Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-10-2011) 31-10-2011, n. 39267

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.O. e H.T. ricorrono in Cassazione avverso la sentenza, in data 23.02.2010, della Corte d’Appello di Bologna di conferma della sentenza di condanna emessa nei loro confronti dal GUP presso il Tribunale di Ravenna il 28.05.2009 in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Il B., con un primo motivo, denuncia vizio di motivazione per non avere la Corte d’Appello fornito una motivazione idonea circa la mancata assoluzione dal reato ascritto. L’imputato, si deduce, è stato condannato in base a supposizioni prive di riscontro probatorio, l’asserzione di colpevolezza è fondata quasi esclusivamente sulle dichiarazioni dei presunti acquirenti della sostanza stupefacente. Tra questi, il C. ha dichiarato di non aver riconosciuto il B. quale cedente della sostanza.

Si eccepisce che il GUP e quindi anche la Corte dei merito, si sono convinti della responsabilità dell’imputato sulla base delle sommarie informazioni testimoniali acquisite dalla P.G. "documentazione il cui utilizzo è vietato, a norma dell’art. 350 c.p.p., poichè le testimonianze sono state acquisite, in assenza di difensore, requisito necessario per poterle, successivamente, adoperare".

Con un secondo motivo si denuncia altro vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche concesse.

Con un terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al settimo comma del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

Con un quarto motivo si denuncia carenza di motivazione in ordine alla quantificazione della pena.

Il H. ricorre, preliminarmente, avverso l’ordinanza dibattimentale con cui la Corte d’Appello ha rigettato la richiesta del difensore di consentire all’imputato, detenuto agli arresti domiciliari, di presenziare all’udienza camerale. La Corte ha rigettato la richiesta in quanto, trattandosi di procedimento camerale, non risultava agli atti la precedente richiesta del ricorrente di partecipare all’udienza.

La Corte, si adduce, trascura di considerare che in atti era allegata specifica richiesta, e per altro, il difensore aveva richiesto l’autorizzazione per l’imputato a poter presenziare all’udienza eventualmente libero, senza servizio di scorta. Tale richiesta non poteva essere ignorata.

Con un secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità penale del ricorrente essendosi la Corte riportata alla sentenza di primo grado senza procedere ad alcun vaglio critico della stessa alla luce dei motivi di appello. Si eccepisce un’erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p. in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie, con riferimento alle dichiarazioni di M.M. e B.M., tra esse contrastanti.

Altro vizio di motivazione viene esposto in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Motivi della decisione

Va preliminarmente affrontata la censura in rito avanzata dal ricorrente H. in quanto fondata ed assorbente rispetto agli altri motivi.

Risulta dagli atti che il ricorrente era detenuto agli arresti domiciliari per questa causa e che il giorno prima dell’udienza del 23.02.2010, a mezzo fax, il difensore di fiducia aveva rappresentato l’intendimento del detenuto di presenziarvi avanzando esplicita richiesta in tal senso.

La Corte d’Appello, con ordinanza resa in via preliminare, pur prendendo atto di tale richiesta pervenuta il giorno precedente, rilevava che trattandosi di procedimento in Camera di Consiglio l’imputato avrebbe dovuto chiedere al giudice di comparire all’udienza e ciò non risulta dagli atti di tal che deve procedersi oltre, dichiarandosi l’assenza dell’imputato".

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte l’imputato detenuto, che manifesti la volontà di comparire, ha diritto di presenziare al giudizio camerale di appello avverso la sentenza pronunciata nel giudizio abbreviato, e pertanto se, nonostante sia ristretto in luogo posto fuori dalla circoscrizione del giudice procedente, non sia stato tradotto in udienza ed abbia avanzata espressa richiesta in tal senso, la sentenza emessa all’esito è affetta da nullità assoluta, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (V. da ultimo sez. 6 Sentenza n. 48557 del 2.12.2009 Rv. 245657).

La motivazione della Corte distrettuale posta a base dell’ordinanza dichiarativa dell’assenza dell’imputato non è congrua in quanto si è limitata, contrariamente al vero, a rilevare che nessuna richiesta di presenziare era pervenuta.

Se l’intento della Corte è stato quello di ritenere di non prendere in considerazione l’istanza in atti in quanto pervenuta irregolarmente a mezzo fax, o perchè è stata intempestiva, o perchè dovesse essere sottoscritta personalmente dall’imputato, avrebbe dovuto indicarlo nella parte motiva dell’impugnata ordinanza camerale.

Il non aver rilevato tali circostanze rende l’ordinanza affetta da vizio di motivazione in quanto, sebbene sia stato utilizzato un mezzo di comunicazione non consentito (V. art. 121 c.p.p.), la Corte comunque da atto che l’istanza è pervenuta e non ne contesta la provenienza (V. sul punto Sez. 5, Sentenza n. 43514 del 16/11/2010 Ud. Rv. 249280 con cui si è affermato il principio secondo cui va annullata con rinvio, per violazione dei diritti difensivi tutelati a pena di nullità d’ordine generale, la sentenza pronunciata senza che il giudice abbia provveduto a esaminare la richiesta di rinvio del processo, tardivamente comunicatagli e trasmessa via fax alla cancelleria, attestante un legittimo e documentato impedimento a comparire dell’imputato per ragioni di salute), e, nel caso in cui avesse ritenuta intempestiva la richiesta, avrebbe dovuto chiarire i motivi per cui non era possibile differire l’udienza per consentire all’imputato di presenziare. Quanto all’ultimo rilievo si osserva che tutte le istanze che hanno ad oggetto l’esercizio di una facoltà difensiva dell’imputato, tranne specifiche attività processuali riservate personalmente all’imputato normativamente indicate, possono essere presentate dal suo difensore e tra queste certamente rientra l’istanza di cui trattasi.

