Cass. civ. Sez. VI, Sent., 04-05-2012, n. 6823 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che R.R. ricorre per cassazione nei confronti del decreto della Corte d’appello di Perugia, in epigrafe indicato, che ha rigettato la sua domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del giudizio civile. instaurato nel settembre 2001 avanti al Tribunale di Roma e proseguito avanti alla Corte d’appello di Roma, che l’ha definito con sentenza del 10 dicembre 2007;

che il Ministero della giustizia non ha svolto difese;

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

Ritenuto che con l’unico motivo si censura il decreto impugnato, sotto il profilo della violazione di legge ( art. 163 c.p.c. e L. n. 89 del 2001), nella parte in cui, nel calcolo della durata del processo, ha considerato quale dies a quo la data della prima udienza dinanzi al Tribunale ed alla Corte d’appello, ed ha escluso dal calcolo il periodo di tempo utilizzato per l’impugnazione;

che le censure sono fondate, nei limiti di seguito precisati;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. ex multis n. 23323/07; n. 8287/10; n. 11307/10), in tema di ragionevole durata dei giudizi introdotti con atto di citazione il "dies a quo" in relazione al quale valutare la durata del processo è costituito dal momento in cui si notifica l’atto di citazione; inoltre, pur essendo possibile individuare degli standards di durata media ragionevole per ogni fase o grado del processo, deve sempre procedersi ad una valutazione sintetica e complessiva, anche quando esso si sia articolato in gradi e fasi: in tal caso, però, deve dettarsi il tempo ascrivibile alla parte – e per ciò non imputabile allo Stato -, quale il maggior tempo utilizzato dall’attore rispetto al termine stabilito dall’art. 163 bis c.p.c. nella fissazione della data dell’udienza di prima comparizione, ovvero per la notifica dell’atto di impugnazione oltre il termine stabilito dall’art. 325 c.p.c., in entrambe le ipotesi trattandosi di legittimo esercizio di una facoltà che tuttavia non può ricadere sullo Stato;

che, applicando tali orientamenti al caso in esame, si constata che la durata complessiva del processo, nei due gradi in cui si è svolto, dalla notifica della citazione in primo grado (18.9.2001) al deposito della sentenza di appello (10.12.2007), è di sei anni e tre mesi circa; che da tale durata complessiva devono detrarsi sei mesi, pari al maggior tempo utilizzato dall’attore rispetto al termine stabilito dall’art. 163 bis c.p.c. nella fissazione della data dell’udienza di prima comparizione (28.5.2002), essendo invece la notifica dell’appello avvenuta nel termine breve;

che, secondo tale calcolo, la durata del processo di cui il resistente deve rispondere è di complessivi cinque anni e nove mesi, eccedente di nove mesi il termine ritenuto ragionevole in relazione ai due gradi di giudizio;

che il ricorso va dunque accolto nei limiti di cui in motivazione;

che non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito;

che va fatta applicazione della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840), a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere di Euro 750 per anno per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole, in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto superamento del termine ragionevole, mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere richiamato il parametro di Euro 1.000 per ciascun anno di ritardo;

che, pertanto, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento in favore della parte ricorrente di Euro 562,50 a titolo di equo indennizzo per il periodo di nove mesi di irragionevole durata;

che su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla data della domanda (2.3.2009), in conformità ai parametri ormai consolidati ai quali questa Corte si attiene nell’operare siffatte liquidazioni;

che le spese di entrambi i gradi – liquidate come da dispositivo tenuto conto dell’importo riconosciuto – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a corrispondere alla ricorrente la somma di Euro 562,50, con interessi legali a decorrere dalla data della domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che liquida, quanto al giudizio di merito, in complessivi Euro 775,00 (di cui Euro 445 per onorari ed Euro 280 per diritti), e, quanto al giudizio di legittimità, nell’importo complessivo di Euro 330,00 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre, in ambo i casi, alle spese generali e agli accessorì di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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