Cass. civ. Sez. VI, Sent., 04-05-2012, n. 6822 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.G., B.S. e M.N. hanno proposto, ai sensi della L. n. 89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di equa riparazione per violazione del termine ragionevole ex lege n. 89 del 2001, introdotto dinnanzi alla Corte d’appello di Roma con ricorso depositato il 13 aprile 2005, concluso con decreto depositato il 7 febbraio 2006 e definito, a seguito di ricorso per cassazione notificato il 23 marzo 2007, con sentenza depositata il 16 ottobre 2009.

La Corte territoriale ha rigettato la domanda, rilevando che il giudizio di equa riparazione, avendo avuto una durata complessiva di circa tre anni e sei mesi, detratto il lasso di tempo superiore ad un mese occorso per la proposizione del ricorso per cassazione, aveva avuto una durata di tre anni e otto mesi, sicchè, tenuto anche conto della necessità di valutare molteplici elementi, doveva escludersi l’intervenuta violazione del termine di ragionevole durata del procedimento, determinata considerando ragionevole per il giudizio di merito una durata da due a quattro anni.

Per la cassazione di questo decreto F.G., B. S. e M.N. hanno proposto ricorso sulla base di due motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’intimata Amministrazione.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso le ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 degli artt. 6, 13 e 41 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo del principio di sussidiarietà, di cui all’art. 35 della medesima convenzione, nonchè difetto di motivazione su punti decisivi della controversia.

La Corte d’appello, sostengono le ricorrenti, sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge per avere affermato, peraltro senza alcuna specifica motivazione al riguardo, che la durata di una controversia avente ad oggetto l’accertamento della irragionevole durata di altro giudizio dovrebbe essere valutata alla stregua degli stessi parametri utilizzabili per la determinazione della durata ragionevole del processo presupposto e che quindi sarebbe irragionevole un giudizio che si protragga per oltre tre anni (due anni per il giudizio di merito; un anno per il giudizio di legittimità). La erroneità di tale impostazione deriverebbe da quanto affermato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in alcune pronunce, dalle quali emerge che deve considerarsi eccessiva la durata di undici mesi per un giudizio sulla ragionevole durata svoltosi in unico grado, mentre potrebbe ritenersi ancora ragionevole una durata di quattordici mesi per un giudizio svoltosi in due gradi.

La Corte d’appello avrebbe poi errato nell’espungere il termine intercorso per la proposizione della impugnazione.

Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono ulteriore violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 degli artt. 6, 13 e 41 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, nonchè contraddittorietà o illogicità della motivazione, dolendosi in particolare dell’apprezzamento della Corte d’appello sulla determinazione della ragionevole durata del procedimento di equa riparazione, ritenuto di non semplice soluzione sulla base di elementi assolutamente non significativi della complessità del procedimento, coincidendo gli stessi con la stessa causa petendi.

Il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è fondato.

Ai fini della individuazione di quale sia la ragionevole durata di un giudizio di equa riparazione, che si sia svolto dinnanzi alla Corte d’appello e in sede di impugnazione din-nanzi a questa Corte, occorre procedere alla ricognizione della giurisprudenza della Corte Europea sul punto.

Nella sentenza 29 marzo 2006 della Grande Camera, nella causa Cocchiarella contro Italia, si è affermato che "il periodo di quattro mesi previsto dalla Legge Pinto soddisfa il requisito di rapidità necessario perchè un rimedio sia effettivo. L’unico ostacolo a ciò può sorgere dai ricorsi per cassazione per i quali non è previsto un termine massimo per l’emissione della decisione.

Nel caso di specie, la fase giudiziaria è durata dal 3 ottobre 2001 al 6 maggio 2002, cioè sette mesi, che, pur eccedendo il termine previsto dalla legge, sono ancora ragionevoli" (par. 99).

Nella successiva decisione della Seconda Sezione 31 marzo 2009, causa Simaldone contro Italia (par. 29), si è invece ritenuta eccessiva una durata di un giudizio "Pinto", svoltosi in un solo grado dinnanzi alla Corte d’appello e protrattosi per undici mesi.