Va quindi dichiarata la nullità della sentenza impugnata con riferimento alla posizione dell’imputato H.T. con rinvio degli atti alla Corte d’Appello di Bologna. I motivi posti a base del ricorso del B.O. sono infondati. Non c’è chi non veda come il primo motivo addotto dal ricorrente inerisca ad una diversa valutazione della prova testimoniale, con precipuo riferimento alle dichiarazioni degli acquirenti della sostanza stupefacente fermati dalla P.G, e sentite a sommarie informazioni.

E’ indubbio lo sforzo argomentativo profuso per far rientrare nella previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e) quella che è una mera rivalutazione probatoria. La Corte d’Appello ha indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, facendo proprio l’impianto argomentativo della sentenza di primo grado, ma recependola in maniera analitica, persuasiva e scevra da vizi logici, confutando la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla difesa dell’imputato.

E’ da rilevare, infatti, che la tesi oggetto del primo motivo già era stata sottoposta all’esame della Corte d’Appello, la quale, puntualmente, ha evidenziato come gli elementi di responsabilità a carico del ricorrente siano emersi inequivocabilmente dalle indagini di P.G. mediante l’osservazione dello stabile ove trovasi l’appartamento occupato dall’imputato con annotazione di coloro ( R., S., C.) che vi si recavano e ne uscivano in possesso di sostanza stupefacente acquistata dall’imputato, con acquisizioni delle relative dichiarazioni.

La Corte ha altresì evidenziato come fossero utilizzabili tali dichiarazioni in quanto rese da consumatori nei cui confronti non vi erano elementi tali da poterli considerare detentori di droga con finalità di commercio.

Sul punto si osserva che non sussiste la violazione dell’art. 63 c.p.p., posto che, come più volte affermato da questa Corte, le dichiarazioni "indizianti" evocate da tale articolo (comma 1) sono quelle rese da un soggetto sentito come testimone o persona informata sui fatti che riveli fatti da cui emerga una sua responsabilità penale e non quelle attraverso il quale il medesimo soggetto realizzi il fatto tipico di una determinata figura di reato (ad es. calunnia, falsa testimonianza o, come nel caso in esame, favoreggiamento personale). Detta norma di garanzia, infatti, è ispirata al principio nemo tenetur se detegere, che salvaguarda la persona che abbia commesso un reato e non quella che il reato debba ancora commettere (v. Cass., 5 maggio 2000, Zoppe; Cass., 5 maggio 2000, Papa; Cass., 3 dicembre 1998, Francese; Cass., 8 ottobre 1998, Petrangeli; Cass., 25 settembre 1997, Bizzarro). Nello stesso senso, con maggiore specificazione si è affermato che, poichè la destinazione ad uso di terzi costituisce elemento essenziale del reato, la persona trovata in possesso di sostanza stupefacente va considerata, almeno fino a che nei suoi confronti non siano emersi concreti elementi indicativi della finalità di spaccio e non sia stata effettuata l’iscrizione nel registro degli indagati, persona informata sui fatti, le cui dichiarazioni pertanto possono essere utilizzate contro i terzi ai sensi dell’art. 63 c.p.p., comma 1, (sez. 4, 24.02.2001, n. 17104, Rv. 219451; Per quanto riguarda il secondo e quarto motivo, che possono essere trattati unitariamente, si osserva che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Cass. sez. 6, 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua" vedi Cass. sez. 6, 4 agosto 1998 n. 9120 rv. 211583), ma anche, quando impone un obbligo di motivazione espressa per la concessione di un’attenuante negata dal primo giudice o per l’esclusione di un’aggravante, poichè esiste un’esplicita deduzione della censura in appello, presupposto imprescindibile per l’ammissibilità della doglianza in ricorso, oppure perchè si è effettuata una differente qualificazione di un fatto o si è ritenuto insussistente un reato (Cass. sez. 5, 29 dicembre 1999 n. 14745 rv. 215198), afferma che le statuizioni relative alla concessione delle attenuanti generiche o al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in Cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. 3, 16 giugno 2004 n. 26908 rv. 229298).

Nel caso di specie non appare arbitraria o illogica la motivazione della Corte di merito di condividere il giudizio operato dal primo giudice di equivalenza delle concesse attenuanti generiche con la contestata recidiva in ragione dei numerosi precedenti penali.

Quanto, poi, alla censura relativa al diniego dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, si osserva che, a parte la contraddittorietà tra la invocata dichiarazione di innocenza e l’applicazione di tale attenuante, la Corte d’Appello ha evidenziato che non è stato provato che le dichiarazioni dell’imputato abbiano portato all’acquisizione di notizie rilevanti ovvero alla cattura di commercianti di droga. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente B.O. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di H.T. e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Bologna per il giudizio di appello. Rigetta il ricorso di B.O. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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