. in combinato disposto con l’art. 91 disp. att. c.p.p., provvedervi, non essendo affatto richiesta una coincidenza "fisico- processuale" tra il giudice che ha emesso la sentenza e quello dell’impugnazione, ove il primo non abbia formalmente provveduto alla declaratoria di sospensione "automatica" anzi cennata. E’ ovvio che il limite a tanto è e deve essere quello di conformarsi al tempo indicato dal decidente ex art. 544 c.p.p., commi 2 e 3, senza poterlo "superare", ben potendo, invece, risultare più breve, come nella specie (gg. 45 in luogo dei 90 disposti). La conferma di tale principio, del resto, va colta dalle puntuali osservazioni svolte dai giudici del riesame quanto al fatto che, in ogni caso, la sospensione in parola, investe ed interessa non già e solo il giudizio di 1^ grado, ma soprattutto quello dell’impugnazione, così chiamando in causa "in prima linea" ed utilitaristicamente proprio il giudice dell’impugnazione, non appena a questi gli atti siano stati trasmessi ex art. 590 c.p.p. in combinato disposto con l’art. 91 disp. att. c.p.p. che significativamente limita la cognizione del giudice di 1^ grado fino a che gli atti non siano stati trasmessi al giudice dell’impugnazione (come nel caso in specie), il quale diventa, così, competente in ordine ai provvedimenti concernenti le misure cautelari. In conclusione, dunque, alcuna illegittimità e tanto meno abnormità è dato cogliere nell’ordinanza della Corte di Appello fiorentina appellata e confermata dai giudici del riesame con l’ordinanza oggi impugnata. Il fatto che "formalmente" detta sospensione sia stata dichiarata solo successivamente alla lettura del dispositivo della sentenza di 1^ grado e non dal giudice competente a tale giudizio, non rileva affatto ai fini della operatività in concreto del provvedimento, una volta che questo sia stato opportunamente e "formalmente" espresso dal giudice dell’impugnazione, investito di tale potere a seguito della trasmissione degli atti e stante il cennato carattere dichiarativo- automatico del provvedimento.

Resta in tal modo superata la pur acuta questione prospettata dalla difesa tra il concetto di complessità della stesura della sentenza e complessità del giudizio in relazione al rapporto di "continenza" tra le due complessità, proprio per il carattere di automatismo dichiarativo del provvedimento di sospensione in parola, ben diverso essendo il quadro interpretativo circa la natura di quello di cui all’art. 304 c.p.p., comma 2, senz’altro attinente all’esercizio di un potere discrezionale riservato al solo giudice procedente, come è dato rilevare anche dalla lettura della legge ("i termini previsti dall’art. 303 c.p.p. possono essere sospesi … su richiesta del P.M. (art. cit., comma 3)".

Quanto al secondo motivo questa Corte ha costantemente affermato che l’ordinanza con la quale venga disposta, ai sensi dell’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), la sospensione dei termini di durata della custodia cautelare per il tempo di redazione della sentenza non necessita, per la sua adozione, che venga osservato il principio del contraddittorio, atteso che trattasi di un caso di sospensione "ex lege" e che le parti non potrebbero in alcun modo interferire sulla determinazione del tempo richiesto per detta redazione, essendo questa rimessa alla esclusiva valutazione del giudice, non sindacabile nè modificabile neppure da parte del giudice superiore (da ultimo V. S.U. sentenza n. 27361 del 31/03/2011 Cc.; Rv. 249969).

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
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