Nel caso deciso dalla Seconda Sezione il 22 ottobre 2010, causa Belperio e Ciarmoli contro Italia, dopo aver dato atto del contenuto della sentenza Cocchiarella, si è ulteriormente precisato che la durata di un giudizio "Pinto" davanti alla Corte d’appello, inclusa la fase di esecuzione, salvo circostanze eccezionali, non deve superare un anno e sei mesi.

Da ultimo, nella decisione 27 settembre 2011 della Seconda Sezione, causa CE.DI.SA. Fortore s.n.c. Diagnostica Medica Chirurgica contro Italia, la Corte ha ritenuto che, in linea di principio, per due gradi di giudizio, la durata di un procedimento "Pinto" non debba essere, salvo circostanze eccezionali, superiore a due anni.

Nella giurisprudenza di questa Corte, si è invece ritenuto che la ragionevole durata del giudizio di equa riparazione previsto e disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 vada determinata in mesi quattro dalla data del deposito del ricorso, coerentemente alla indicazione chiaramente desumibile dall’art. 3, comma 6, della medesima Legge (Cass. n. 8287 del 2010).

Il Collegio ritiene che a tale orientamento non possa essere data continuità e che, rimandandosi alle singole fattispecie la valutazione della durata ragionevole di una procedura "Pinto" che si svolga solo dinnanzi alla Corte d’appello, ove, come nel caso di specie, venga in rilievo un giudizio "Pinto" svoltosi anche dinnanzi alla Corte di cassazione, la durata complessiva dei due gradi debba essere ritenuta ragionevole ove non ecceda il termine di due anni, ritenendosi tale termine pienamente compatibile con le indicazioni desumibili dagli ultimi approdi della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo e rispondente sia alla natura meramente sollecitatoria del termine di quattro mesi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 6, sia della durata ragionevole del giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di compressione oltre il limite più volte ritenuto ragionevole di un anno.

Orbene, tenuto conto che, nel caso di specie, il ricorso è stato depositato presso la Corte d’appello di Roma il 13 aprile 2005; che l’unico grado di giudizio di merito si è concluso con decreto depositato il 7 febbraio 2006; che il giudizio di cassazione è stato introdotto con ricorso notificato il 23 marzo 2007 ed è terminato con sentenza depositata il 16 ottobre 2009, la durata complessiva del procedimento è stata di circa quattro anni e sei mesi. Detratto il termine ragionevole, stimato in due anni, nonchè il termine di circa undici mesi intercorso tra il deposito del decreto e la proposizione della impugnazione, ulteriore a quello legislativamente previsto per il ricorso per cassazione (Cass. n. 8287 del 2010, cit.), la durata non ragionevole risulta essere stata di circa due anni e sette mesi.

Le argomentazioni addotte dalla Corte d’appello a fondamento della reiezione della domanda, con specifico riferimento ai molteplici accertamenti devoluti al giudice della equa riparazione (determinazione della durata ragionevole, calcolo dell’indennizzo e degli interessi, liquidazione diritti e onorari), come esattamente rilevato dalle ricorrenti, non appaiono poi idonee a giustificare la necessità di un tempo maggiore di quello prima indicato per la definizione del procedimento.

Il ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato.

L’accoglimento del motivo comporta la cassazione del decreto impugnato, cui segue, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ..

Alla luce dell’accertata irragionevole durata del giudizio, a ciascuna delle ricorrenti spetta un indennizzo che va liquidato sulla base di Euro 750,00 per anno, e quindi in complessivi Euro 1.187,50, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo.

Alle ricorrenti compete altresì il rimborso delle spese dell’intero giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, con la precisazione che sulle somme dovute a titolo di onorari – Euro 445 per il giudizio di merito; Euro 425,00 per il giudizio di cassazione – si applica, ai sensi del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 4, che lo consente sino al 20%, un aumento del 10% per ciascuna delle parti ulteriori rispetto alla prima.

Le spese devono essere distratte in favore del difensore dei ricorrente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di ciascuna delle ricorrenti, della somma di Euro 1.187,50, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo; condanna il Ministero alla rifusione delle spese dell’intero giudizio che liquida, per il giudizio di merito, in Euro 864,00, di cui Euro 50 per esborsi, 280 per diritti e 534 per onorari, e, per il giudizio di legittimità, in Euro 694, di cui Euro 594 per onorario, oltre alle spese generali e agli accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese in favore del difensore antistatario.

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