Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-10-2011) 31-10-2011, n. 39260

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore Generale, presso la Corte d’Appello di Roma, ricorre in cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata emessa nei confronti di C.D.D..

Si deduce la nullità della sentenza per carenza totale di motivazione. Si argomenta che il giudice monocratico che ha letto il dispositivo in udienza successivamente è deceduto e la sentenza è stata depositata priva di motivazione, per cui, non potendo trovare applicazione nel caso di specie la disposizione di cui all’art. 546, comma 2 nè quella di cui all’art. 559 c.p.p., comma 4, il provvedimento è da ritenersi nullo. Il ricorso va dichiarato inammissibile per carenza di interesse. E’ indubbio che si verte in tema di nullità (non certo di inesistenza di un provvedimento che non sortisce alcun effetto giuridico), rientrante nella previsione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) che legittima il ricorso per cassazione, e, dunque, per rimuovere tale vizio è necessario impugnare il provvedimento, altrimenti esso sarebbe sanato dal giudicato, ma anche in tal caso chi impugna deve avere un interesse concreto a farlo. Invero, il rappresentante della Pubblica Accusa senz’altro può ricorre in cassazione per violazione di legge, ma alla base della richiesta di annullamento dell’atto impugnato vi deve esser pur sempre un interesse che legittimi l’esercizio del diritto di impugnazione, così come richiede l’art. 568 c.p.p., n. 4. La facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. Ne consegue che la legge processuale non ammette l’esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione soggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto. La Corte ha anche affermato (Cass. SU 27 settembre 1995, Serafino, RV 202269) che collegare l’interesse ad impugnare alla lesione della sfera giuridica e, correlativamente, al vantaggio concreto che deve derivare dalla rimozione o dalla modificazione del provvedimento gravato significa necessariamente attribuire all’impugnazione la configurazione di rimedio a disposizione delle parti per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti e non di meri interessi di fatto; vedi anche Cass. SU 13.12.1995, p.m. in c. Timpani, RV 203093, per la quale l’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente; pertanto, qualora il p.m. denunci, al fine di ottenere l’esatta applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto formale, in tanto può ritenersi la sussistenza di un interesse concreto che renda ammissibile la doglianza, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole. (In applicazione di detto principio la Corte ha dichiarato l’inammissibilità del gravame del p.m. che, mostrando di condividere la decisione di merito con la quale il giudice del dibattimento aveva pronunciato, nel corso degli atti preliminari, sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, aveva tuttavia denunciato la violazione dell’art. 469, sostenendo che tale disposizione, la quale indica i casi di proscioglimento prima del dibattimento, non consente di pronunciare sentenze assolutorie con la formula predetta).

Orbene, per il caso di specie, sul piano pratico, una dichiarazione di nullità della sentenza impugnata non sortirebbe alcun effetto atteso che il Procuratore Generale ricorrente non ha rappresentato alcun ipotetico (a parte la carenza di motivazione) vizio di violazione di legge che possa determinare l’annullamento della sentenza.

Nè appare condivisibile il rilievo secondo cui la carenza assoluta di motivazione impedisce di verificare il percorso logico attraverso cui il giudice è pervenuto ad una soluzione anzichè ad un’altra, in quanto, sulla scorta dei verbali di causa e dell’accordo raggiunto dalle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., ben avrebbe potuto il ricorrente rilevare un eventuale vizio del provvedimento e farlo valere con l’impugnazione, chiedendo l’annullamento della sentenza per carenza di motivazione su quel punto. Per mero esempio, l’applicazione di una pena illegale è facilmente evincibile, indipendentemente dalla motivazione, oppure se si fossero riscontrati elementi oggettivi ostativi alle concesse attenuanti generiche e fossero stati rappresentati in concreto, in assenza di motivazione sul punto, solo allora l’annullamento della sentenza per carenza di motivazione avrebbe avuto un senso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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